Parte I: La Collina dei Suicidi
di Alan D. Altieri
Questo testo è dedicato a Sbancor: Hey, man, YOU saw it coming!
Gli uomini muoiono,
L’erba muore,
Gli uomini sono erba.
Gregory Bateson, “Sillogismo in Erba”
Un giorno, le banche avranno cessato di esistere.
Al posto della filiale all’angolo, superati tumuli di macerie e carcasse di auto bruciate, attraversati viali-immondezzaio popolati da puttanelle minorenni zeppe di crystal-meth, trans all’ultimo stadio della sifilide e tossici di speedball (cocaina + eroina) dal coltello facile, troveremo (se siamo fortunati ad arrivarci vivi) un magazzino di baratto vestiti e scarpe usate, o anche nuovi/e. Nostri vestiti e nostre scarpe, sia chiaro, ormai non rimane altro da barattare. That’s right, ya miserable commie scumbags: it’s back to the root!
Questo luogo decisamente tetro (niente potenza elettrica, niente acqua corrente, niente servizi igienici), è assediato da orde di mendicanti coperti di cenci putridi, da gente scavata dalla fame e da relitti umani in agonia a causa della disgregazione del servizio sanitario pubblico. Ecco perché il magazzino di baratto, unica forma di “commercio” rimasta, è sorvegliato da nerboruti individui asiatici che portano maschere antigas (là fuori, il lezzo di fogna e di cancrena toglie il respiro), muniti sfollagente e storditori elettrici. Una falange di quegli individui è armata di fucili d’assalto Made-in-Bangladesh, proiettile in canna e sicura alzata, security above all, ya assholes!
Quanto alla sede centrale della banca medesima, è un cavernoso ammasso di rovine annerite dal rogo terminale, ultimo atto della cieca disperazione di decine di migliaia di noi. Le rovine sono ancora transennate da resti di sbarre divorate dalla ruggine e coperte di lichene, retaggio di amministrazioni comunali e governative da tempo inghiottite. Sulla salma di un muro chiazzato di sangue e vomito, affrescato di guano di gabbiani da discarica, puzzolente di urina di cane e feci di ratto, è ancora leggibile la salma di un graffito:
Capitalismo, mercati, globalizzazione…
Bruciate all’inferno!
Lo scenario di cui sopra è ricorrente in tutti slums infetti e devastati che ormai compongono la maggior parte degli agglomerati urbani (“città” è un termine da tempo obsoleto) a tutte le latitudini.
Il giorno in cui le banche avranno cessato di esistere segnerà la “fine del mondo” così come lo abbiamo conosciuto da ben prima della Rivoluzione Industriale in avanti. Il giorno in cui le banche avranno cessato di esistere sarà la suicide hill, collina dei suicidi, di qualcosa che conosciamo già ora. Questo qualcosa ha un nome:
Death Economy, Economia della Morte.
Il fulcro della Death Economy (acronimo DE) è tanto grottescamente semplice nella sua essenza quanto profondamente congenito alla natura (in)umana:
Uccidere per il Possesso
A tutti gli effetti, la DE esiste dall’uomo di Neanderthal, e forse addirittura da prima. Ci si sfondava reciprocamente il cranio (sempre meglio farlo in dieci contro uno solo, possibilmente disarmato, perfetto se storpio o mutilato) a colpi di mazza di selce per la sorgente, il territorio di caccia, la femmina da ingravidare previo stupro di gruppo.
Flash-forward su un arco di alcune migliaia di anni. Da Ramses a Caligola, da Carlo Magno a Timur Lenk, da Napoleone Bonaparte alla Regina Vittoria, da Adolf Hitler a Muhammar Khadafy, la DE è sempre stato l’unico metodo conosciuto di espansione economica. E anche del disastro conclusivo: ben pochi di quei regni/imperi sono sopravvissuti ai loro rispettivi demiurghi, e quand’anche ci siano riusciti non per molto tempo.
Con la Rivoluzione Industriale – vertice DE del lavoro para-schiavista nella seconda metà del Secolo XIX – alcuni fini dicitori disquisiscono di colonialismo, imperialismo, liberismo e, alla fine, you guessed it, capitalismo. Ah, il suono seducente di questa parola. Mera semantica. Nell’analisi di John Maynard Keynes sulle crisi ricorrenti del capitalismo, la DE è un algoritmo ineluttabile verso il baratro:
– guerra di conquista e sterminio;
– controllo coatto delle materie prime;
– depauperamento estremo delle medesime;
– dominio totale sul lavoro dipendente;
– aumento dei profitti;
– picco consumistico;
– aumento del debito privato;
– saturazione dei mercati;
– aumento del deficit pubblico;
– impennata della speculazione bancaria;
– corto-circuito stagnazione-inflazione-recessione;
– spirale di depressione;
– collasso sistemico conclusivo.
