di Lara Manni
Negli ultimi tempi, Margaret White torna spesso in mente alla lettrice di King che da molti anni sono. Non nella versione pop con cui Brian De Palma rivisitò “Carrie”, ma in quella del romanzo, il primo di Stephen King.
Margaret White, dunque, mi appare nella scena in cui Carrie torna a casa dopo il ballo, ed è stanca e sconvolta e spaventata e sporca del sangue di maiale che si è raggrumato sui capelli e sulla fronte, mentre il suo amato, prezioso abito da sera pende a brandelli dal corpo. Margaret, la madre, è immobile su uno sgabello da cucina, con un coltello nascosto nelle pieghe della gonna, e appena la figlia entra comincia a parlare, ricordando l’orrore della notte di sesso con il marito, rivelando che aveva già tentato di uccidere Carrie appena venuta al mondo, e ripetendo senza fermarsi che “il peccato non muore mai”.
Margaret White mi torna in mente, per esempio, quando leggo le dichiarazioni del candidato cattolico alla nomination repubblicana, Rick Santorum, mentre afferma — è cosa di pochi giorni fa – che le donne violentate non devono interrompere la gravidanza perché il bambino è “un dono terribile di Dio”. Terribile, ha detto proprio così. E pensando a Rick Santorum che porta ai suoi bambini il cadavere del loro fratello nato morto affinché lo guardino, e riflettendo sull’orrore di quell’immagine, al suo volto si sovrappone quello di Greg Stillson, futuro presidente degli Stati Uniti e giovane venditore di Bibbie nelle prime pagina de “La zona morta” di King: in particolare, mi torna in mente lo scatolone nascosto nel bagagliaio della Mercury con cui Stillson viaggia nelle strade del Nebraska, e lo scatolone trabocca di brochure dal titolo “America la Voce della Verità: Il Complotto giudaico-comunista contro gli Stati Uniti”. E mi viene in mente anche la scena che lo caratterizza per quel che è e rischia di divenire: il cane che cerca di aggredirlo e Greg che con voce di miele lo chiama a sé, e poi lo uccide, calcio dopo calcio, sussurrando “Non dovevi mordermi. Hai capito? Mi capisci? Non dovevi mordermi, schifosa bestiaccia. Nessuno deve venirmi tra i piedi. Hai capito? Nessuno”.
Qualche giorno fa, mentre leggevo della chiamata alle armi della preghiera contro lo spettacolo di Romeo Castellucci “Sul concetto del Volto nel Figlio di Dio”, mi è venuto in mente un altro personaggio kinghiano. Il racconto è “The Mist”, “La nebbia”, e la signora Carmody è, all’inizio, solo la titolare di un negozio di robivecchi con i gufi impagliati e i lupi imbalsamati: ma man mano che prosegue l’assedio della nebbia e delle cose che vi sono nascoste, la Signora diventa Mother, e Mother Carmody è capace di attirare seguaci facendo leva sulla paura, la disperazione e l’incertezza degli uomini e delle donne imprigionati in un supermercato, e infine si trasforma in un mostro che spruzza saliva e follia ed esige il sacrificio di un bambino per la comune salvezza: “Questo è il genere di persone che ha provocato tutto! Gente che non si piega alla volontà dell’Onnipotente! Peccatori del peccato d’orgoglio, altezzosi e arroganti! E’ dalla loro razza che il sacrificio deve venire! Dalla loro razza il sangue dell’espiazione!”. Quando, nel 2007, “The Mist” diventa film, non furono pochi gli oltranzisti religiosi d’America a indignarsi con King. Perché la frase pronunciata da Mother Carmody, nel film, è: “Saremo puniti…per cosa? Per essere andati contro il volere di Dio! Per aver infranto le Sue regole proibite! Camminare sulla luna! Dividere i Suoi atomi! O…o…o…le cellule staminali e l’aborto…e distruggere il segreto della vita su cui solo Dio detiene ogni diritto!”. “Perché Stephen King odia i cristiani?”, tuonò Debbie Schlussel, conservatrice nota per l’idiosincrasia contro il mondo musulmano.
“Perché Castellucci offende Dio?”, si legge in questi giorni su fogli e siti cattolici. Perché alla lettrice di King non appaiono molte differenze fra Mother Carmody e coloro che scrivono su blog come “Riscossa Cristiana” o “Bastacristianofobia”, dove stigmatizzano la “dimensione satanica” di uno spettacolo teatrale e convocano rosari da recitare nella notte invocando la punizione celeste sul blasfemo.
E dal momento che le associazioni sono come le tessere del domino, ecco che da Mother Carmody si scivola a Sandra McKay, Eddie Deepneau e Dan Dalton, gli “Amici della Vita” che in “Insomnia” (romanzo che King scrisse nel 1994) agiscono su diretta emanazione del Re Rosso della Torre nera e tirano feti di plastica riempiti di colorante sulle donne che lavorano presso un centro antiviolenza, WomanCare. Dalle parole e dai salmi i tre passeranno all’azione, sterminando decine di persone nel nome della Vita. Qualcosa di molto simile è accaduto davvero, il 31 maggio 2009, quando un Deepneau qualunque che si chiamava nella realtà Scott Roeder uccise, sul sagrato di una chiesa del Kansas, il dottor George Tiller. Tiller era un ginecologo che effettuava aborti tardivi per casi drammatici: “donne cui era stato diagnosticato un tumore e che avevano bisogno di un aborto per poter accedere alla chemioterapia; donne che avevano appreso a gravidanza ormai avanzata che i bambini tanto desiderati soffrivano di malattie fatali; e vittime di stupri talmente giovani che non si erano rese conto per mesi di essere incinte”, ricordò una collega su Salon.com. “Con Tiller in vita troppi bambini non-nati erano in pericolo”, dichiarò serenamente il suo assassino. Ai funerali del medico, i gruppi pro-life esibirono striscioni con su scritto “Dio ha mandato il tiratore”.
“Eluana la lasci a noi” era uno dei cartelli che vennero innalzati, insieme a centinaia di bottiglie d’acqua, dai seguaci di Giuliano Ferrara durante l’agonia di Eluana Englaro. “Impedite all’Angelo della Morte di mettere piede a Derry” è una delle frasi scandite dagli Amici della Vita di “Insomnia” per tener lontana dalla città la femminista Susan Day. Tutto si mischia, romanzo e romanzo, episodio ed episodio.
Alla lettrice di King viene in mente che, sì, è stato negli ultimi anni che l’impegno politico dello scrittore si è fatto palese in discorsi pubblici, interviste, programmi radiofonici. Ma nei romanzi c’era già tutto, fin dal primo. Perché da “Carrie” in poi King ha sempre raccontato come il fanatismo sia un pericolo (forse, il vero, grande pericolo) per la società degli uomini e delle donne. I suoi malvagi sono soprattutto fanatici, a pensarci bene. Quel che fa riflettere la lettrice di King, infine, è che qualcosa di molto simile avviene dalle nostre parti: e che, forse, andrebbe reso esplicito nelle storie di chi dalle nostre parti vive.