Parte II: L’Ossario Globale
di Alan D. Altieri
Questo testo è dedicato a Sbancor: Hey, man, YOU saw it coming!
Qui la prima parte
Nato dal sangue,
conviene che l’uomo viva nella sofferenza,
e muoia tra gli spasmi.
Herman Melville
Nella inarrestabile marcia della Economia della Morte verso il baratro, l’anno di disgrazia 2001 marca due eventi cruciali:
1. George W. Bush – dislessico ex-alcolizzato che parla con dio, noto come Governor Death, per il numero di sentenze capitali eseguite nello stato del Texas durante il suo periodo sullo scranno di Dallas – diventa Presidente degli Stati Uniti. L’elezione è ottenuta per mezzo dell’ormai storico “broglio della Florida”, un baccanale di schede farlocche, voti multipli, votanti fantasma etc. etc. etc. degno delle più turpi banana republics. And by the way, il governatore della Florida, Jeb Bush, è fratello del nuovo prez, oops!;
2. 9/11: mentre il presidente dislessico ex-acolizzato che il 9/11 ascolta la favoletta della capretta raccontata da un bimba delle scuole elementari, New York City & Washington DC sono sotto catastrofico, sconvolgente attacco diretto da parte del terrorismo fondamentalista islamico. Or whatever else…
Parte II: L’Ossario Globale
Singolare che, proprio quel luminoso mattino di settembre, il più grande sistema strategico del mondo, la più potente forza aerea del mondo, la più agguerrita marina militare del mondo, la più avanzata rete di satelliti del mondo, il più sofisticato servizio segreto del mondo, insomma tutti i sistemi “più del mondo” fossero simultaneamente in stato di ibernazione profonda. Quel luminoso mattino di settembre, dio, dobbiamo intendere, era in lunga, lunghissima pausa pranzo. Hey, man, have I got my godly needs, or what?
Rispondendo al 9/11 con la Global War on Terror, guerra al terrore globale, la DE ha un’occasione davvero unica per uscire da sottotraccia. In questa fase, è essenziale osservare il Presidente degli Stati Uniti non-è il vero comandante in capo della guerra al terrore globale medesima.
Mentre il dislessico ex-alcolizzato non cessa di parlare con dio – la cui pausa pranzo si estende ulteriormente – nella sala dei bottoni va a insediarsi un’allegra brigata di soggetti chiamati Vulcans. No, non i vulcaniani di Star Trek, tipo Mr Spock etc. Questi vulcaniani formano un gotha da vera e propria orgia delle già menzionate conspiracy theories.
Sostenuti dall’affabile Richard Cheney, vice Presidente, «l’uomo più crudele che io conosca», parola di Henry Kissinger, slurp!, guidati dall’avvenente Condoleeza Rice, hello, doll!, i Vulcans traggono il loro nome dalla statua del Dio Vulcano che torreggia sulla piazza principale di Birmingham, Alabama, città natale di Condoleeza e (ormai defunto) polo siderurgico americano. Per i due mandati Bush II, sono i Vulcans a stringere in pugno il vero potere USA, potere politico, economico, mediatico ma soprattutto militare.
Forti dell’appoggio ideologico/accademico, hey, man, such big words!, di tutti i think-tank neocon/teocon, pompati dallo state of fear propagandistico in cui sono immersi gli Stati Uniti e non solo, spacciando due guerre medio-orientali simultanee (Iraq 2, Afghanistan) come condotte nel nome di pace (eterna), libertà (di sterminio), democrazia (esportata al sangue), diritti umani (tortura, carceri ombra, esecuzioni mirate etc etc etc.), i Vulcans cominciano ad addentare svariate carotidi:
– fare dell’Iraq democratizzato il 51esimo stato degli Stati Uniti (coca-cola, cocaine and whores, and they’ll become just like US!);
– prendere il controllo assoluto della zona geopolitica al quarto posto nella produzione mondiale di petrolio (and then we’ll see who’s got the beef, ya motherfuckers!);
– conficcare un doppio cuneo strategico (Iraq, Afghanistan) militare direttamente nel suppurato sfintere anale del Medio Oriente, pattugliando tutto il Golfo Persico ma soprattutto lo Stretto di Hormuz, imbuto geografico attraverso il quale transita il 48% del petrolio planetario (sempre fi, sucka!);
– prepararsi ad applicare la DE contro i prossimi nemici: Iran, Siria, Giordania & oltre (peace is DEAD, fuckers! And YOU are next!);
– fare sì che il New American Century (http://en.wikipedia.org/wiki/New_American_Century) duri mille anni, un pò come il Terzo Reich (Ja! Über alles!).
