di Daniela Bandini
Luigi Gallo, Zingari della galassia, Edilet Edilazio Letteraria, 2011, pp. 305, € 13,00.
Un romanzo che esteticamente si presenta defilato, una copertina stilizzata, una immagine che è quasi un archetipo. Un veliero che solca i mari, i nostri mari, l’Adriatico e il Mediterraneo, la stessa nave da migliaia di anni. Potrebbe essere la medesima perché i volti e i gesti dei marinai addetti ai servizi più pesanti sono praticamente gli stessi, la stessa fatica e lo stesso smarrimento di fronte alla deriva che sembra portare il mare, di fronte allo stupore di un porto, poco prima un esile miraggio.
Una navicella spaziale che procede in cerca di reperti terrestri per ordine del Governo Galattico, in uno spazio abitato da comunità umane diffuse sui vari pianeti della Galassia. Il collante che unisce queste collettività, minate dall’istinto della competizione, è un progetto governativo chiamato “Induzione della Nostalgia volto a far nascere nell’animo umano, incline di natura a sviluppare questo sentimento, una sorta di recupero affettivo delle Origini Comuni”.
Se il tutto vi sembra un po’ complesso, è normale. Non è un romanzo classicamente inteso, nel quale la trama sfila rigorosa, oppure illogica o disordinata per incanalare il lettore nella sintassi dell’autore, è piuttosto un saggio di filosofia applicato, cosa quanto mai rara, al futuro. Quali saranno i valori a cui dare maggior peso, quale la colpa più grave? E se l’autore volesse farvi credere che è l’invidia il peccato più grave, il peccato più immorale o peggio antipatriottico che possa commettere un essere umano? Se il desiderio, sì, quello materiale, per un braccialettino o un posacenere fossero punibili con pene severissime, mutilazioni, ricondizionamento psichico? E se questo desiderio diventasse epidemia? Insomma, lettore da che parte staresti, tra coloro che vogliono controllare da sempre il genere umano, per il suo bene ovviamente, o ti troveresti a tuo agio tra bande di cospiratori che hanno come simbolo la fiamma di un accendino modello zippo anni ’80?
Beh, anch’io sarei con te. Certe imposizioni del Potere (la p maiuscola è voluta, il senso del potere inteso dai primordi a oggi e sembra al futuro) sono le medesime, da Pinochet a Mac-Mathius: “Gli effetti del Programma Nostalgia si stanno rivelando disastrosi, le epurazioni fin qui messe in atto contro il crimine di tentato furto non hanno conseguito grandi risultati oltre quello di una inutile carneficina. Il desiderio di cose altrui sta dilagando tra la popolazione galattica ed è fuori da ogni possibilità di controllo. La totale sospensione dei programmi in rete ha semplicemente ottenuto come effetto la proliferazione di strutture clandestine dedicate con profitto alla loro diffusione…”
Se il libero arbitrio di un uomo è “solo” quella parte affascinante e incompleta che separa la percezione di onda dalla percezione di punto della meccanica quantistica a seconda dell’osservatore, come spiegare l’intangibile necessità della sfida al sistema teoricamente più compatibile alle necessità di tutti? E come si spiega che il potere, pur combattuto da sempre, sia da sempre bramato, mascherato da saggezza, lungimiranza, elargizione magnanima di buoni valori, attivi nei ricordi propulsivi del nostro immaginario?
Ma come si spiega che in ogni modo, tra la funzione di onda o di punto si inneschi il dubbio e infine la convinzione che ogni potere è una truffa? Cominciando da quello personale, ma qui cito l’autore e il suo personaggio, e il suo pensiero, terribilmente condivisibile, sul potere, così umano… “Un terrore fatto di attrazione e repulsione si affacciava di continuo alla sua mente e lo seduceva fino a perderlo in labirinti senza uscita.
Non poteva essere solo un caso aver incontrato il capo della banda dell’accendino, non un vessillo tra i tanti germogliati qua e là nella Galassia bensì quello studiato e concepito in tempi non sospetti da un gruppo clandestino interno a una struttura governativa. Il vessillo progenitore che designava la consacrazione a una setta rifacendosi a una misteriosa divinità evocata in passato sulla Terra da una tribù primitiva…”
Quando si intende il futuro senza la filosofia del passato questo insorge prepotentemente, infallibilmente: ecco in sintesi il ragionamento del romanzo.
“Il dio che, come dice il discorso antico, tiene la fine e il principio e il mezzo di tutte le cose che sono, raggiunge diritto il suo scopo attraversando secondo natura ogni cosa, e a lui sempre viene Dike, punitrice di coloro che si allontanano dalla legge divina”. Platone, Leggi.