di Valerio Evangelisti
Introduzione a Vittorio Curtoni, Bianco su nero e altre storie, Odissea Fantascienza 49, Delos Books 2011, pp. 216, € 12.
È un po’ come scegliere di regnare all’inferno, invece di servire in paradiso. È ciò che ha fatto Vittorio Curtoni quando, ancora giovanissimo, scelse la fantascienza quale suo campo espressivo. In realtà, saprebbe scrivere qualsiasi cosa in ogni dominio narrativo, con risultati sicuramente straordinari. Pochi come lui padroneggiano lingua e stile, tempi e capacità di sintesi. Ciò gli è stato ampiamente riconosciuto dal mondo culturale in veste di traduttore dall’inglese, specialità nella quale si è cimentato senza esitazioni con gli autori e con i generi più disparati. Tuttavia la passione di Curtoni rimane la science-fiction o il fantastico, pur sapendo che si tratta di settori che, in Italia, non garantiscono facili riconoscimenti (certo meno del poliziesco, e persino del fantasy — diverso dal fantastico perché adotta stilemi, più o meno flessibili, derivati da Tolkien). All’interno di uno spicchio creativo circondato da infiniti fossati Curtoni si è proposto uno scopo niente affatto umile: essere il migliore. Ci è riuscito.
Anzitutto come organizzatore. Le sue curatele di Galassia, Robot, Aliens hanno marcato la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, con nessun rivale sotto il profilo dell’innovazione, della scoperta, della riscoperta. Malgrado esperimenti coraggiosi come la rivista Gamma o l’antologia periodica Interplanet, la sf restava la cenerentola della letteratura, chiusa tra mura che nessuno osava valicare. Un poco come il fumetto, ancora ritenuto — solo ed esclusivamente in Italia — prodotto narrativo per bambini. Con le riviste citate, ma soprattutto con Robot, Curtoni sfonda i recinti del ghetto, contamina la fantascienza con le problematiche del presente, la fa vivere quale oggetto di cultura dotato di vita propria e di proprie regole, ma non staccato dall’ambito che lo circonda.
Sono innumerevoli le rivalutazioni d’autore tentate e riuscite da Curtoni. Dick, Silverberg, Ballard, Sturgeon, Leiber, Lafferty. Di alcuni di costoro parlano oggi le storie della letteratura, e sono contesi tra importanti case editrici. Lo stesso Curtoni ha figurato in raccolte scolastiche e in collezioni di racconti, l’arte narrativa in cui eccelle. È infatti scrittore in proprio, particolarmente versato nelle storie brevi, a volte suggestive e a volte dissacranti, mai vuote di sostanza. Se il modello ispiratore era inizialmente Ballard, in seguito si è fatto egli stesso punto di riferimento, libero da qualsiasi scuola o costrizione. Persino da quelle cui la fantascienza nata sulle riviste per adepti si è via via assoggettata, senza peraltro ledere l’originalità dell’intero genere.
Era quanto mai opportuno, direi urgente, raccogliere in un’antologia il Curtoni di ieri e di oggi, presentando a una nuova generazione di lettori testi inediti, rari o sparsi in una pletora di pubblicazioni. Per apprezzarne l’eleganza, la sapienza di scrittura, la facilità apparente che nasconde complessità. Troviamo così l’inedito ed esilarante Incidente sessuale, l’ormai classico L’uomo, l’ombrello e altre cose in versione rivisitata, il recentissimo La gaia bomba, ecc. Racconti attuali e non. Dal grottesco al drammatico, in tutta una gamma di tonalità.
Va notato comunque, nella produzione recente di Curtoni, un progressivo slittamento in direzione del fantastico puro, come i racconti compresi in questa antologia testimoniano. A ben vedere, alla sf propriamente intesa appartengono solo alcuni testi, quelli che ho citato perché rappresentano la vera novità di questo libro. Per esempio Incidente sessuale, divertente incontro con una razza aliena dotata, diciamo così, di “doni nascosti”. Una scorribanda degna di un Eric Frank Russell (Galassia che vai) meno pudico. La gaia bomba, con una forte presa sulla nostra realtà, alla maniera degli scritti brevi di Sheckley. E un poco anche, come si scopre gradualmente, L’uomo, l’ombrello e altre cose, degno del Philip K. Dick più geniale e visionario. Ma Curtoni è Curtoni, è inutile cercargli ascendenti. Gli altri racconti sfiorano l’horror o il paradossale, senza pretesti parascientifici di sorta. Il fine comune è spiazzare, dare al lettore una diversa lettura del presente.
Non si cerchino in Curtoni l’avventura fine a se stessa, il paradosso buffo ma inconcludente, la parabola ammonitrice, la sorpresa da due soldi. Lui non è così, per indole intrinseca. Abituato a cercare attorno a sé il paradosso, l’incongruenza, il dettaglio che si presta all’ironia o alla critica, modella su questi la propria narrazione. Quando è con gli amici in un bar di Piacenza come quando scrive. Tante volte i suoi racconti prendono le mosse da una esperienza autobiografica, da un piccolo incidente, da un controsenso rilevato di persona. Il resto segue guidato da un implacabile rigore logico, che allarga la fessura fino a farne voragine.
E’ questo il segreto di tanti scritti di Vittorio Curtoni, il quid che li rende irripetibili. L’autore parla essenzialmente di sé. Non per solipsismo, ma per quella sincerità che dovrebbe ispirare ogni scrittore degno di nota. Capace di mostrarsi in pubblico senza pudore, perché il lettore più sensibile cerca essenzialmente l’incontro con un’altra personalità. Se gli sviluppi sono poi fantascientifici o fantastici, lo si deve alla particolare lente deformata — ma non sarà l’unica affidabile? — con cui il narratore guarda il mondo.
Gli alieni del vecchio film di sf La guerra dei mondi, di Byron Haskin, avevano pupille tripartite e variamente colorate. Vedevano un universo completamente differente dal nostro. Ciò vale anche per autori di rango capaci di scrutare l’imperscrutabile, e di costruire sul presente, a partire dal loro punto di vista, probabili o improbabili evoluzioni future. Curtoni solipsista? Non lo fu forse anche Philip K. Dick, che ha avuto proprio in Curtoni il più raffinato dei suoi traduttori?
Ci sono due modi per affrontare le lettura di questi racconti. Uno è abbandonarsi alla storia pura e semplice. L’altro è leggere lentamente, scoprendo ellissi sapienti, giri di frase abilissimi, momenti stilistici di grande eleganza.
Simili virtuosismi non sono tanto frequenti nel fantastico italiano, dove peraltro Curtoni ha seminato bene. Non lo sono nemmeno nel filone prevalente all’interno del mondo letterario ufficiale, dove fioccano premi su opere effimere, raramente sincere.
Ma Vittorio Curtoni non si può lamentare. Ha deciso di regnare all’inferno, e lì resta in veste di sovrano. Assiso su un trono che scotta (in effetti ha un sacco di problemi proprio da quel lato) e circondato da coorti, minoritarie e tuttavia consistenti, che acclamano la natura magistrale della sua scrittura e della sua militanza critica. Somiglia un poco ad Azathoth, la divinità pazza e cieca collocata da H. P. Lovecraft al centro del cosmo. Solo che Curtoni è fin troppo intelligente, e vede più in là di tutti.
Un ottimo sovrano, a mio parere.