di Valerio Evangelisti (da Il manifesto, 12 maggio 2011)
Marco Philopat, Duka, Rumble Bee, ed. Agenzia X, Milano, 2011, pp. 306, € 16,00.
Un On the Road dei tempi nostri in contesto italiano. Non saprei come meglio definire questo Rumble Bee scritto da Marco Philopat e dal Duka (ed. Agenzia X, Milano, 2011, pp. 306, € 15,00). Il romanzo narra del girovagare di due amici, Malcolm e Paul — non inganni il nome esotico, sono soprannomi — attraverso tutta Europa, e perfino fuori, in cerca di occasioni di scontro frontale col sistema, attraverso i canali sotterranei dell’antagonismo. Si va dai centri sociali nostrani a quelli esteri, dai concerti rock alle dimostrazioni contro il G8, dai raduni antifa alle mischie londinesi. Il tutto con aria svagata, da routards esperti, pronti a immergersi nella bagarre ovunque sia necessario. Con un mix di cinismo e di consapevolezza. Un atteggiamento punk rivisitato (e i riferimenti al punk degli anni ’70-’80 sono innumerevoli). Fino a trovare, a sorpresa, la rivolta nella stessa città, Torino, che si era lasciata perché troppo sonnolenta.
Gli autori sono i più indicati a guidarci in un viaggio così eccentrico. Il Duka è un nome storico dell’underground romano, simbolo vivente di quel bastione di resistenza controculturale che è Forte Prenestino. Da quando ha iniziato a scrivere ha mostrato, sulla pagina, l’identica freschezza e inventiva dimostrate nella sua vita. Marco Philopat è scrittore ormai affermato. Reduce da un’esperienza punk (si veda il suo Costretti a sanguinare), ha dimostrato con La banda Bellini capacità d’autore che nessuno ormai oserebbe mettere in dubbio. E al tempo stesso coerenza totale col proprio percorso. E’ anche editore, proprio con Agenzia X, che ha sede presso il centro sociale Cox 18 di Milano. Ha avuto il fegato di pubblicare libri scomodi, tipo La fuga in avanti di Manolo Morlacchi. Resta punk come un tempo, pur senza dirlo.
Torniamo al romanzo del Duka e di Philopat. In una girandola di situazioni e di collocazioni spazio-temporali, si passa dal comico, al tragicomico, al tragico puro e semplice. Gli amici – ma il protagonista è Malcolm, che a volte perde il compare e a volte lo ritrova – viaggiano, tra una canna e l’altra, alla ricerca di una specie di rivoluzione futura. Divagano, litigano, discutono, e attorno a loro gli scenari cambiano. Oltre all’Italia alternativa, percorsa in lungo e in largo, la Berlino alternativa, la Londra alternativa, la Copenaghen alternativa. Con escursioni in quell’Africa settentrionale che sarebbe esplosa di lì a breve.
Malcolm è in parte scrittore e in parte standista, condizione incerta come gran parte delle condizioni attuali. E’ costretto a sopportare, in tale veste, un bolso Umberto Eco, e frotte di agenti letterari pieni di sé, operatori culturali senza scrupoli, grotteschi conduttori radiofonici. Il Salone del Libro di Torino, in cui tiene un banchetto, lo disgusta. Ciò che lo sorregge è una donna idealizzata e distante, l’attrice Claudia Pandolfi; mentre il suo amore concreto va a una ragazza di buona famiglia che lo fa disperare. Questi fattori lo inducono alla sua odissea di rivolta, parzialmente soddisfatta dagli scontri a Roma del 14 dicembre 2010. Ma la sollevazione più concreta avverrà proprio nel luogo da cui voleva evadere: il Salone del Libro nell’edizione 2011. Sintesi, a livello di forza-lavoro intellettuale, di tutte le forme di subordinazione e di precariato oggi vigenti.
Non so come sarà accolto questo libro dalla critica corrente. Sospetto che sarà ignorato o, se preso in esame, sottoposto a censure moralistiche. Eppure sopravvivrà, perché è la più coerente illustrazione — dall’interno — di ciò che è oggi il proletariato giovanile che accende di fuochi l’area mediterranea, il nord Europa, località importanti degli Stati Uniti. Un Maroni che tuona contro i centri sociali, un Napolitano che mette in guardia contro possibili rigurgiti di violenza, una magistratura che colpisce a casaccio bersagliando di condanne impossibili lo “sciame di api” e il suo ronzio, hanno ben presenti l’oggetto dei loro fulmini, ma non lo conoscono. E non lo conosceranno mai, perché mai leggeranno questo libro. Se lo leggessero, non ne capirebbero il senso. Vale anche per i fascisti o per gli stalinisti più o meno rimodernati.
Una nuvola d’api dorate vola sui nostri scenari metropolitani. Ha connotati di classe, ma non le sono riconosciuti. Ha una cultura unitaria (dalle capitali europee al Maghreb), però non ne fa sfoggio. Crea alveari ovunque, in apparenza innocui. Anche il suo volo normale pare errabondo e inconcludente, quanto i viaggi di Malcolm e le sue pigre discussioni. Tuttavia, quando è attaccata, può farsi sciame, colpire come forza compatta, ronzare fino ad assordare, pungere in maniera spietata chi cerca di resisterle.
Non so se questa sia la metafora del libro. Io l’ho interpretata così: quale metafora di un’altra metafora. Dalle api agli umani, dagli umani a regole di vita e di pensiero irriducibili alla norma. Si divaga, ci si trascina di corteo in corteo, si accettano forme eclettiche di subordinazione quotidiana. Quando però viene il momento, ecco nascere lo sciame, apparentemente dal nulla. Ecco la riconquista della piazza, contro i rais di turno. Ecco il 14 dicembre a Roma.
Sia o non sia l’interpretazione giusta, un grande libro. Di quelli che afferrano tutta un’epoca e sanno condensarla.
Quanti critici saranno d’accordo con me? Temo nessuno. Allora avanti con i canali di distribuzione alternativi. Non mancano, e i nemici non sono ancora riusciti a farli saltare.
[Carmilla ha pubblicato un’appendice inedita al romanzo. La trovate qui.]