di Lorenza Ghinelli
Egregio Sig. Pier Luigi,
siamo spiacenti ma ci vediamo costretti a bocciare la sua prova finale in sceneggiatura.
Nonostante nessuno di noi fosse tenuto a farlo, abbiamo deciso all’unanimità di sintetizzarle i motivi che ci hanno impossibilitati nel prenderla seriamente in considerazione.
Tanto per cominciare: nessuno ha messo veti sugli argomenti da trattare, ma se si decide di scrivere una storia che mini alle basi la credibilità dello Stato e dei suoi rappresentanti, ci aspettiamo quanto meno che lei si sia documentato e che tale preparazione l’aiuti a non cadere in stereotipi banali e farse grottesche, o che quantomeno sia in grado di sviluppare la storia coerentemente, mantenendosi su un piano reale o possibilista, senza saltare ingenuamente da un genere all’altro.
Vede, Sig. Pier Luigi, addentrandosi nella lettura del suo manoscritto come ci si addentrerebbe in un ginepraio di notte, ci si confronta fino alla nausea con fratture multiple della sospensione dell’incredulità, termine egregio coniato da Samuel Taylor Coleridge che ha invaso come gramigna ogni manuale di sceneggiatura e che lei evidentemente ignora.
Apprezziamo il tentativo di superare lo stereotipo che vorrebbe dipingere ogni ministro come un trombone infagottato in un completo nero e strozzato da una cravatta blu se uomo o, se donna, in un tailleur; ma nel descrivere il suo personaggio lei è caduto in uno stereotipo opposto. Le confessiamo che dalla prima all’ultima pagina ci aspettavamo di vedere il ministro da lei tratteggiato comparire in tutina di latex e frusta in mano.
Ma i problemi sono decisamente altri: lei decide che questa donna non è un ministro qualunque, ma della pubblica istruzione. Ebbene, le pare quindi possibile che affronti il suo mandato come affronterebbe un corso di taglio e cucito?
Vede, nella sua sceneggiatura, oltre 40.000 insegnanti perdono il posto, gli istituti anticipano milioni di euro che lo stato non restituirà e i decreti ministeriali causano spaventosi ridimensionamenti delle offerte formative delle università pubbliche.
Ammettiamo che un disastro simile possa compiersi davvero e che, a differenza degli altri Stati europei, il nostro sia così idiota da tagliare i fondi alla scuola, all’università e alla ricerca nel disperato tentativo di contenere la spesa pubblica. Ma come spera che il suo personaggio possa risultare credibile? A pagina 30 il vice segretario dell’opposizione accusa il ministro di avere approvato nuovi tagli alla scuola e le sbatte sotto gli occhi i dati inconfutabili che provano le sue parole. E come reagisce il suo ministro? Con l’espressione di una cernia ipertiroidea. Sbatte le palpebre, incredula, e col labbro tremulo balbetta: «Non so quali dati lei legge, non è la verità, perché altrimenti il ministro dell’Economia e delle Finanze me lo avrebbe detto, me lo avrebbe detto».
Lei crede davvero che questo sia il modo migliore per raccontare uno Stato che ignora gli interessi dei cittadini? Perché se è di questo che vuole parlare la invitiamo a fare attenzione, personaggi simili mutano il dramma in commedia! Lei così sbaglia antagonista. È evidente che nella sua sceneggiatura gli antagonisti veri possono essere solo i cittadini stessi che permettono un simile governo dichiaratamente grottesco, ma se questa fosse stata la sua vera intenzione avrebbe dovuto giocare le sue carte in modo diverso. È palese invece una sua totale mancanza di consapevolezza e di padronanza del mestiere.
Lei è riuscito a scrivere una scena in cui il ministro della pubblica istruzione redige questo documento ufficiale: “Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro”.
Anche volendo sorvolare sul pessimo utilizzo della lingua italiana, non possiamo sorvolare sul resto. Lei crede davvero che uno Stato sceglierebbe simili rappresentanti? È oltre la fantasia. Uno Stato simile, ci creda, ci spaventerebbe a morte. Il suo ministro sembra una pedina il cui unico compito è assorbire le inevitabili frustrazioni del popolo, mentre il potere si esercita lontano dall’attenzione pubblica. Ci mostri quel potere allora, ce lo racconti.
Se invece desidera scrivere una parodia sul malfunzionamento dello Stato, non si limiti a copiare maldestramente quanto altri prima di lei hanno già fatto.
In ogni caso, la invitiamo caldamente non tanti a ripassarsi, ma almeno a sfogliare alcuni dei testi che avevamo suggerito: Manuale del film, scritto da Gianni Rondolino e Dario Tomasi, Introduzione alla sceneggiatura, di Domenique Parent-Altier, Story, di Robert McKee, Il viaggio dell’eroe, di Vogler. How not to write a screenplay, scritto da Denny Martin Flinn.
Ci è chiaro l’obiettivo che si era prefisso, ma lo manca clamorosamente. Vede, lei racconta uno Stato inetto e lo fa utilizzando stereotipi. Per questo non funziona. I suoi personaggi mancano di verosimiglianza, non sono credibili, sprovvisti come sono di profondità e complessità necessarie per rendere le storie e i suoi protagonisti meritevoli di essere raccontati.
La Direzione.