di Paolo Pozzi*
Qui la prima parte, qui la seconda.
A Jo Condor, in memoria
Andò, Formica, Martelli e Spini
Al ministro dell’Interno
Per sapere: se risponde a verità la notizia secondo la quale nel gruppo terroristico Formazioni combattenti comuniste operava da tempo in Lombardia un confidente, tale Rocco Ricciardi; se risponde a verità che cinque mesi prima del delitto Tobagi il Ricciardi informò le autorità che il Tobagi sarebbe stato vittima di un attentato terroristico da parte delle Formazioni Combattenti Comuniste, indicando anche il luogo dell’agguato.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari — Camera dei deputati IX legislatura — Discussioni — Seduta del 16 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5121)
Era stato Franco a cominciare un pomeriggio d’inverno. Pioveva da una settimana. Quei periodi quando a Milano il cielo è grigio, uguale per giorni. Franco era entrato nel minuscolo appartamento dove Luca aveva aperto, con altri compagni, una radio libera. Dentro il suo impermeabile grigio perlaceo sembrava enorme. Luca e Franco non si parlavano da tempo. Avevano litigato di brutto mesi prima per questioni di politica.
Per un po’ non si erano più salutati. Ma quel pomeriggio Franco voleva parlare proprio con lui.
Luca lo vide arrivare da dietro il vetro. Si tolse la cuffia e venne fuori dalla stanza trasmissioni.
«Senti Luca devo parlarti».
«È una cosa breve?»
«Devo parlarti, non so se è breve o no».
«Arrivo».
Luca fece cenno a Nicolino, che sparava da ore musica punk, di andare avanti da solo col programma e di staccare i microfoni che trasmettevano nell’appartamento. La musica cessò di colpo. Silenzio.
«Eccomi».
«Sarà meglio che andiamo un po’ da parte».
«Qui è un po’ dura parlare senza farsi sentire. C’è sempre un gran via vai. Meglio andare fuori».
Franco si avviò verso l’uscita con l’impermeabile zuppo d’acqua. Si misero in piedi sul ballatoio.
L’acqua veniva giù fitta sotto le tettoie delle case di rimpetto.
«Allora?»
«Senti, sono passato per una cosa importante. Ho letto il rinvio a giudizio delle effecici».
«E che c’entriamo noi?»
«Buono. Lo sai che da quando sono andato in galera, io, a differenza di tutti voi altri, leggo le carte processuali. E cosa mi succede? Mi cade l’occhio su un rapporto dei carabinieri allegato agli atti. Il rapporto dice che nella rapina di Reggio c’entrano Carlo, Andrea ed Enrico».
«Ci sarà mica il nome del quarto?»
Franco ridacchiò.
«Il nome del quarto non c’è, se no non venivo qui da te».
«Ma sei sicuro?»
«Guarda che so leggere».
«Ma come fanno a saperlo?»
«C’è scritto: da fonte confidenziale».
«Che significa?»
«Usano questa formula quando non hanno le prove ma vogliono fare sapere».
«Far sapere a chi?»
«Al giudice, certo non a te».
«E il giudice?»
«Ha tolto il reato dal rinvio a giudizio».
«E perché?»
«Perché con un rapporto così cosa ci può fare se non tenerlo da parte.»
«Ma chi glielo ha detto?»
«Nessuno. Sono le supposizioni dei carabinieri. Se ci pensi… Andrea l’hanno fermato allora per via della targa».
«Ma se l’hanno prosciolto».
«Il giudice. Ma lui per i caramba la rapina l’ha fatta».
«E Carlo?»
«Avranno mostrato la foto e qualche impiegato avrà detto che forse era lui. Lo sai come fanno i riconoscimenti».
«E Enrico?»
«Questo è proprio strano. Secondo me i caramba hanno ragionato così. La rapina è politica e allora ci mettono Carlo e Enrico. Carlo perché allora era ricercato e Enrico per i disastri che va combinando in giro ora».
«Sarà…»
«Tanto oramai. Il fatto che sei qui alla radio vuol dire o che non sanno il tuo nome o che se lo tengono».
«Allora sarà meglio che vado».
«E dove? Ti dai per un sospetto dei carabinieri? Allora si dà mezza Italia. E io dovrei fuggire un giorno sì e uno sì».