Come poi siano andate le cose, è tuttora cronaca:
– Iraq: plaga devastata da bombardamenti, saccheggi, attentati, omicidi, stupri, roghi e, in senso lato, dalle guerre tribali tipiche del Medio Oriente, la plaga devastata in questione finita addirittura a gravitare nella sfera d’influenza del nemico iraniano;
– Afghanistan: passati esattamente dieci anni dall’inizio della guerra mai dichiarata, i taliban che controllano il 95% del territorio, la produzione di eroina incrementata dell’85%, in fondo al tunnel afghano non c’è nemmeno l’ipotesi di una luce.
In sette anni (2001/2008), cartellino del prezzo delle guerre americane in M.O. pari a 2.1 triliardi di dollari (2,1 seguito da 12 zeri) a fondo perduto, la DE a guida Vulcans riesce in un’impresa davvero biblica: tramutare il villaggio globale in un ossario globale.
Per gli Stati Uniti, il cui deficit federale nel 2006 è ancora 12 triliardi di dollari (12 seguito da 12 zeri), nel 2008 le due guerre vulcaniane hanno pompato quel deficit a 14 triliardi di dollari (14 seguito da 12 zeri). Quattro le nazioni creditrici: Cina, India, Arabia Saudita, Russia. Esattamente come preconizzato in Dopo l’Impero (Tropea, 2003), cristallina analisi del grande sociologo e demografo francese Emmanuel Todd, nel crepuscolo con infamia del doppio mandato Bush II – due guerre perdute, l’economia al disastro, i Vulcans destituiti, inquisiti, riciclati, quant’altro – gli Stati Uniti sono ormai una (ex)superpotenza al limite del default (bancarotta) pressoché sotto commissariamento da parte degli (ex)nemici.
Può apparire contraddittorio, forse addirittura assurdo, che si stabilisca una connessione diretta tra le ultime due guerre medio-orientali e la spada di Damocle del default americano. Alla prova dei fatti, non solo non è né contraddittorio né assurdo, ma è inevitabile. La ragione: per la sua stessa struttura frattale, il sistema DE è simultaneamente isotropo e osmotico:
– isotropo in quanto è simile a se stesso dovunque;
– osmotico in quanto è permeabile dovunque.
Nel momento in cui la guerra non è più un asset ma diventa una liabiality, la componente suicida della DE deve tornare a prendere il sopravvento sulla componente omicida. Non potendo più sbranare nemici all’esterno, la DE deve quindi divorare tutto quello che si trova all’interno. In sostanza, proprio come l’Ouroboros, la DE non ha altra scelta se non divorare se stessa.
È in questa fase che i numeri – spese, ricavi, profitti, tassi, percentuali, statistiche, proiezioni, etc etc etc – perdono significato. La ragione? Molto semplice: nella DE suicida i numeri sono ormai entità prive di senso. Sono barzellette, farse, finzioni, burle, guittate, frodi, inganni ma sono soprattutto menzogne, auto-distruttive menzogne.
Anno di disgrazia 2008, ultimo anno del secondo, grandioso & glorioso mandato Bush II & Vulcans. L’impennata del debito federale americano e, in parallelo, l’impennata del depauperamento individuale americano – in media, ognuno dei 300 milioni di cittadini USA è indebitato per 55.000 dollari – innescano nuovamente quella spirale recessiva analizzata molto tempo fa da John Maynard Keynes. Il sistema bancario non più solamente americano ma globale si trova quindi a fronteggiare uno tsunami multiplo:
– crisi di fiducia dei mercati azionari dovuta alla disoccupazione in area 10% e alla bancarotta di migliaia di imprese ed esercizi commerciali;
– eccesso di proprietà immobiliari “inerti & invendibili” dovuto all’indebitamento di cui sopra e al conseguente crollo del mercato del mattone;
– voragine di liquidità dovuta alla insolvenza degli utenti delle carte di credito.
È possibile, per quanto non certo, che perfino i consigli di amministrazione DE si siano resi conto dell’incombente hara-kiri strutturale:
se crollano le banche, americane & non,
per effetto domino crolla anche TUTTO il resto.
