di Alessandro Bresolin
[Questo articolo è apparso sulla rivista belga “Fédéchoses”. Ecco perché, all’inizio, ricapitola temi e vicende molto noti ai lettori italiani.]
Cose dell’altro mondo
Fin dalla sua nascita la Lega Nord più che un’ideologia vuole rappresentare una mentalità, e un semplice fatto di costume può aiutare a svelarla. L’inverno scorso il regista campano-veneto Francesco Patierno, che stava girando un film dal titolo “Cose dell’altro mondo”, si è visto negare dal comune di Treviso la possibilità di utilizzare la città come set cinematografico. La polemica era squisitamente politica, dal momento che Patierno immaginava nel film un’Italia in cui da un giorno all’altro gli immigrati se ne vanno, abbandonando gli italiani a se stessi. L’attore principale, Diego Abatantuono, nel ruolo di un cinico e fanfarone imprenditore del nord, dava al film i connotati della classica commedia all’italiana in cui si ride e si riflette. Ma l’idea che una commedia nazionale parlasse di razzismo, immigrazione, pregiudizi, etc, mandava su tutte le furie sindaci e amministratori locali. E così, via alle dichiarazioni: “Basta con questi film che danno un’immagine distorta del Veneto e dei veneti”, ha tuonato la coppia Gentilini-Gobbo, sindaci di Treviso, che a suo tempo voleva vestire gli immigrati da leprotti per allenare i cacciatori; “E’ una vergogna, il solito razzismo verso i veneti”, ha sbottato Bitoci, sindaco leghista di Cittadella celebre per aver vietato i Kebab nella sua città, il quale, godendo della doppia carica di onorevole, ha avuto anche il buon tempo di lanciare un interpellanza parlamentare contro questo film.
Infine Patierno riuscì comunque a girare il film dal momento che Cimatti, il sindaco non leghista di Bassano del Grappa, accolse ben volentieri il set nella sua città. Oggi che il film è stato presentato al Festival del cinema di Venezia la polemica ancora non si è spenta e Cimatti viene tuttora accusato di “blasfemia” da politici, militanti e blogger leghisti in rivolta, per aver reso possibile la realizzazione di un film che ironizza su una mentalità. Secondo lo scrittore algerino Hamid Skif, uno dei tratti tipici della mentalità dei fondamentalisti è la totale mancanza di senso dell’umorismo, e soprattutto “non accettano che si rida di loro, non sopportano di essere trasformati in guignol”.
Il partito dell’appartenenza
E’ opinione diffusa che sia merito della Lega lo sdoganamento delle idee federaliste in Italia, dal punto di vista teorico però la Lega non ha sviluppato una coerente visione di un’Italia federale, ma un’ideologia di estrema destra. Non è diventato un partito federalista, ma è rimasto il partito degli interessi del nord. La Lega nasce come movimento di protesta alla fine degli anni 1980, nel contesto della crisi delle ideologie e del crollo del blocco sovietico, in un paese, l’Italia, in cui il sistema politico stava andando progressivamente in cancrena e che poi è collassato con le inchieste di Mani pulite e la successiva fine della Prima Repubblica. In questa fase la Lega, se da un lato dà fiato al disgusto spontaneo per un sistema ritenuto corrotto, dall’altro, in un momento in cui gran parte dell’elettorato era ormai politicamente orfano dopo la fine della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano, cerca di proporsi come referente politico affidabile, in quanto paladino degli interessi economici del nord, proponendosi come il partito contro le tasse.
Il leghismo ha fatto leva su un ossessivo razzismo antimeridionale, esasperando i cliché di un nord laborioso contro un sud fannullone. Il messaggio, tanto diretto quanto populista, individuava nel centralismo romano la causa dei mali del paese, facendo finta di ignorare che il benessere diffuso del nord era figlio di quell’Italia, di quel sistema-paese di cui hanno approfittato ampiamente le economie del nord dagli anni 50 ai 90. Il miracolo economico del nordest è avvenuto in Italia, per intenderci, sotto i governi Andreotti e Craxi, ed è stato possibile solo grazie ai vantaggi che da ciò ne derivavano, nel bene e nel male, nel legale e nell’illegale. In questa omissione, c’è tutta l’ipocrisia dell’ideologia leghista della prima ora.