«Hai ragione».
Franco gli zampettava attorno e Luca non sapeva più cosa dire.
«Franco ti ringrazio. Se sai qualcos’altro sono qui».
«Di solito quando si sa è troppo tardi».
Così rispose e cominciò a scendere le scale. Luca lo vide passare per tutti i ballatoi e attraversare il cortile. Poi sparire nel portone di ingresso. Luca aveva ripreso le trasmissioni quella sera e per parecchie sere dopo. Era rimasto inquieto qualche giorno. Poi più nulla.
Fino a quella mattina. Un giovedì. Quando due digos lo avevano arrestato sotto casa. Anche quel giorno pioveva. Appena fuori di casa un omone l’aveva messo di fronte a una pistola e gli aveva detto ‘prego’ indicando una macchina parcheggiata. Al volante c’era il terzo digos. L’avevano portato in caserma e gli avevamo mostrato il mandato di cattura: costituzione di banda armata. Della rapina neanche l’ombra.
Gorla, Russo Francesco, Calamida, Ronchi, Tamino, Pollice e Capanna
Al ministro dell’Interno
Per sapere: se risponda al vero che Rocco Ricciardi era confidente della polizia almeno dal marzo 1979 e partecipava all’attività terroristica delle Formazioni comuniste combattenti; se risponda al vero che il Ricciardi preannunciò con cinque mesi di anticipo le modalità e il luogo dell’attentato al giornalista Walter Tobagi; se e quando fu avvisato delle intenzioni del gruppo terroristico Walter Tobagi e quali misure furono adottate dalle autorità di polizia.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari — Camera dei deputati IX legislatura — Discussioni — Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5274)
Claudio l’aveva rivisto dopo anni nel cortile di cemento del supercarcere di Fosso. Era una mattina d’estate. Un caldo da morire nella scatola. Claudio era più distratto del solito. All’inizio non l’aveva neppure riconosciuto. Camminava su e giù per la scatola del passeggio un po’ piegato in avanti. Come se avesse sulla schiena tutti gli anni di galera che gli avevano dato.
«Oh Claudio, sono Luca, non mi riconosci?»
«Per dio, sì. Ma mi devi scusare. Sono sopra pensiero».
«Sfido io, con quella barca d’anni che vi hanno dato!»
«Pensa, sedici anni. Quattordici per banda armata e due per il possesso di una fondina».
«Abbiamo sentito la sentenza per tivù e ci sono venuti i brividi».
«Lo sai quanti anni complessivi ci hanno dato?»
«Di preciso no».
«Cinquecentonovantatre in trenta imputati. A Carlo ventinove, Sergio ventotto, Mario ventotto…»
«Guarda, a noi non ci sembrava vero».
«Lo sai che anche Sergio non ci credeva».
«Come non ci credeva?»
«Non era andato in aula a sentire la sentenza. Sai, la Corte è uscita dalla Camera di consiglio a mezzanotte. Allora Sergio mi fa: vai tu che poi mi racconti. Vado io, sento gli anni e per poco non muoio. C’era un avvocato che piangeva. Allora torno in carcere, sveglio Sergio e glielo dico…»
«Poveretto, potevi almeno lasciarlo dormire fino al mattino».
«Ma me l’aveva detto lui. Quando torni, svegliami. Perché, ho fatto male?»
«Va bene. Non ti incantare su questo punto, adesso».
«Sergio non ci voleva credere. Abbiamo passato la notte a piangere. Mamma mia che legnata».
«Ma tu come stai?»
«Come vuoi che sto. Male. Non si vede?»
«Sai, da quando ti conosco tu stai sempre con la testa da un’altra parte. Mi sembra che stai più
o meno come sempre».
«E invece sto male. Ogni tanto mi viene in mente. Sedici anni di questi giorni e mi viene il magone».
«Molla che mi viene male».
«Ma tu esci fra un po’. Non hanno niente contro di te».
«Lasciamo perdere Claudio che porta sfortuna».
«Sedici anni, ma ti rendi conto».
«Non mi ci fare pensare. Piuttosto, e gli altri?»
«Sergio è a Cuneo, Carlo a Palmi, Mario a Trani…»
«E le donne?»
«Ma tu le conoscevi?»