Il Big Crash di Wall Street (1929) – inizio della Great Depression, risolta dieci anni dopo nell’orgia di devastazione della Seconda Guerra Mondiale (1939/1945) – rimane l’emblema più fulgido e più grondante (sangue & viscere) dell’Economia della Morte. Come nell’ancestrale simbolo dell’Ouroboros – il serpente che divora se stesso partendo dalla propria coda – la DE è certamente omicidio ma è soprattutto suicidio. Ed è proprio a causa della componente suicida che la Seconda Guerra Mondiale segna il tramonto dei conflitti armati su vasta scala come veicolo di profitto. Tre ricadute primarie:
– ricaduta politica: il soldato morto/mutilato in guerra non genera consenso elettorale;
– ricaduta welfare: il soldato morto/mutilato in guerra diventa un perdurante peso economico per il potere;
– ricaduta economica: il soldato morto/mutilato in guerra costa comunque troppo.
Di conseguenza, la guerra stessa non è più un buon affare.
Quanto sopra trova la sua conferma più eclatante nella Guerra del Vietnam. Scontro tutto politico e per nulla affaristico, la disfatta della battaglia di Dien Bien Phu (1954) segna l’inizio della fine del colonialismo francese, la caduta di Saigon (1973) è la pietra tombale dell’espansionismo americano.
Rimanendo in terra americana, superata la palude infetta post-Nixon/Watergate, la DE è determinata a rialzare la testa. Affossato il mandato unico del mercante di noccioline Jimmy Carter, per i dodici anni successivi(1980/1992) – amministrazione Reagan (2 mandati) e Bush I (1 mandato) – la cosiddetta “globalizzazione” (Global Village, nella tragicomica definizione dalla grande statista Hilary Rodham Clinton) procede a ritmo serrato. Due vettori primari:
– liberismo orizzontale, scavalcamento di tutte le leggi sul lavoro;
– deregulation verticale, scavalcamento di tutte le forme istituzionali di controllo.
Per la DE, la globalizzazione è LA svolta epocale. I grandi imperi industriali a conduzione famigliare (Ford, Krupp, Thyssen, Rothschild etc etc etc) superano finalmente la fase di multinazionali degli anni ’70 e si trasformano in sistemi conglomerati globali. Vere e proprie fortezze del meta-capitale, sostenuti da apporti di liquidità tanto immani quanto ignoti, dotati di polivalenza accorpata (banche commerciali, banche finanziarie, industrie, finanze, investimenti, immobili, trasporti, comunicazioni etc etc etc), i sistemi conglomerati globali possiedono una struttura frattale la cui complessità si fa beffe di qualsiasi parametro di qualsiasi scrutinio da parte di qualsiasi ente governativo. Entità quali Carlyle Group o Halliburton – citando solo un paio delle più famose (e famigerate) – operano al di fuori di tutte le verifiche, tutti i controlli, tutti gli argini.
È la conglomerazione globale è firmare il certificato di disintegrazione della politica, sia essa locale, nazionale, internazionale. I politicanti – “politici” è un altro termine largamente obsoleto – sono sostanzialmente ridotti a «garzoni di bottega, mandati dal macellaio a raccogliere i sospesi» (Apocalypse Now).
A prendere decisioni, a stilare programmi, a stabilire riforme (reforms? oh, man, now that is a laugh…), non sono più né re, né capi di stato, né primi ministri, né parlamenti, né stati cosiddetti sovrani. A decidere tutto per tutti sono enigmatici consigli di amministrazione che si riuniscono in conference call via computer. O magari, se proprio vogliono mettersi in mostra, nella sala congressi di alberghi a 666 stelle. Dai molti guru delle conspiracy theories, questi enigmatici consigli di amministrazione sono chiamati in una quantità di modi: NWO (New World Order), massoneria, Illuminatus, Trilateral Commission, Bilderberg Group, etc etc etc. Che ognuno scelga il nome che preferisce. O che ne inventi pure di nuovi: ragnatela, consorzio, compagnia. Di nuovo, si tratta di semantica. La realtà è comunque univoca:
potere assoluto, profitto assoluto
Profitto a ogni costo, con ogni mezzo, contro ogni ostacolo. Profitto di pochi, pochissimi: alcune migliaia di individui a livello mondiale. Il resto, tutto il resto – gli ormai sette miliardi di grotteschi scarafaggi deformi che zampettano sulla cloacale superficie terrestre – è solamente “carne da macello”.
