di Stefano Pacini
[Il fotografo Stefano Pacini ha ritrovato nell’archivio domestico le fotografie del suo viaggio – poco meno che ventenne – nel Portogallo della Rivoluzione dei Garofani. Vi proponiamo alcuni scatti assieme a una pagina di memorie] A.P.
L’auto ce l’ha prestata Carlo. In piazza quando siamo partiti sembrava che andassimo alla guerra: madri in lacrime, un sacco di amici preoccupati, ci hanno allungato persino un pezzo di prosciutto. Sanno che laggiù sarà difficile anche telefonare. Io non ho la patente, Maurizio neppure e Alì ce l’ha da due mesi e guida come un pazzo. Il problema della macchina è che a freddo non parte e quindi la notte cerchiamo di parcheggiarla in discesa. Oppure la mattina scendiamo tutti a spingerla per poi entrarci al volo. Alla prima frontiera con la Spagna tutto bene, ma quando arriviamo a quella con il Portogallo le Guardie Civil di Franco non hanno creduto che eravamo turisti. Ci hanno perquisito l’auto e quando finalmente siamo ripartiti uno di loro ha sputato per terra dicendo schifato: “comunisti”. Noi allora appena entrati in Portogallo abbiamo cantato a squarciagola l’Internazionale, con i pugni chiusi fuori dai finestrini. Alcuni ci guardavano stupiti, un contadino con una zappa in spalla ci ha salutato.
A Lisbona stiamo in un vecchio albergo abbandonato con i pavimenti in legno occupato dagli italiani di Lotta Continua e vari gruppi in Rua do Prior. Sopra il portone uno spray rosso ha tracciato grande la scritta AARPI che sta per Associazione di Amicizia Rivoluzionaria Portogallo-Italia. C’è Boato, Paolo Hutter,Franco Platania, Paolo Ramundo, Sparagna per il PDUP, Carlo Panella che è il corrispondente di Lotta Continua e viaggia con una giornalista tedesca. Un giorno è stata indetta una conferenza stampa per spiegare che presto a Roma ci sarà una grande manifestazione della sinistra rivoluzionaria in solidarietà con il Portogallo, e la sera ci siamo rivisti al telegiornale. In un mobiletto ho trovato le diapositive delle foto scattate pochi mesi fa da Tano D’amico. Dalle finestre vediamo il Tago e mezza città. Dormiamo sopra brande che erano state dei soldati portoghesi nelle colonie in Africa. Ce le hanno portate i soldati rivoluzionari di una vicina caserma, soldati con i capelli lunghi che partecipano in divisa ed armati ai cortei di sinistra che percorrono tutti i giorni la città; ci sembra di sognare. In una piazza abbiamo trovato anche Pino Masi che cantava “l’ora del fucile “, si sentiva da lontano il suo tuonare. Scorrazziamo insieme a giornalisti tedeschi per il centro di Lisbona o nelle fattorie occupate dell’Alentejo. Ovunque accada qualcosa, scatto foto alla luce incredibile della città sul Tago con i suoi tram sferraglianti d’anteguerra, i suoi palazzi coperti di azulejos, i mercati all’aperto dove puoi trovare di tutto, dalle scarpe all’erba angolana, dagli zingari che suonano nenie tristi a neri giganteschi che vogliono solamente parlare con te curiosi di capire da dove vieni e cosa fai, mentre studenti universitari attaccano enormi manifesti e striscioni in stile maoista. Ragazzini a piedi nudi come i nostri scugnizzi napoletani si rincorrono dietro un pallone di stracci e un vecchietto malmesso ma con l’aria dignitosa mi domanda se voglio comperare un mensile anarchico che si chiama “Merda”(con la a cerchiata). Alla radio nazionale occupata da un collettivo di giornalisti abbiamo lasciato in dono alcuni dischi. Una mattina accendiamo la radio e in mezzo a un profluvio di parole in portoghese capiamo “disco, dono di compagni italiani, Area gruppo popolare internazionalista”, e subito dopo sentiamo con emozione la voce inconfondibile di Demetrio Stratos “… la mia rabbia legge sopra i quotidiani, canta il mio dolore, canta la mia storia, canta la mia gente che non vuol morir… ” Spesso scortiamo il corrispondente di Lotta Continua, che ci sembra vecchio anche se in realtà avrà trent’anni. La sera dopo aver avuto la linea nel palazzo dei telefoni detta l’articolo a Roma. Una mattina giunge la notizia che in Spagna il dittatore morente Franco farà fucilare cinque antifascisti Baschi e Catalani. Partiamo in corteo in migliaia, muovendo dal centro ci dirigiamo verso l’ambasciata di Spagna distante diversi chilometri. Entriamo dentro il consolato, poi dentro la compagnia Iberia, polverizzando ogni cosa con mazze, picconi e mani nude. Non ci ferma nessuno, molti ci applaudono mentre urliamo i nomi dei fucilati, la polizia sta a guardare, non vuole rogne. Arrivati all’ambasciata, un palazzo immenso, troviamo degli autobus dirottati da gruppi di ladruncoli del Rossio, mentre noi spacchiamo tutto loro “salvano ” argenteria, quadri, mobiletti, automobili persino, il loro mercato parallelo ci camperà per settimane. Dopo alcune ore arrivano dei camion carichi di parà, sparano raffiche di mitra in aria per disperderci. Me ne ritorno in Rua Do Prior a piedi portandomi a mo’ di trofeo una targa dell’ambasciata strappata dal portone. Per strada mi abbracciano scambiandomi per spagnolo.