«Di vista quelle di Varese. Ma adesso che fai?»
«Aspetto l’avvocato per i motivi di appello».
«Ma tu eri andato clandestino che da ultimo non ti vedevo più?»
«Sì».
«Mi sembri tutto matto».
«Non ci rimetteremo mica adesso a rifare la litigata del ’77?»
«Hai ragione. Tanto ognuno crede di avere ragione».
«Io sono un combattente».
«E lo so. So anche che stavi per finire con le Brigate rosse».
«Ma mica solo io».
«Non mi dire che la riunione in quel bar dove vi hanno presi era per quello».
«Vedi, l’ho sempre detto che sei intelligente, io. Anche se sei sempre stato un po’ carogna».
«Vi hanno presi come piccioni lì. Eh!»
«Come piccioni. Devono averci pedinato i carabinieri. Sai, sapevano anche i nostri soprannomi. A me per esempio il carabiniere che mi ha preso mi ha chiamato Svampa».
«Come sarebbe a dire?»
«Sapevano il mio soprannome e i nomi di battaglia di Sergio e di tutti gli altri».
«Ma va là».
«Non crederai che ti dico palle?»
«Ma come può essere?»
«Ci seguivano da mesi. Da dopo l’arresto di Carlo».
«Sei sicuro?»
«Sono sicuro sì».
«Ma chi lo sapeva della riunione?»
«Solo noi e due che non sono venuti. Ma sta tranquillo che i due sono a prova di bomba e si stanno dando da fare per tirarci fuori».
«Mi sa che qui non ci tira fuori più nessuno».
Per un attimo Luca ripensò a quel pomeriggio che pioveva e a Franco infagottato nel suo impermeabile. Aveva voglia di vedere Franco. Ma Franco stava in galera come tutti gli amici. Franco stava a San Vittore. A fine maggio un giornalista finì ammazzato come un cane a Milano. Pioveva anche quel giorno.
In ottobre il ragazzo ricciolino aveva cominciato a collaborare e i carabinieri avevano arrestato mezza Milano. Cominciarono a piovere anche nuovi mandati di cattura per Claudio e tanti altri già in carcere. Ne arrivò uno anche per Luca. Era la storia della rapina. Il ricciolino la raccontava per sentito dire.
Un paio di mesi dopo Claudio se ne andò. Lo caricarono con altri venti su un elicottero a doppia pala. Era inverno e a Fosso faceva un freddo cane. Luca vide dalle sbarre della cella l’elicottero che si alzava dal campo da calcio dietro il carcere. Le guardie giravano sul muro di cinta con i mitra a tracolla. Battevano le mani dentro i guanti di lana. I vetri antiproiettile sul muro di cinta erano ghiacciati.
Rodota, Mannuzzu, Giovannini, Levi Baldini, Nebbia, Mancuso, Bassanini e Visco
Al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro dell’Interno
Per conoscere: se rispondano al vero le notizie di stampa relative alle informazioni di un infiltrato sul progettato assassinio del giornalista Walter Tobagi; quali siano stati gli apparati pubblici che raccolsero le informazioni e quali gli altri apparati a cui tali informazioni vennero successivamente trasmesse; se siano state avviate le necessarie procedure tendenti ad accertare eventuali responsabilità per la omissione delle misure che le informazioni ricevute avrebbero richiesto e per la recente comunicazione all’esterno di documenti o notizie.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari — Camera dei deputati IX legislatura — Discussioni — Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pagg. 5273-5274)
A marzo arrivò Sergio da Cuneo. Luca gli andò incontro e lo abbracciò a lungo. Gli sembrava di abbracciare un sepolto vivo. Sergio era in forma. Vivace più del solito.
«Luca, sai che fra poco divento papà».
«Come diventi papà?»
«Insomma, bisogna sempre spiegarti tutto. Anna è in cinta. Adesso è in un carcere del sud. Va tutto bene. Non mi pare vero. Volevano tombarci, ma intanto ho un figlio».
«Lei sta bene?»
«Sta bene sì. È felice».
«E tu?»
«Io sono contento. Solo che vorrei essere lì».
«Ma la vedi?»
«Macché. Ora posso almeno telefonarle».
«Quando telefoni, salutamela».