Per la DE, l’avvento dei sistemi conglomerati globali è l’evoluzione perfetta. Perdurando sottotraccia nell’Occidente in generale, negli USA in particolare, la DE continua comunque a servirsi delle guerre su un doppio canale di manipolazione propagandistica e industriale:
– nessuna guerra grossa, sostituita però dalla minaccia della guerra “finale” (Guerra Fredda/guerra nucleare), con conseguente profitto dalla corsa agli armamenti strategici, rimpiazzata ora dalla eterna “guerra al terrore globale”, dove fa brodo tutto & il contrario di tutto;
– infinite guerre asimmetriche, primariamente nei quadranti medio-orientale, africano e sud-americano, con conseguente profitto della vendita di armamenti convenzionali simultaneamente a tutte le parti belligeranti.
Giustappunto, a tutt’oggi sono quattro le “nazioni” (virgolette d’obbligo) che formano la cuspide del mercato mondiale degli armamenti: Stati Uniti, Russia, Cina, itaGLia. Quest’ultima al secondo posto mondiale nel commercio di mine anticarro, antiuomo etc etc etc. Ue’, paisa’: mandolini, pizza, puttane & shrapnel!
Grande trionfo sul campo della DE sottotraccia è la dissoluzione dell’Unione Sovietica per bancarotta strutturale. Due ragioni primarie:
– impossibilità della società comunista (ormai in sindrome burocratica terminale) di reggere tre decadi nella rincorsa agli armamenti strategici (1950/1980);
– disastrose perdite economiche, sociali, politiche causate da un’intera decade (1979/1989) di fallimentare invasione/occupazione dell’Afghanistan.
L’invasione/occupazione sovietica dell’Afghanistan è certamente da inquadrarsi nel più ampio scenario della Guerra Fredda. Al tempo stesso, è dato storico ormai accettato che, anno 1981, il Presidente Ronald Reagan abbia autorizzato di persona la famigerata “Operazione Cyclone” – 2 miliardi di dollari in fondi neri CIA e 67.000 tonnellate di armi d’assalto e non solo fornite ai mujaeddin di Osama Bin Laden (wait a sec, ya really mean THE “sheik of terror”?, wow!) – allo scopo di «farla pagare ai comunisti per la disfatta del Vietnam». Invertendo l’ordine degli addendi, il risultato finale non cambia: niente più Unione Sovietica e Al Queda forever. Bingo!
Al giro del biennio 1990/91, sulla scia della Guerra del Golfo a.k.a. Prima Guerra dell’Iraq – vittoriosa campagna scorched earth turpemente spacciata come operazione internazionale di pace – i conglemerati DE occidentali e americani hanno il sostanziale dominio planetario.
Di questo dominio – e a dispetto della mini-recessione del 1991 – il susseguente doppio mandato della presidenza Clinton (1992/2000) rappresenta l’ultima golden age. Dopo di che, nel decennio successivo, la DE stessa non più sottotraccia ha la brillante idea di tornare ai fasti “bagnati” delle guerre d’invasione.
Naomi Klein – assurta, nei primi anni ’90, al ruolo di nume tutelare del movimento no-global (Seattle R.I.P.) – studia validamente questa risorgenza bellica nel suo best-seller Shock Economy (Rizzoli, 2007). Klein però, esaminati gli aspetti storici dell’economia di rapina e sterminio, si limita a parlare della versione aggiornata delle guerre d’invasione e della loro ricaduta in termini di profitti, ma soprattutto in termini di perdite. Ma, mentre la Shock Economy è sostanzialmente omicida, la Death Economy è, ripeto, simultaneamente omicida & suicida.
Nei miei interventi della serie ameriKadämmerung, cerco di analizzare alcuni incidenti di percorso nella DE. Eventi che rappresentano solamente i prodromi del suicidio globale prossimo venturo. In estrema sintesi:
– crollo delle dot.com companies (1992/1995);
– collasso delle Savings & Loan (1986/1995)
– disastro Enron Corp. (1993/2001).
Da sole, queste tre crisi fanno perdere alla DE in generale, all’economia americana in particolare, qualcosa come 300 miliardi dollari (1 triliardo di dollari, 1 seguito da 12 zeri, rapportato all’attuale tasso d’inflazione). Eppure, per quanto astrale, questa cifra è ancora nulla rispetto all’ossario che si stava, e che si sta tuttora, innalzando.
Qualcosa che possiamo definire: L’Ossario Globale.
(1 – segue qui)