Allo scopo di arginare il suddetto hara-kiri, tra Pennsylvania Avenue e Wall Street viene schierato un signore di nome Hanry M. Paulson. Laureato in economia a Harvard, partendo come assistente del sottosegretario alla difesa nella cristallina amministrazione Nixon, già nel remoto 1974 Mr. Paulson passa alla Goldman-Sachs, tra le più importanti società d’investimenti degli Stati Uniti [1]. Per tre decadi, sempre in ambito conservatore/repubblicano, Mr. Paulson passa senza soluzione di continuità dalla politica all’economia e viceversa.
Nel 2006, con lo hara-kiri globale bene in vista, il presidente dislessico ex-alcolizzato che ancora cerca di parlare con dio – la cui pausa pranzo potrebbe peraltro durare da qui all’eternità – nomina Mr. Paulson al rango di Segretario del Tesoro, equivalente americano di ministro delle finanze. Quintessenziale uomo di punta della DE, Mr. Paulson capisce di dover lavorare fin da subito al salvataggio delle banche. E lo fa nell’unico modo possibile:
pompare denaro pubblico nel sistema bancario privato
Con una simile mossa, le banche americane dovrebbero quindi: 1) diventare proprietà del governo americano, giusto? & 2) Nel senso che le banche americane sarebbero di fatto nazionalizzate, giusto? Sbagliato 1) & Sbagliato 2). Allora:
– Sbagliato 1) Fin dai tempi eroici dei neanderthal, la direttiva primaria della DE è rimasta sempre la stessa: quello che è mio è mio e quello che è tuo è mio;
– Sbagliato 2) Noi della DE non saremo mai dei luridi “socialisti.” Noi della DE siamo e resteremo dei Capitalisti, whadda fuck! Per cui, “privatizzazione dei profitti, collettivizzazione delle perdite”, quanto alle banche, cosa nostra sono! Ebbaciamo lemmani!
Certo, ovvio, naturale, difatti. Ma, hang on a sec, i soldi pubblici non sono infiniti, soprattutto con 14 triliardi di dollari, 14 seguito da 12 zeri, di deficit federale. Per cui qualcuno dovrà pur restare sul campo di battaglia, giusto? Giusto! Voglio dire, mica possiamo salvarle proprio tutte, le macchinette fabbrica-soldi, anche se quello che le macchinette vomitano non vale nemmeno la cartaccia igienica su cui è stampato, giusto? GIUSTO! Insomma, focalizziamo sulle banche, nessun dubbio, ma al tempo stesso decidiamo di mandare a fondo le altre istituzioni finanziarie che ora, per le banche stesse, costituiscono solo un rischio. Hey, man, that’s called slaughterhouse… soooo sorry!
Per la DE, l’anno 2009 È l’anno del grande mattatoio. Salviamo Bank of America, Wells Fargo e Citygroup, yes, ma al tempo stesso stacchiamo la spina a tutte le altre banche commerciali e a tutte le altre società di trading. Lehman Brothers, Merril-Lynch, Bear Stearns, Fannie Mae & Freddie Mac… adios, finito, kaputt. Centinaia di milioni di dollari al rogo, migliaia di persone senza lavoro, centinaia di migliaia di risparmiatori sul lastrico. Soooo fucking sooorrrrry!
Tutti a fondo tranne, guess what, Goldman-Sachs. Ultimo e unico gioco in città rimasta, e della quale il lungimirante Harry M. Paulson – dismesso assieme all’amministrazione del comandante in kapo ex-alcolizzato che ancora si ostina a parlare con dio – torna a fare il presidente del consiglio di amministrazione con un bonus bello grasso & grosso. We’ree IN the moneyyyy!
D’accordo, lo hara-kiri è evitato, ma adesso? Esclusa la fallimentare opzione guerra, la DE deve comunque tornare a fare cassa (da morto). In un simile disastrato, recessivo paesaggio economico globale, con il mercato immobiliare depresso, la disoccupazione al 12%, i risparmi di intere generazioni bruciati, c’è bisogno di una nuova idea geniale. La quale puntualmente arriva. I mean, are we fuckin’ cool, or what?
Non esistendo più crediti ma solamente debiti, la (il)logica progressione da parte della DE è ricavarne comunque un (simulacro di) profitto, sia locale che globale. Ed ecco quindi l’idea geniale:
vendere debiti facendo finta che siano crediti
Il vizio di forma è che il debito è un negativo, di conseguenza anche il ricavo che se ne trarrà è un negativo, vale a dire una perdita. Questo concetto aritmetico assolutamente elementare è alla base del nuovo, catastofico, disastro annunciato: i cosiddetti toxic titles, titoli tossici.