«Bravo. Così ci vai di mezzo pure tu. Lo sai che le telefonate sono registrate».
«È vero. Allora salutala per lettera indicandomi in qualche modo».
«Ok».
«Quando le telefoni?»
«Ho scritto la domandina per telefonarle stasera».
«Che effetto fa?»
«Brutto, Luca. Poi torno in cella e piango come un vitello».
Nacque la bimba di Sergio in primavera. Sui giornali un polverone. Come era possibile? I terroristi fanno i figli in gabbia, intitolò scandalizzato il “Corriere”. Sul Corriere c’era scritto anche che Claudio aveva inviato un mazzo di rose alla mamma.
Poi arrivò l’estate e le scatole di cemento del passeggio si arroventarono di nuovo. In uno di quei pomeriggi di caldo infernale Luca venne sul discorso con Sergio.
«Sergio, non ti voglio tediare ma ci sono un paio di cose che ti volevo dire da un po’. Sono idee ma stammi a sentire. Lo so che tu hai ventotto anni da fare e poi ora se l’è cantata anche il ricciolino a Milano su di te, Claudio e gli altri. Ma ci sono alcune cose che non tornano».
«Va bene, ti sto a sentire».
«Senti, sono sospetti, prendili come vuoi».
«Vai avanti».
«Allora. Una volta, prima che mi arrestassero, ho letto il rinvio a giudizio vostro e ho trovato una cosa molto strana. I caramba tiravano una rapina a tre giusti e tacevano il nome del quarto. Il giudice non ne ha fatto nulla».
«Questo prima che se la cantasse il ricciolino?»
«Più di un anno prima».
«Sei sicuro?»
«Sono sicuro. E poi non è finita. Claudio mi ha detto che quando vi hanno arrestati sapevano anche i vostri nomi di battaglia».
«È vero».
«Io non voglio entrare nei cavoli vostri che non ne ho il diritto, ma qui c’è qualcosa che non quadra».
«Ci sono un sacco di cose che non quadrano. Provo a dirtele. Naturalmente non tutto perché stiamo cercando di capire anche noi».
«Va bene, per quello che puoi».
«Innanzitutto la casa che cade qualche giorno dopo l’arresto di Carlo».
Luca fece lo sguardo interrogativo.
«La casa, quella che i caramba ci arrivano per via di due misteriose telefonate…»
«Ho capito».
«Poi la storia dell’arresto di Giorgio alla stazione centrale di Milano».
«Vedi. Anch’io ci sono rimasto».
«Insomma, lo fermano alla stazione così, in mezzo al casino. Cercavano proprio lui».
«Aveva qualche appuntamento?»
«Aveva l’appuntamento di sicuro».
«Allora è semplice».
«Non proprio, perché non siamo sicuri con chi l’aveva. Abbiamo delle ipotesi».
«Me le puoi dire?»
«Ma tanto non li conosci».
«Prova».
«Meglio lasciare perdere».
«Senza nome».
«Alla riunione al bar dove ci hanno bevuti, dovevano venire altri due. Uno è morto ammazzato dai carabinieri. E lo sai chi è. L’altro invece sta a casa sua tranquillo».
«Allora è questo».
«Bravo. Solo che se è lui non si capisce com’è che il ricciolino si è sparato il giornalista».
«Si conoscevano?»
«Bravo».
Onorato, Balbo Ceccarelli, Ferrara, Columba, Codrignani e Minervini
Ai ministri dell’Interno e della Difesa
Per sapere: se è vero che Rocco Ricciardi era un confidente dei carabinieri e se è vero che, in tal veste, egli preavvertì nel dicembre 1979 organi competenti dello Stato che era stato progettato l’assassinio del giornalista Walter Tobagi; in caso positivo, quali iniziative siano state assunte per tutelare l’incolumità di Tobagi e per individuare e assicurare alla giustizia gli autori del progetto criminoso; quale sia stato l’esatto tenore delle rivelazioni fatte da Marco Barbone al generale Dalla Chiesa.