Se Roma era ladrona e anche la chiesa romana era corrotta, allora serviva creare una tradizione diversa anche dal punto di vista spirituale. Non è un caso che Umberto Bossi, malgrado la trivialità dei messaggi, abbia reintrodotto delle forme di sacralità in politica con i vari riti delle presunte origini celtiche che proiettavano l’identità padana in un mondo pre-cristiano, pre-moderno e pre-democratico. Fiorisce tutta la simbologia dell’ampolla del Po, del Sole delle Alpi, i dipinti epici sul popolo padano in marcia verso la liberà. Non deve sorprendere poi se nell’ideologia leghista, all’originaria identità celtica si sia sovrapposta la difesa dell’identità cristiana, del cattolicesimo più tradizionalista e reazionario, quello pre-conciliare, quello dei lefevriani come il negazionista e antisemita don Floriano Abrahamowicz. Infatti il nemico non era più o non solo il sud, cominciava a essere l’immigrato, l’extracomunitario, e di riflesso l’islam, in una sommatoria di paure e rancori che sovrappone l’antiislamismo all’antimeridionalismo. Ma le intolleranze leghiste sono molteplici: gli zingari, il buonismo e il cosmopolitismo di sinistra, gli omosessuali, Bruxelles e lo strapotere dell’Europa dei banchieri, della massoneria, dei pedofili e della lobby ebraica. A tutto questo il partito contrappone la risposta etnica e identitaria, il motto “padroni a casa nostra”, e i suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale sono l’insicurezza e la criminalità.
Dal 2000 la giunta della Regione Veneto ha cambiato nome all’“Assessorato alla cultura” in “Assessorato alle politiche per la cultura e l’identità veneta”, e una scelta analoga è stata fatta in Lombardia. In questo modo la Lega ha fondato il proprio potere sul concetto di appartenenza, in quanto i veneti non sono i residenti nella regione, ma chi fa parte del popolo veneto per discendenza. Si è imposta una retorica identitaria elevata a ideologia che reinterpreta l’uso della cultura e della storia locale, dei dialetti e dell’identità collettiva discriminando gli indigeni dagli oriundi. Tempo fa in un’intervista l’assessore Serrajotto affermava che “i veneti devono innamorarsi della propria storia.” Una buona cosa se si trattasse di ricercare la complessità delle relazioni storiche, poichè nel nostro territorio le razze si sono sempre intrecciate e Venezia stessa era un crocevia di comunità diverse. Invece si ha un approccio identitario alla storia locale, e il compito dello storico diventa spettacolo e propaganda, spiegare come mai i veneti sono sempre state vincenti nel commercio, nella cultura, nel fare.
Gli assessorati comunali continuano a riscoprire e inventare feste e tradizioni legate alla perduta civiltà contadina, ai valori tradizionali della comunità, e le piazze sono sempre più invase da sagre e rievocazioni storiche in costume che esaltano la “cultura d’appartenenza”. Queste iniziative appartengono a una mentalità diffusa che vuole segnare una linea di demarcazione tra noi e loro, che utilizza in modo più o meno consapevole la cultura locale, le feste, la religione e la storia per spiegare chi sono i veri veneti, come sono, cosa fanno e come si devono comportare. Una visione chiusa e daltonica della realtà, che rifiuta la società multietnica formatasi nelle nostre città, nelle campagne e nelle zone industriali, dove l’immigrazione ridisegna i contorni dell’identità, formandone una nuova.
La padana Repubblica di Salò
La questione sta nel capire gli obiettivi finali della Lega: decentramento, autonomia locale, federalismo, o un nuovo nazionalismo con il tentativo di costruire un’identità proto-nazionale? Le sue parole d’ordine da sempre tradiscono un’ambiguità di fondo tra un’opzione federale e un’opzione secessionista che prevede la formazione di un vero e proprio Stato, la Padania, dotato di un parlamento e una costituzione. La virata dalla secessione al federalismo degli anni scorsi è stata puramente tattica e strumentale. Un partito che si vuole d’ispirazione federalista deve darsi dei validi modelli teorici e pratici. Per alcuni anni, tra gli ottanta e i primi novanta, l’ideologo di riferimento della Lega è stato Gianfranco Miglio, giurista e politologo consevatore che sosteneva di voler lasciare il sud al governo della mafia, della Camorra e della ‘Ndrangheta e che predicava la necessità, nell’Europa che sta rivivendo le invasioni barbariche, di “mantenere la distinzione tra schiavi e liberi”.
Anche in ambito internazionale i punti di riferimento della Lega volgono piuttosto verso l’estremismo nazional-regionalista, e lo testimoniano le simpatie per la Serbia di Mladic e Milosevic, per lo sciovinismo russo di Zirinovskj, per il nazionalismo fiammingo del Vlaams Block prima e del Vlaams Belang poi, per il Fpoe di Joerg Haider in Carinzia, e per il Front National di Le Pen e per il Bloc Identitaire in Francia.
