di Fabrizio Lorusso
Vanni Santoni, Se fossi fuoco, arderei Firenze, Editori Laterza/Contromano, pp. 158, € 10,00.
Che cos’è Firenze? E cos’è il suo genio, la sua storia? Mille orme che sono una sola. Un dedalo continuo e affascinante di intrecci in una guida romanzo. Anzi, in un romanzo guida che è una miccia accesa di esistenze concatenate: per lo più ventenni ed ex ventenni, lustro più, lustro meno. Se fossi fuoco, arderei Firenze, il nuovo romanzo di Vanni Santoni, autore di Personaggi precari (2007) e Gli interessi in comune (Feltrinelli, 2009), provoca e incuriosisce già dal titolo. Su una cosa siamo d’accordo. Anch’io, dopo aver letto il romanzo, la brucerei, Firenze, se non me ne fossi invece innamorato (un’altra volta…). Ma si tratta di un amore arrabbiato e incomprensibile. Capita. Così come capita a tutti di non poter decidere, definirsi, e di restare sospesi nel limbo dell’attesa, in balia della scintilla furente del caso e di un carico interiore pieno di ricordi. Santoni racconta gli adolescenti che eravamo e quelli che adesso lo sono, o continuano testardi ad esserlo, perduti tra i vicoli e i rioni vetusti ma vitali della sua città. E questi s’infiammano, gridano, entusiasmano e deludono durante il viaggio. Sarà il peso della storia, forse, ma abitare in un museo a cielo aperto resta una gran sfida.
Di piazza in piazza, dal campanilismo italiano al cosmopolitismo sbandierato dall’America, ciò che conta non è la meta, ma la ricerca. Girare, anche fosse a vuoto: in macchina, a piedi o in bicicletta, mentalmente o fisicamente, da Firenze al mondo: andata e, inevitabilmente, ritorno. Tornare è d’obbligo, soprattutto se è troppo difficile stare fuori dal gruppo, dalle origini del branco. Santoni ci racconta il quotidiano straniamento e la meravigliosa vertigine del vivere grazie a una staffetta di personaggi che si passano il testimone della storia per arrivare a un’ipotetica chiusura del cerchio anche se poi, in realtà, la storia è infinita, come il susseguirsi delle generazioni e il ripetersi delle loro peripezie.
Fighetti, alternativi, robbosi, studenti del contado e urbanizzati, americane, sfigati e brillanti, artisti e aspiranti, scrittori bravi e falliti, nostalgici, “gambrini”, viaggiatori veri e finti, immigrati, esteti, tamarri, coppie in crisi, genitori, ex-discotecari, matti, pusher, rinsaviti e mondane: nella Firenze ardente c’è di tutto, ci sono tutti, in un distillato di racconti che dipingono un affresco della città di oggi, ma si stingono dinnanzi alla maestosità del suo passato. Ci sono clan che si conoscono e riconoscono, altri che s’ignorano. Alcuni si sfiorano, si scontrano e si fondono, uguali e diversi allo stesso tempo, immersi in fatti e memorie che, dall’adolescenza irrisolta al momento, sempre rimandato, dell’autonomia e della maturità, sparano a raffica contro il mondo dal cuore della loro gioventù in fuga.
L’università può diventare un eterno pretesto, non si sa se sia un mezzo o un fine in sé, e i fuori sede s’inventano un’altra città, da comparse o da protagonisti, in mezzo a orde di turisti americani e studenti stranieri che brulicano sullo sfondo. “Firenze è infinita, e si potrebbe andare avanti e girarla in lungo e in largo per giorni, con la certezza che di Sante Croci ce ne sono almeno cento”, ma poi il pensiero sfuma in un ricordo, fatto di altre età, più felici, e di strade, più libere, “bei tempi, tempi non militarizzati, i tempi del suo arrivo in città, in cui erano un luogo da fiasco di vino e chitarra”. Parla Sylvie, una delle fiorentine d’adozione che compongono la costellazione di storie del romanzo.
“Che poi, artisti o no, ci si può davvero costruire un’esistenza indipendente, qui, senza doversi allacciare a un sistema di supporto vitale fatto di parentele, conoscenze, amicizie, relazioni per niente dinamiche? E nelle altre città d’Europa, sarà davvero diverso? O farei la stessa fine, con le stesse scarse opportunità, lo stesso pugno di magre certezze, lo stesso lavoro, l’unica differenza il pranzo — al posto del lampredotto il sushi, o alle brutte un falafel”. Firenze: quando la bellezza senza limiti, leggera per i visitatori, diventa insostenibile per chi ci nasce, per chi ci vive o per chi solo ci è di passaggio.
In un continuo ritorno, un po’ vizioso, un po’ virtuoso, i personaggi — ragazzi, ragazze, gente — inanellano vicende e sequenze filmiche che sono quadro e diagnosi di una generazione, la X tardiva, forse più verso la Y (?), o semplicemente un’età perduta nelle definizioni asettiche appioppatele dai contemporanei e dalla Tv. In fondo, non solo a Firenze, siamo stati — chi poco, chi assai — vere anime perse che si ritrovavano sommerse dal dubbio cosmico, nella speranza riposta senza slancio nel domani, quello che non arriva mai, e nelle bugie del benessere, ormai in caduta libera verso la mediocrità delle fantasie di un paese decadente e trasognato. E forse la Firenze che brucerebbe Vanni Santoni è una metafora di tutta l’Italia, bellissima ma decisamente depistata.
La lettura viaggia liscia, senza intoppi, ed è condita da sapori forti: si gustano le leccornie dei trippai ma anche i luoghi segreti da esplorare nell’anima di Firenze, che sono perle divine per il forestiero, e un flashback resuscita in campo Roberto Baggio, appena passato dai viola alla Juve, ed anche il più remoto passato fiorentino, oggi stanco di ripetersi uguale a se stesso per i turisti, infelice di navigare troppo lentamente in acque rafferme. “Fa qualche passo verso il muretto, e Firenze, là sotto gli appare non ferma, impegnata in un lunghissimo ralenti come se stesse faticosamente scorrendo via…”.
Ma se è così non c’è niente per cui vale la pena restare. “Cos’è sta storia per cui ormai una si deve giustificare se rimane?”, si chiede Annabel, altra anima vagante dell’urbe irresistibile.. Lo sa Diego. Sperava di tornare cambiato dal Sudamerica, ma si ritrova ingabbiato nell’immagine storica, incrostata, che da sempre tutti conservano di lui, come un dipinto che non cambia mai, uno col destino già scritto dagli altri. C’è chi non ci sta ed emigra per non tornare più indietro. C’è chi non vuole fuggire perché ama morbosamente la sua identità, la sua città. Alla fine se fossi fuoco, arderei Firenze, ma risparmierei almeno il libro di Vanni alle vampe delle fiamme e del tempo infame.