(Interrogazione parlamentare in Atti parlamentari — Camera dei deputati IX legislatura — Discussioni — Seduta del 17 dicembre 1983 resoconto stenografico pag. 5276)
Anche Sergio partì dopo poco sballottato nel circuito degli speciali. Luca passò la sua seconda estate in galera. Nello stesso carcere, nella stessa cella, nella stessa scatola del passeggio. Da due anni Luca stava fermo. E vedeva passare vicino a lui un sacco di gente. A volte si fermavano solo per pochi giorni. Se erano del nord li conosceva quasi tutti. Per comune passata militanza, per averli incontrati a una spesa proletaria o a una manifestazione. Anni prima.
Se li trovava davanti nella scatola di cemento dell’aria dopo aver riconosciuto le loro facce in tivù qualche giorno prima. Foto segnaletiche accompagnate da una litania di reati. A sentire le notizie gli sembrava che non potessero essere le stesse persone. Invece erano proprio loro, tali e quali. Alcuni erano solo un filo invecchiati. D’altra parte gli anni passati erano proprio pochi. Si contavano sulle dita di una mano. Anche se, per le cose che erano accadute, sembrava che fosse passata un’eternità.
In seguito al nord di blitz se ne facevano proprio pochi. Ogni tanto venivano arrestate un po’ di persone, ma si trattava per lo più di strascichi di vecchie istruttorie, nati da qualche tardivo pentimento di gente incastrata. A novembre in zona Varese c’era stato un piccolo blitz. I carabinieri non avevano arrestato più di dieci persone. Rispetto all’anno priva, quando buttavano il napalm su intere città, a Luca sembrava un niente.
Guardò, come al solito, tutte le facce degli arrestati per tivù. Non conosceva proprio nessuno. A differenza di quelle sere quando gli si stringeva il cuore a vedere le foto segnaletiche di tutti i suoi amici.
A gennaio arrivò Carlo che veniva da Palmi. Era dal ’77 che Luca non lo vedeva. Ma Carlo non era cambiato per niente. Eppure stava per finire morto ammazzato dopo l’evasione. A Fosso era ancora più freddo dell’anno prima. Quando non pioveva c’era una nebbia così fitta che Luca doveva uscire, se voleva passeggiare su e giù per la scatola, con l’impermeabile. Carlo stava molto ritirato. Parlava poco, meno del solito. Un pomeriggio che pioveva Luca era con Carlo sotto la tettoia. Non c’era nessuno. Tutti gli altri erano rientrati nelle celle. Chiusi fino al giorno dopo. Per tornare nella scatola poi. Così per anni.
«Senti Carlo, mi rendo conto che avrai altri problemi più importanti dei miei e che le mie pensate sono cazzate visto il livello di rovinio della gente che sta chiusa con me, ma ti devo dire delle cose».
«Parla, che ti ascolto».
«Allora, hai presente quella rapina del ’75?»
«Quale?»
«Quella del casino della macchina».
«Ah, ho capito».
«Ascoltami. Esattamente un anno prima che me la tirasse il ricciolino, negli atti del tuo processo ho trovato un rapporto dei caramba sui partecipanti».
«E che nomi c’erano?»
«Il tuo, quello di Enrico e di Andrea».
«Beh, Andrea per forza, il mio anche. Allora, quando secondo loro ero un capo delle bierre, mi tiravano tutto. Quello di Enrico è strano».
«Lo stesso ragionamento che ho fatto io».
«E il tuo?»
«Non c’era».
«Tutto qui?»
«Non fare il pirla che lo sai benissimo che non è l’unica cosa che non va. Ho parlato con Claudio che mi ha detto del loro arresto e con Sergio. Anche loro non si spiegano un sacco di cose».
«Adesso si spiega tutto».
«Come sarebbe a dire?»
«Ma non la vedi la tivù?»
«Sì che la vedo».
«Allora non ti ricordi quel blitzino a novembre dell’anno scorso a Varese?»
«Fammi pensare. Sì, roba da poco».
«Da poco perché era la fine di una lunga storia».
«Quale storia?»
«Lo conoscevi il postino di Varese?»
«E chi è?»
«Secondo me devi averlo visto».
«Credo proprio di no».
«Comunque l’importate è che si ricordi lui di te».
«Perché, se la canta?»
«Ora se la canta, ma prima ha fatto qualcosa di peggio».
«Sei sicuro?»
«Per quello che si può essere sicuri in queste storie».
«Questo spiegherebbe la storia della rapina?»