Non si può definire la Lega Nord come un partito neofascista classico, in quanto al suo interno coabitano diverse anime e nel corso degli anni i suoi dirigenti sono riusciti a confondere le piste ideologiche in diversi modi. Inizialmente, la Lega non rivendicava un’identità di destra, anzi rivendicava un certo antifascismo di facciata, in cui si poteva leggere la necessità di smarcarsi, di non disorientare gli elettori, in quanto nella storia italiana non c’è nulla di più centralista del fascismo. Anzi, il fascismo storicamente ha rappresentato la repressione di ogni diversità locale (i tedeschi dell’Alto Adige e gli sloveni ne sanno qualcosa) in nome del nazionalismo e dell’italianità. Ma dalla metà degli anni novanta, dopo la svolta attuata da Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi in cui l’M.S.I/A.N. abbandona progessivamente l’anima fascista per abbracciare, fino alla fusione nel P.D.L., quella cattolica-popolare, la Lega Nord ha assunto il compito di rappresentare il nuovo estremismo identitario nel nord Italia.
E’ un fatto che tanti esponenti della destra radicale siano approdati alla Lega con grande profitto. Un esempio su tutti il sindaco di Verona Flavio Tosi, ora considerato come il vero astro nascente del partito. Nella sua lista elettorale, la “Lista Tosi”, un nome di spicco era riservato all’estremista nero Andrea Miglioranzi, noto esponente del mondo naziskin e leader del gruppo musicale Gesta Bellica, con canzoni dedicate a Erik Priebke o inneggianti all’odio antisemita. Nel 2006, poco prima della discesa in campo di Miglioranzi con Tosi, i Gesta Bellica annuciarono il loro scioglimento durante il meeting neonazista Ritorno a Camelot e nel 2007, appena eletto sindaco, la camicia verde Flavio Tosi non ebbe timore nel partecipare a una manifestazione organizzata da Fiamma Tricolore, Forza Nuova e Veneto Fronte Skinhead. Come primo atto politico del nuovo consiglio comunale, nominò Andrea Miglioranzi presso l’Istituto Storico della Resistenza di Verona. Le reazioni e la polemica che ne seguì fu tanto forte da costringere Miglioranzi a rinunciare alla nomina, ma la sua carriera era avviata e oggi, oltre che capogruppo della Lista Tosi in Consiglio Comunale, è presidente della Veneto Exhibition, un’azienda controllata per il 70% da Veronafiere e il 30% dalla finanziaria regionale Veneto Sviluppo.
L’anima reazionaria della Lega è ben espressa dal deputato Borghezio e dal ministro Calderoli, che recentemente hanno proposto l’abolizione della festa per la liberazione dal nazi-fascismo del 25 aprile e non perdono occasione per svilire il valore della Resistenza, nell’intento di delegittimare la Repubblica e la Costituzione. Borghezio da eurodeputato partecipa a svariati incontri internazionali, diventando l’ambasciatore di questa nuova ideologia di estrema destra regionalista. Nel marzo 2009 in Francia, ospite a un meeting promosso dal “Bloc Identitaire Niçois”, spiega bene quanto la Lega Nord sia diventata un modello, originale e da imitare, per l’estrema destra europea. Secondo Borghezio la strategia da seguire anche in Francia è quella vincente attuata dalla Lega in Italia, e così la spiega rispondendo ai dubbi di alcuni militanti: “Bisogna entrare nelle amministrazioni e nelle piccole città. Bisogna insistere molto sull’aspetto regionalista del vostro movimento. […] E’ il modo giusto per non essere classificati immediatamente come fascisti nostalgici ma come un nuovo movimento regionale, cattolico, etc., anche se sotto queste cose siamo sempre gli stessi.”
Il mito della forza, della razza, il riferimento a un mondo mistico fatto di re, cavalieri e croci celtiche, l’autoritarismo, il disprezzo per l’esperienza storica della Resistenza e della Repubblica, sono alcuni elementi comuni alla vecchia mentalità fascista e al nuovo nazional-regionalismo. Inoltre, geograficamente e simbolicamente, condividono la nostalgia per la mussoliniana Repubblica Sociale di Salò, i cui confini praticamente combaciano con quelli della Padania, in quanto unico precedente storico in cui il nord Italia sia mai stato unito e indipendente. Fascisti e leghisti esprimono quindi l’idea di un peculiare autoritarismo nordista e pretendono di rappresentare non dei cittadini ma un popolo, un etnia, e di difenderne i valori tradizionali e il territorio con metodi e strutture paramilitari, come la Guardia Nazionale Padana e le ronde per la sicurezza.
Tutto questo non ha nulla a che vedere con la tradizione politica federalista, quella che animava gran parte della Resistenza europea e che Norberto Bobbio definiva per sua natura “pacifista, antiautocratica e democratica”. Perciò non è colpa del popolo italiano se ormai solo a sentire la parola federalismo gli viene l’orticaria, perché se c’è un movimento che ha danneggiato la causa di quell’ideale federalista che, per dirla con Camus, ha come missione centrale quella di “unire le differenze”, questo è proprio la Lega Nord.