[Il presente articolo è uscito sulla pagina culturale del quotidiano L’Unità del 2 febbraio 2012, F.L.] In America c’è una santa che non è sul calendario, ma ha un esercito di dieci milioni di devoti. Dal Texas all’Argentina si moltiplicano i fedeli della Santa Muerte.
La chiamano con affetto Niña blanca o bonita, cioè Bambina bianca o carina, ed è una santa popolare affascinante e controversa.
Proprio quando la morte si fa presente nella società messicana, sconvolta dalla guerra al narcotraffico dei cinquantamila morti in cinque anni, ecco che il suo culto e la sua figura, lo scheletro con la falce in una mano e il globo terracqueo nell’altra, riemergono prepotenti.
In Italia la Parca ossuta troneggia sbiadita sulle pareti degli ossari e sugli affreschi tardomedievali delle danze macabre e i trionfi della morte, ma nel nuovo mondo era stata santificata dalla gente già dai tempi degli spagnoli.
Solo dieci anni fa è uscita dalla clandestinità ed è tornata per le strade, sui mezzi pubblici e nei cortili delle case popolari con poster, altarini — sono millecinquecento a Città del Messico — processioni e rosari.
Ora i devoti camminano a testa alta tenendo in mano le statue della Santa Muerte. Ce ne sono di tutti colori: oro per l’economia familiare, rosse per l’amore, bianche per la protezione totale e nere per la forza. Il culto si diffonde a macchia d’olio grazie al web, alle riviste e ai negozi esoterici e al passaparola che la dipinge come la “più miracolosa delle sante”.
E dove mai poteva nascere questo fenomeno se non in Messico, paese in cui le cerimonie e le decorazioni coloratissime per la Commemorazione dei defunti — il Día de muertos del 2 novembre — sono diventate patrimonio dell’umanità dell’Unesco?
Secondo Elsa Malvido, studiosa della Santa Muerte, la festa cattolica, che in Messico s’è fusa con alcune tradizioni indigene, è una morte addomesticata, un culto “adottato e imposto dal gruppo politico dominante dopo la Revolución del 1917 per creare un nazionalismo religioso che includeva dei presunti elementi precolombiani e innesti posteriori”. Ma la Niña bonita è un’altra cosa, resta un culto spontaneo, senza gerarchie, in espansione dai settori marginali alla classe media, come la crisi.
“Santa Muerte del mio cuore, non mi negare la tua protezione”. Così cominciano le invocazioni che chiedono amore, denaro, fortuna, salute e anche sicurezza, per tornare a casa sani e salvi, oppure un lavoro e una fine tranquilla, niente più.
Sia le “guardie” che i “ladri” la pregano per farsi coraggio, mentre altre categorie a rischio come le prostitute, i tassisti e i commercianti le chiedono protezione, “perché lei è stata creata da Dio, è democratica perché si porta via tutti, ricchi e poveri, ed è tutta la mia vita”, confessa Doña Queta Romero, custode dell’altare principale di Tepito, il quartiere più famigerato e ribelle della capitale. “Da Doña Queta nessuno si sente escluso e ogni primo del mese c’è una festa di canti, preghiere, regali e speranze che non ha eguali”, racconta Juán, un habitué dell’altare.
Relegata da secoli nei ghetti cittadini e nelle comunità indigene e rurali, la Niña Blanca, patrona dei dimenticati e Santa 2.0, oggi costituisce una sfida per le istituzioni come la Chiesa e lo Stato. Un anno fa l’Arcivescovo di Mexico City, Norberto Rivera, ha annunciato il dispiegamento di decine di esorcisti per ricondurre i devoti della Santa Muerte sulla retta via. Però loro continuano a definirsi cattolici e denunciano piuttosto lo scarso sostegno e gli scandali del clero.
“La morte è ovunque / non se ne parla / politici e capi le fanno altari / non è un delitto pregare / alla Santissima Muerte”, intonava Beto Quintanilla, il re del corrido, un genere musicale che è parte della cosiddetta narco-cultura con brani che cantano le gesta dei boss mafiosi.
Anche la Santa Muerte è entrata nella mitologia del narcotraffico, anche se il santo più in boga tra i narcos è Jesús Malverde: un bandito come Robin Hood, vissuto cent’anni fa a Culiacán, la Corleone del Messico.
Il mito della Muerte Santa “protettrice dei delinquenti” sorge nel 1998 quando viene catturato il “mozza orecchie”, un famoso rapitore che aveva in casa una statua della Gran Falciatrice collocata davanti alla Madonna di Guadalupe, la massima icona religiosa messicana.
Nel 2001 un’offerta alla Niña blanca è rinvenuta in una villa dei sicari di Osiel Cárdenas, storico boss del Cartello del Golfo. Da allora il legame tra la Santa e il crimine organizzato diventa mediatico, moneta comune tra i giornalisti in cerca di storie facili e accattivanti. “Sacrifici umani per la Santa Muerte”, “La Madonna dei narcos”, “Setta satanica”, si legge su testate messicane ed estere.
“Dopo la Madonna di Guadalupe e San Giuda Taddeo, patrono delle cause disperate, la Santa Muerte è la terza figura più venerata nel paese, ma Lei non è approvata dalla Chiesa che la combatte dai tempi dell’Inquisizione e ora usa i media e le pressioni politiche”, spiega Alfonso Hernández, direttore del Centro Studio su Tepito. “Qui in zona — continua Hernández — la Santa è l’unica Signora, perché da noi la crisi, la miseria, il pericolo ma anche l’arte di arrangiarsi e la cultura popolare sono sempre stati onnipresenti”.
La morte è così sicura di sé che ci dà tutta una vita di vantaggio. Quindi, come recita un cartello di Tepito, “oggi sei tra le braccia della vita, domani sarai tra le mie, dunque vivi la tua vita, ti aspetto. Firmato, La Muerte”. Forse, non ci resta che piangere o semplicemente aspettarla a braccia aperte. Per concludere questo avvicinamento alla Santissima Muerte vi propongo un video con immagini del suo culto e l’audio estratto dal programma di Radio3 Pagina tre in cui si riassumuno i contenuti principali di questo articolo. Hasta pronto.