«La rapina è il meno. Spiega l’arresto al bar nel ’79 di Claudio, Sergio e gli altri e forse la morte di Massimo».
«Questa proprio».
«È stato un agguato. Lo conoscevi Massimo? Figurati se non si accorgeva se era pedinato. Qualcuno gli ha dato appuntamento in quel bar».
«E questo qualcuno sarebbe il postino?»
«Non c’è prova ma si sa che si vedevano».
«Adesso parli come un giudice, Carlo».
«Sai queste cose, se si comincia a pensare all’infiltrato non si finisce più».
«Scusa ma io sarò tardo, ma alla fine quando capisco poi mi vengono i pensieri».
«Sentiamo».
«Allora, il rapporto dei caramba sulla rapina è del ’79. L’arresto di Claudio, Sergio e gli altri è sempre del ’79, mi sembra fine maggio. Il ricciolino se la canta nell’ottobre ’80. Secondo Sergio il ricciolino conosceva chi non è andato alla riunione del bar quando se li sono bevuti. E il postino non è andato a quella riunione, questo è certo».
«Bravo».
«Ma se il postino conosceva il ricciolino, come ha fatto il ricciolino…»
«Ora te ne dico una io. Lo sai che la foto del postino era in un album di foto segnaletiche del nostro processo e nessuno, né i giudici, né i caramba, né i digos, l’hanno cercato?»
«Mi vengono i brividi…»
«È una storia lunga e molto complicata. Soprattutto non ci sono prove».
«E tutto quello che ci siamo detti?»
«Sono ragionamenti, Luca. Coi ragionamenti non si va da nessuna parte».
Agli atti del Reparto operativo del Gruppo carabinieri di Milano1 esiste l’originale di una relazione di servizio redatto da un sottufficiale dell’Arma il 13 dicembre 1979, nella quale si legge fra l’altro: “Secondo il postino, il… (segue il nome di un altro confidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito di compiere azioni in Varese ma avrebbero in programma un’azione a Milano. Il … non ha lasciato capire pienamente quale possa essere il loro obiettivo ma ha riferito al postino che si tratta di un vecchio progetto delle Formazioni Comuniste Combattenti (FCC). Per quanto riguarda l’azione da compiere qui a Milano e la zona nella quale il gruppo sta operando il postino ritiene che vi sia in programma un attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera. La zona in cui il gruppo sta operando dovrebbe essere quella di piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchio obiettivo delle Formazioni Comuniste Combattenti”.
Il giorno 28 maggio 1980 il pubblicista Walter Tobagi fu ucciso, come è noto, esattamente nella zona indicata nella relazione confidenziale. Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identifica con un certo Rocco Ricciardi. […] Va rilevato in proposito che l’attività dell’Arma dei carabinieri in tutte le vicende surriferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all’autorità giudiziaria dalla quale dipende.
(Il ministro dell’Interno Scalfaro — Risposte scritte a interrogazioni in Atti parlamentari — Camera dei deputati IX legislatura — Discussioni — Seduta del 16 gennaio 1984 resoconto stenografico pag. 243-244)
A fine febbraio ’82 Luca fu trasferito da Fosso a Roma. Si avvicinava il processo. Il processo del secolo. Nel nuovo carcere rivide un po’ tutti i suoi coimputati. C’era anche Franco. Non aveva l’impermeabile. Ma una maglietta Lacoste e un paio di jeans tagliati per farli diventare corti.
Franco era proprio in forma. Luca un po’ malconcio. Ma tutti e due erano vivi. E ora potevano dirsi quello che volevano. Due anni a scriversi stando sul vago e andare avanti per sottintesi per via della censura sulla posta.
A Roma le scatole non c’erano più. L’aria ora Luca la faceva in grandi campi di terra battuta. E andava avanti e indietro con Franco per ore.
«Hai mica ripensato a quella storia?» gli disse Franco un giorno che era a pranzo nella sua cella.
«Ci ho ripensato Franco, e ho un sacco di cose da dirti».
«Prima io».
Chiamò la guardia, sgattaiolò fuori e dopo un attimo Luca aveva tra le mani un rapporto digos del ’79. Lesse d’un soffio. Poi rivolto a Franco: «C’è scritto che fonte confidenziale segnala in Federico il tiratore di via de Amicis, ti sei accorto?»
