di Roberto Sturm
Roberto Saporito, Generazione di perplessi, Edizioni della sera, Roma 2011, pp. 126, €11,00
Penso che scrivere un buon racconto sia più difficile che scrivere un buon romanzo, e scrivere racconti brevi lo è ancor di più: far calare il lettore immediatamente nell’atmosfera, calibrare le parole (fondamentali nella brevità espositiva), far decollare immediatamente la vicenda e tratteggiare i personaggi con rapide ma decise pennellate, tutte qualità che si acquisiscono con anni di esperienza e di ricerca.
Roberto Saporito ci riesce con 19 racconti molto brevi ed efficaci. Senza scomodare Raymond Carver o altri grandi scrittori per paragoni poco pertinenti, l’autore dimostra di possedere una propria personalità, spaziando dal minimalismo al postmoderno, con scelte stilistiche e tematiche che si rivelano la maggior parte delle volte azzeccate. L’uso dei dialoghi è pressoché inesistente e la scelta di usare uno stile descrittivo in uno spazio così ridotto riesce a rendere più dinamici e scorrevoli i testi.
I protagonisti dei racconti, più che perplessi, sono degli estremisti, dei dissidenti, dei non omologati: persone giovani e meno giovani che non riescono a — meglio dire non vogliono — entrare nei meccanismi della società.
Le regole imposte dalla collettività diventano insopportabili, il vivere quotidiano uno scorrere del tempo senza senso e la violenza sembra essere l’unico strumento con cui ribellarsi. Storie di persone solitarie che potrebbero sembrare quasi sociopatiche o al limite della psicopatologia ma che non lo sono affatto perché sono gli altri, quelli reputati normali, che vivono senza farsi domande, senza rendersi conto della crudeltà dell’esistenza e dello scorrere del tempo che ci porta inevitabilmente incontro alla morte. Tema, senza dubbio, fondamentale di questi racconti: una morte che funge da liberazione tenacemente perseguita per redimersi dall’ingombro di una vita costellata da troppe ingiustizie e cattiverie.
E se il lavoro viene visto come un nemico, una sorta di meccanismo perverso che riesce spesso a uniformarci tutti, ce n’è anche per l’industria editoriale: un terreno pieno di snobismo, di autoreferenzialità, che vive soprattutto di autocitazioni e clientelismo. Anche i rapporti interpersonali, familiari o sentimentali che siano, tendono ad appiattire le nostre personalità, a smussare i nostri angoli, così come i torti subiti non vengono dimenticati dai protagonisti delle storie di Saporito, che le covano dentro di loro per mesi e anni rendendo ancor più feroce la vendetta, la ricerca ossessiva dell’equilibrio tra colpa e pena.
Un racconto esemplare dell’antologia è Scomparsa, forse il più estremo, in cui il protagonista racconta — appunto — la scomparsa della sorella e il suo ritrovamento, arrivando ad un finale più paradossale che inaspettato.
È un libro interessante Generazione di perplessi, sia per le storie che per le scelte stilistiche, eversivo perché mette in dubbio i fondamenti su cui si basa la società attuale. Il coraggio dell’autore, in un panorama editoriale italiano dove questa virtù langue, è una delle qualità più evidenti dell’opera. Notevoli, tra l’altro, le citazioni di DeLillo, Ballard, Raymond, Yates e altri, che introducono ai racconti: alcune, vere e proprie chicche.
Roberto Saporito ha al suo attivo parecchie pubblicazioni. Ha esordito con due raccolte di racconti, Harley-Davidson e Harley Davidson, deserti e moderni vampiri editi da Stampa Alternativa nel 1996 e 1998. I suoi lavori più recenti, tra il 2009 e 2010, sono i romanzi Carenze di futuro, Zona, Il rumore della terra che gira, Perdisa Pop e la riedizione di Anche i lupi mannari fanno surf (Remix) edito da Senzapatria.