di Roberto Sturm
Nicoletta Vallorani, Occhi di lupo, Senzapatria, Ascoli Piceno 2010, pp. 64, €5,00 e Alessandro Tamburini, Quel che so di Adonai, Italic, Ancona 2010, pp. 240, €16,50
L’immigrazione e la paura del diverso, temi purtroppo attuali e legati a doppio filo tra di loro, sono la caratteristica principale di due testi, recentemente in libreria. Senzapatria ha riproposto un racconto lungo, già pubblicato tempo fa, di Nicoletta Vallorani. La scrittrice marchigiana, da anni trapiantata a Milano, vince il Premio Urania nel 1992 con Il cuore finto di DR e si impone poi come una delle migliori autrici italiane di noir e storie per bambini. Con il suo stile elegante ma mai ridondante e con le sue atmosfere che rimangono indelebilmente impresse nella memoria, ci ha regalato delle vere e proprie perle letterarie, come Choukra, uno dei migliori racconti di fantascienza mai apparsi in Italia (e pubblicato nel numero 3 di Carmilla cartaceo, nel 1996!).
Occhi di lupo è una favola post-catastrofica che racconta di un gruppo stabilitosi nelle Terre del Nord. È una micro società basata sul matriarcato. Le donne, infatti, sono più preparate ad affrontare le condizioni meteorologiche avverse e da loro dipende la continuazione della specie. Il bestiame, custodito in un recinto, è l’unica fonte di sopravvivenza e viene guardato a vista da un Guardiano donna a turno.
La storia è narrata dal punto di vista di Azùl, una ragazza che cresce insieme a una sorella di latte nata il suo stesso giorno, Alegre. Sono profondamente diverse fisicamente: Alegre, infatti, è nata da una donna del nord e un uomo del mare, ha la pelle olivastra, e sua madre — Laris — che muore poco dopo averla data alla luce, non ha mai smentito le dicerie sulla paternità della figlia. Alegre viene affidata alla madre di Azùl, dato che è la donna più forte del gruppo e le due ragazzine crescono insieme, come gemelle. Alegre è più estroversa, più razionale mentre Azùl è più istintiva e meno aperta.
La tranquillità del gruppo viene sconvolta da diversi attacchi notturni alla mandria. Diverse custodi vengono ferite seriamente e gli animali uccisi e sbranati. Durante una di queste aggressioni Alegre sparisce e Azùl intravede gli occhi di un uomo lupo. Li ricollega alle leggende che parlano dei Senzamadre, creature orribili che attaccherebbero il bestiame. Alegre non ha mai creduto a queste fantasticherie ma Azùl giura che un giorno andrà a cercare occhi di lupo per vendicarsi della scomparsa della sorella.
Quel giorno arriva, ma non sarà come ha sempre pensato Azùl. La ragazza si rende conto, infatti, che aveva ragione la sorella a non credere a queste superstizioni popolari.
La storia è un inno alla diversità vista come arricchimento, come fonte di confronto costruttivo e anche un invito a non fermarsi di fronte alle apparenze.
Assolutamente di stampo realista, invece, Quel che so di Adonai di Alessandro Tamburini, autore con diversi romanzi editi alle spalle. Michele, architetto, separato con due figli e che vive una relazione a distanza, una sera investe e uccide un giovane extracomunitario sulla tangenziale. Il brutto tempo e l’avventatezza del ragazzo nello sbucare improvvisamente sono le cause dell’accaduto. Ma nonostante non abbia niente da rimproverarsi, Michele da quella sera non si sente più tranquillo. Per questo comincia a fare delle indagine personali per sapere di più su Adonai, il nome del ragazzo di cui nessuno è andato a reclamare il cadavere. Man mano che le sue indagini vanno avanti Michele si trova, all’inizio forse inconsapevolmente, a percorrere la strada inversa fatta da Adonai. E più il viaggio prosegue più Michele scopre il crudele destino di uomini che lasciano il proprio paese, le proprie abitudini, i propri cari non per scelta. La miseria o regimi autoritari, la guerra o la speranza di dare un futuro migliore ai propri familiari sono le ragioni a monte di simili tragedie. E le faide tra gli extracomunitari stessi per strappare all’altro una sistemazione migliore o un lavoro in nero, il mercato dei clandestini con cui esseri spregevoli si arricchiscono chiedendo migliaia di dollari per un posto in un barcone che sta a galla a malapena, la crudeltà degli eserciti dei paesi in cui transitano che li spogliano di quanto resta in loro possesso, non sono altro che i rovesci di una stessa medaglia: la disperazione.
Ben presto Michele si rende conto che il suo obiettivo è quello di raggiungere il punto di partenza di Adonai: Eritrea, Asmara, la famiglia del giovane.
Così un giorno si ritrova sulla soglia della misera casa della famiglia di Adonai e conosce la madre, la sorella, i fratelli e lo zio. Non confessa subito di essere la causa della morte del ragazzo ma di essere un amico. Ed è così che viene accolto.
A Michele si aprono le porte di un nuovo mondo e anche dopo che confessa la sua “colpa”, nonostante l’iniziale sospetto e diffidenza della famiglia del giovane, continua a essere trattato come un ospite di riguardo. E il suo senso di estraniamento lentamente si placa.
Quello che colpisce è l’atteggiamento dei familiari di Adonai: uno spirito di accoglienza, la dignità del loro dolore e della loro povertà, un orgoglio di appartenenza che è tutto il contrario dell’ipocrita amor di patria sono sentimenti che mancano quasi totalmente agli abitanti dell’occidente da così tanto tempo civilizzato.
Quella che doveva essere una breve visita si trasforma in un soggiorno di mesi. Saranno i figli, infatti, ad andare a trovare Michele preoccupati dal suo comportamento. E alla fine capiranno anche loro che il posto di Michele è proprio lì, in quel posto sperduto dell’Africa dove sta dirigendo la costruzione della nuova casa della famiglia di Adonai e cominciando una nuova vita accanto a una nuova compagna.