di Antonino Fazio
Maurizio Cometto, Cambio di stagione. Edizioni Il Foglio, 2011, pp. 280, € 15,00.
Creatura curiosamente ibrida questa di Cometto, al tempo stesso romanzo sui generis, e antologia atipica. I capitoli nei quali si dovrebbe sviluppare la trama sono in realtà autoconclusivi. Ne dovremmo desumere che siano dei racconti, se non fosse che il protagonista è sempre lo stesso, Fabrizio, un alter-ego dell’autore fin troppo trasparente. La somiglianza tra autore e personaggio è tale che, in alcune storie, i due soggetti tendono quasi a scambiarsi di posto. Ciò accade ad esempio, in “Sogni”, un racconto (non a caso l’unico narrato in terza persona) nel quale Fabrizio ha una vita che sembra prendere in prestito alcuni dettagli dalla vita di un misterioso Maurizio, che visita i sogni della sua ragazza, Cristina.
È come se Fabrizio e Maurizio fossero la stessa persona, ma dislocata in due universi paralleli, che saltuariamente possono entrare in contatto, o addirittura sovrapporsi, provocando travasi e spostamenti anche fisici di elementi, che si suppone siano presenti su uno solo di questi due mondi, separati eppure contigui: è il caso dei gatti (Betty, e poi anche Parker) in “L’altra casa”.
I racconti – o capitoli – del libro descrivono invariabilmente dei punti di rottura di una realtà quotidiana che è quella del protagonista, ma è anche quella di ciascuno di noi. Una realtà nella quale fanno irruzione di volta in volta la crisi economica, la situazione politica, la malattia, ed altre emergenze che producono delle fratture, degli smottamenti nella struttura del continuum spazio-temporale, dei momenti di tracollo, trascorsi i quali il mondo sembra riacquistare un suo equilibrio, ma finisce col ritrovarsi sempre più spostato verso l’orlo di un precipizio. Un cataclisma definitivo che minaccia di inghiottirlo da un momento all’altro.
Questa realtà instabile, sempre sul punto di sgretolarsi, è tuttavia quella a cui ci aggrappiamo, nel tentativo di evitare lo smottamento. In un passaggio del racconto “Sogni”, uno dei personaggi, in cerca di un’impossibile rassicurazione, dice: “Non preoccuparti. Questa è la realtà. Non può succederci nulla di male, nella realtà.” L’emergere del fantastico, in Cometto, ha come punto di partenza sempre degli elementi reali: una mail, un flacone di Viakal, la centrifuga di una lavatrice nuova, una stazione “fantasma” della Metropolitana (una fermata non attivata, che a Torino esiste davvero). Per lui, come per Buzzati, il fantastico è già lì, dietro l’angolo, nelle pieghe della banalità di ogni giorno.
Una Torino più pensata che descritta, e che si intuisce presente nella mente dell’autore, è lo sfondo perfetto per questo fantastico così prossimo alla normalità. Basta avere un minimo di sensibilità per esserne subito contagiati, in modo forse irreparabile.
Il fantastico, in “Cambio di stagione”, sfuma agevolmente nel surreale, e talvolta sfiora il grottesco, come quando, ad esempio, nell’azienda di Fabrizio, per fronteggiare un fenomeno di natura misteriosa viene convocata “una commissione scientifica dell’Università di Torino insieme a un’equipe di esorcisti scelti direttamente dal Vescovo”.
La cosa più sorprendente è che l’arrivo del fantastico non rende la realtà meno reale, ma semmai il contrario. Tra la nostra realtà e quella che ci scorre accanto (il fantastico consiste in questa prossimità, in definitiva) c’è una breve distanza, che a volte è incolmabile, e a volte può essere superata, solitamente in modo involontario, ma non sempre. Tale distanza, in Cometto, equivale in qualche modo alla distanza che esiste nelle sue storie tra l’autore e il suo protagonista, ma, e questa è una notazione essenziale, la scissione narrativa tra Fabrizio e Maurizio non testimonia affatto una sorta di schizofrenia creativa o letteraria, come accade di trovare in altri casi. Sembra piuttosto che l’autore riesca a percepire gli eventi nella vita di un qualunque individuo come delle occasioni in cui il caso, o le decisioni, hanno prodotto una svolta esistenziale, senza che le linee alternative di sviluppo siano andate perse in via definitiva.
La sopravvivenza di queste linee mina in qualche modo il corso principale della storia personale di ciascuno, provocando talvolta un collasso di ciò che siamo abituati a percepire come il reale. Eppure, come in Kafka o Dick, la descrizione dell’inconsistenza del reale, malgrado l’inquietudine che si trascina dietro, non nutre unicamente le angosce e gli incubi, le fragilità e le incertezze dell’anima, ma arricchisce la nostra capacità percettiva, mettendoci in grado di avvertire meglio le sfumature di un’esistenza che altrimenti potrebbe apparirci fin troppo piatta, anche se magari più rassicurante.
Questo, al di là della leggibilità assoluta del testo, è il pregio più evidente del libro di Cometto, un “cambio di stagione” che potrebbe modificare la nostra idea di cosa sia il fantastico oggi in Italia.