A tutti gli effetti, i toxic titles non esistono, non sono reali, non hanno alcun tipo di copertura. I toxic titles, sono scommesse (sballate), tiri di dadi (truccati), giri di roulette (russa). Si investe sul nulla, si gioca sul vuoto, si danza sull’abisso. È un tipo di speculazione criminale che il gergo dei finanzieri d’assalto chiama Ponzi Scheme, Schema Ponzi, in onore di Charles Ponzi: a proposito, capito da dove viene il buon Charlie, che ne fu l’ideatore nei primi anni del Secolo XX?
Imperatore assoluto contemporaneo di questa rivisitata variante della (s)vendita del Ponte di Brooklyn o della Fontana di Trevi è un signore di nome Bernard “Bernie” L. Madoff. Dopo quelli che gli investigatori federali reputano siano stati ben vent’anni di danza sull’abisso – cioè vendendo e comprando il nulla sulla falsariga del Ponzi Scheme elevato a potenza n – Mr. Madoff riesce ad annientare qualcosa come 18 miliardi di dollari (18 seguito da 9 zeri), allargando però il proprio personale conto in banca a 480 milioni di dollari. Oh, yeah, baby! Prossimo ospite delle patrie galere fino al giorno del giudizio, Mr. Madoff inaugura quello che verosimilmente è il penultimo, se non ultimo, capitolo della DE.
Gettati i toxic titles in cloaca, la DE passa all’assalto terminale: la devastazione dei titoli emessi dagli stati sovrani. Nel senso che questi ignoti, oh, really?, meta-mega-gruppi speculativi cercano di mandare bancarotta intere nazioni dall’economia indebolita, ricavando comunque profitti dalla (s)vendita di titoli di stato acquisiti sottocosto.
Prova in costume di quanto sopra è la bancarotta dell’Islanda, avvenuta in progressione tra il 2008 e il 2010. In meno due anni, la piccola nazione artica scompare dallo scacchiere degli scambi internazionali finendo sotto l’incudine di un default pari a circa 60 miliardi di euro (90 miliardi di dollari).
Va sottolineato: piccola nazione, solo trecentomila abitanti, tanti quanti ne ha una media città continentale europea. Ma per la DE, la demolizione dell’Islanda nel mattatoio della speculazione dei toxic titles è un magnifico incentivo non solo a procedere oltre ma addirittura ad alzare il tiro.
Nel gergo della finanza d’assalto, l’acronimo PIGS (porci) indica quegli stati europei le cui economie sono più a rischio: (P)Portogallo, (I)Irlanda, (G)Grecia, (S)Spagna.
Dopo almeno diciotto mesi (siamo ormai alla fine del 2010) di borse altalenanti, titoli di stato in caduta libera, disoccupazione dilagante, politica allo sfascio, le (nere) cronache (finto) finanziarie vengono allagate di proiezioni su quale di queste nazioni andrà per prima in default, trascinando chissà chi e/o chissà cosa nella voragine. Sappiamo che la Grecia è già nella voragine. Sappiamo che le altre tre nazioni “porche” sono aggrappate alle ortiche che spuntano sull’orlo estremo della voragine medesima.
Di recente però, grazie a un deficit nazionale pari al 120% del PIL (Prodotto Interno Lordo) – e grazie anche svariate altre componenti di cui si parlerà nella terza parte di questo intervento – i PIGS sono diventati PIIGS. Nell’acronimo porco c’è una “I” in più. Non un caso quindi che la nazione della seconda “I” sia diventata per la DE il nuovo obbiettivo preferito.
In realtà, la seconda “I” del branco di porci PIIGS non è una nazione ma una non-nazione, priva di qualsiasi coscienza collettiva, auto-castrata da qualsiasi etica sociale. È un non-luogo abitato da un non-popolo di addicts cronici: TV (infame), metanfetamina (tagliata), calcio (corrotto), lotterie (truccate), puttane (impestate). Non-nazione, non-luogo e non-popolo diventati barzellette porno perfino nelle ultime discariche tossiche planetarie quali Nigeria, Birmania, Corea del Nord etc etc etc. Tutto questo è chiamato in molti modi: belpaese, malpaese, patonzia, puttanopoli, bananas, mignotto-crazia, mafia-ville, etc etc etc.
Ma, nell’ottica DE, questo obbiettivo perfetto per il suicidio terminale può chiamarsi in un unico modo:
NECROLAND
(2 – segue qui)
Nota
[1] Carmilla si è occupata della banca Goldman Sachs qui [n.d.r.].