«Mi sono accorto sì, se no non te lo facevo vedere».
«Ma dove l’hai preso?»
«Agli atti del processo del gruppo che ha tirato giù il gioielliere».
«Ho capito, anche se non mi viene il nome».
«A chi pensi?»
«Prima tu».
Franco ridacchiò: «Il postino di Varese».
«Ma tu lo conoscevi?»
«Purtroppo lo conoscevo, mi ha tirato una tentata».
«Sai che io non me lo ricordo per niente».
«L’importante è che si ricordi lui».
«Come fai a saperlo?»
«Ho letto le sue deposizioni agli atti».
«Oh, ma leggi tutto».
«Sai, in galera…»
«Ma gli atti li leggevi anche fuori…»
«Tu ti dimentichi che io sono stato già in galera una volta».
«Ma non potrebbe essere il ricciolino?»
«Il ricciolino comincia a cantare nell’ottobre ’80, mentre il rapporto digos è dell’ottobre ’79».
«Anche il rapporto sulla rapina è del ’79».
«Ma quello era dei caramba, mentre questo è digos».
«E allora?»
«È difficile che l’informatore lavori per tutti e due».
«E allora perché dici il postino di Varese?»
«Perché mi viene in mente solo lui».
«Lo sai che Carlo mi ha raccontato un sacco di cose a Fosso?»
«Cosa?»
«La cosa dell’arresto al bar del lago…»
«Quella storia lì puzzava da un miglio infatti».
«Sapevano anche i soprannomi».
«Chi te l’ha detto?»
«Claudio».
«E poi?»
«Che il ricciolino conosceva il postino».
«Questa non è una grande notizia. Stavano nella stessa banda e prima eravamo tutti assieme».
«Solo che se il ricciolino aveva contatti col postino dopo l’arresto di Claudio e gli altri…»
«Avere contatti è già una cosa diversa dal conoscersi».
«Fammi finire. Se il postino è un infiltrato dall’arresto di Claudio almeno, e diventa pentito dopo il suo arresto nell’ottobre ’81, quand’era infiltrato aveva contatti con il ricciolino…»
«Ti seguo».
«In mezzo c’è il giornalista ammazzato dal ricciolino e la morte di Massimo».
«Vedo che la galera ti ha sviluppato l’intuizione».
«Ma cosa ci faccio con queste notizie?»
«Nulla ci facciamo. Sono ragionamenti. Non c’è prova di nulla».
«Parli come Carlo».
«Non so cosa dice Carlo. Questo è quello che dico io».
«Ma dietro la storia della rapina, c’è il postino?»
«È molto probabile. Anzi quasi certo».
«Ma lo sapeva?»
«Lo sapeva sì. Quelli di Varese sapevano quasi tutto».
«Ma allora perché non mi hanno arrestato subito?»
«Quando subito, nel ’75?»
«No, nel ’79 se il postino collabora da allora».
«Sai, ci possono stare tante ipotesi. Che il postino non abbia fatto il tuo nome davvero. Che lo abbia fatto e che i caramba per non bruciarlo come infiltrato abbiano preferito lasciar perdere la rapina. Sai rapina in più rapina in meno. E poi a te sapevano sempre dove trovarti, no?»
«Ma la storia che la foto segnaletica del postino era già agli atti del processo effecici?»
«Questo proprio non lo sapevo».
«Insomma, ma ‘sto postino cosa ha fatto dal marzo ’79 quando è diventato infiltrato e il novembre ’81 quando si è messo a fare il pentito?»
«Ho l’impressione che non lo sapremo mai».
«Bisognerebbe chiederlo ai giudici».
«Direi che più che ai giudici bisognerebbe domandarlo ai carabinieri».
«Chi glielo chiede?»
«Prima tu, prego».
* L’opera Trittico milanese di Paolo Pozzi, pubblicata sulla rivista Paginauno tra febbraio e settembre 2011, è composta da tre racconti: Controvoglia, La ragazza svanita nel nulla, Gli atti del postino, rispettivamente pubblicati sui numeri 21 (febbraio-marzo), 22 (aprile-maggio), 23 (giugno-settembre). Ringraziamo la rivista e l’autore per averci consentito la pubblicazione on line.