di Valerio Evangelisti (da Micromega, 1 / 2012)
Dopo il governo della volgarità populista, ecco quello dell’astuzia conservatrice. Cambia lo stile, è indubbio, ma non cambiano le finalità. Persone garbate e distinte ribadiscono che la crisi la devono pagare coloro che non l’hanno mai provocata: gli operai, i lavoratori dipendenti, gli studenti, il commercio al minuto, i precari, l’impresa artigiana, persino gli immigrati. Come contentino, blitz ridicoli — ma amplificati a livello mediatico — su centri di vacanze di lusso, da cui, dopo l’infinito iter del contenzioso tributario, si tireranno su quattro soldi.
Ciò per poter dire che si è colpita («dolorosamente») ogni classe. Con l’autorevole avallo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il quale, impossibilitato a starsene zitto almeno un giorno, afferma che al risanamento del paese devono contribuire abbienti e non abbienti.
Capolavoro di ipocrisia, da parte di qualcuno che vi è versato. Non fu tra i fondatori dei reticolati entro i quali ammassare i migranti? Eccolo sponsor di un governo imposto quasi a forza, tanto cortese quanto implacabile. Diretto da un ultraliberista che dice di avere apprezzato le «riforme» di Marchionne e della Gelmini.
«Bravo, bene, bis!», urla il Pd, mentre, il cappello in mano, invoca l’elemosina di qualche vaga concessione sociale, nonché privatizzazioni a manetta, acqua compresa (chi se ne frega, ormai, dei risultati di un referendum?). Intanto l’Italia subisce impassibile la creazione di una quarta classe sui treni — in periodo umbertino e fascista erano tre, dopo divennero due — e il sacrificio di beni di pubblica utilità, mentre, in perfetta contraddizione con l’etica esibita dell’austerità, si confermano progetti costosissimi e inutilissimi. Dal Mose di Venezia al TAV in Val di Susa.
Chiamata a pagare tutto quanto è comunque la classe operaia (chi dice che non esiste più, sostituita dal supposto «proletariato cognitivo», dovrebbe spiegarmi chi raccoglie la frutta a Cerignola o Rosarno, o cos’abbia di «cognitivo» l’operatore di un call-center). È ad essa che il governo gentile riserva la sorpresa più generosa. L’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Imponeva che, nelle grandi imprese, i licenziamenti dovessero essere motivati da «giusta causa». In futuro, a quanto pare, la causa potrà anche essere ingiusta. Senza che ciò abbia alcun effetto né sulla crisi, né sull’economia in generale.
In passato scrissi che, trascorso Berlusconi, la vera destra sarebbe arrivata. Ebbene, eccola qua. Pimpante e garbata come l’antica aristocrazia.
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