Saranno stati i tentativi di scippo dei referendum del 12-13 giugno, le notizie dalla Spagna degli indignados e anche quelle dall’Italia degli ultimi mesi. Sarà stato forse l’eco del berlusconismo decadente che arriva oltreoceano insieme all’inquietudine su ciò che verrà dopo la “fine della bestia”. Comunque era da tanto che non si vedeva un risveglio così creativo e dinamico della comunità italiana in Messico o almeno di alcune sue parti attive e coese. A queste latitudini — anche se non credo fosse troppo diverso in Europa e in Italia, almeno prima del risveglio autunnale culminato il 14 dicembre — sembravano affievolite la voglia di cambiamento, l’idea di riunirsi per uno scopo comune (soprattutto politico ma anche sociale), la lotta per informarsi e informare, cominciando fuori dai circuiti ufficiali per poi utilizzarli come cassa di risonanza, e la volontà di formare spazi nuovi per partecipare e immaginare una comunità. Si parte da una semplice e fredda mailing list per recuperare interessi e attività, per tornare a lavorare dentro e fuori dalla virtualità per uno scopo comune. Non si tratta di grandi numeri, delle famose “masse”, ma il coinvolgimento è comunque grande, soprattutto rispetto al numero ufficiale di residenti in terra azteca che sono solo alcune migliaia, e scava in profondità nel reale, non più solo in rete.
Tento quindi di lanciare una prima riflessione sulle attività realizzate da un gruppo di italiani in Messico accomunati dalla voglia di sconfiggere — almeno per un po’ — il mostro, cioè la frammentazione sociale e le difficoltà cui la vita in una metropoli caotica e gigantesca come Città del Messico porta inevitabilmente. Ma anche la atomizzazione e la solitudine, a volte ricercate, a volte sofferte, di un immenso paese che può fagocitarti amabilmente o catapultarti in qualcosa più grande di te in un attimo. La definizione di un movimento sociale, piccolo o grande che sia, così come le eventuali etichette che un gruppo sceglie di darsi o che gli vengono attribuite è sempre oggetto di dibattiti accesi.
Considerarsi “italiani in Messico” o in un altro paese costituisce una possibilità di caratterizzazione sociale e una scelta di vita e identità comune per tantissime persone che vivono fuori dall’Italia. Spesso non è possibile parlare di una vera e propria comunità italiana all’estero ma solo di frammenti e gruppi uniti da interessi lavorativi o vicinanze territoriali e affinità di altro tipo che possono definirsi come “più o meno simili” o almeno temporaneamente coincidenti. Per alcuni forse lo status di migrante ha a che vedere semplicemente con un certificato di registrazione all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero) con cui si cambia la residenza dalla città italiana di provenienza a quella estera d’accoglienza.
D’altra parte l’idea ampia e un po’ fumosa di “italiani all’estero” può confondere fino a perdere ogni rilevanza dato che si tratta di milioni di migranti, mani e cervelli in fuga che di solito vengono ricordati quando c’è qualche momento elettorale o in poche altre occasioni. E poi ci sono altri milioni di “clandestini”, quelli che sono fuori dall’Italia anche da molti anni ma che non si sono mai registrati all’estero e continuano ad apparire magicamente in tutte le statistiche come se continuassero a risiedere nella loro città d’origine della penisola.
E ancora. Le statistiche parlano di centinaia di migliaia di “italiani” che hanno il passaporto e possono votare ma per gli affari interni del bel paese hanno solo un interesse marginale o nullo, anzi spesso non ci hanno mai messo piede ma hanno il diritto di voto acquisito grazie a un lontano parente emigrato magari oltre un secolo fa. All’estero è facile e possibile, anche se illegale, fare incetta di questi voti chiedendo le schede che arrivano a casa per posta ad amici e conoscenti che sono in possesso del passaporto e sono regolarmente registrati ma che non sanno nemmeno cosa sia il voto all’estero o su che cosa sono chiamati a decidere di volta in volta. Quindi ad oggi le modalità per il voto all’estero e l’estensione massiccia dell’accesso alla cittadinanza dei discendenti degli ex migranti italiani sono abbastanza assurde.
In questo contesto un vero e proprio nocciolo duro di italiani in Messico, con opinioni politiche anche molto diverse al proprio interno, ha deciso d’intraprendere una serie di azioni che esprimono la rabbia e l’indignazione per quanto accade in un’Italia che entra in guerra e disinveste brutalmente sul futuro privilegiando piani nucleari e privatizzazioni di risorse pubbliche vitali sull’istruzione e la ricerca. Nella lettera inviata ai media si denuncia tale involuzione e si legge infatti: “Ci indignano l’esercizio di un potere vincolato alla finzione mediatica, l’intolleranza verso la libertà di pensiero, l’operato di una maggioranza parlamentare che dimentica le reali urgenze del paese e calpesta la solidità della nostra Costituzione con una gestione del potere corrotta e personalizzata”.
L’adesione e la partecipazione attiva non coinvolgono allo stesso modo tutte le persone interessate alle diverse iniziative che vengono realizzate nei mesi di aprile e maggio ma la “nebulosa dei sostenitori”, sfumata intorno a un centro fisso, e la diffusione della conoscenza e delle informazioni continuano a crescere rompendo l’isolamento di chi vuole pensare, dire, agire. Si pensa da subito a dei momenti costruttivi per sfidare l’apatia degli elementi dispersi nella Gran Ciudad capitale del Messico e nel paese. Così nasce anche l’idea di un incontro pubblico sul tema dei referendum e la creazione di un blog fotografico e informativo. Infine sorge l’iniziativa Io Voto Sì, Dappertutto che, indipendentemente dalle opinioni politiche di ciascuno e dalle inevitabili discussioni, rappresenta la voglia di coinvolgere sempre più gente per uscire dall’individualismo in una realtà che lo eleva a principale padrone della vita pubblica e privata.
La campagna finisce su alcuni quotidiani nazionali (italiani) e il Messico diventa per qualche giorno “l’ombelico degli italiani nel mondo”, se così li e ci possiamo chiamare, ma poco importa. Gente che se ne va e che magari torna, chiamiamoli così. Lo stesso blog racconta un po’ questa storia. Mentre i media messicani impazzano col gossip sul bunga bunga, le notizie che arrivano dall’Italia si fanno sempre più pesanti e assurde. Frustrazione, senso d’impotenza, tanta rabbia. Quando, a partire da un appello mail, decidiamo di ritrovarci insieme per un confronto. Come esprimere dal Messico il nostro dissenso? Come far arrivare il nostro appoggio a quanti in Italia non si rassegnano ad una democrazia telecomandata? Il primo passo che riusciamo a immaginare è una lettera di denuncia, ai media italiani e messicani. E l’impegno solenne a promuovere tra gli italiani residenti in Messico il voto di giugno nei referendum. Cominciamo a trovarci, ad organizzarci con flyer e cartoline informative… e ci prendiamo anche gusto. Ma subito arriva l’ennesima doccia fredda: ci vogliono scippare anche i referendum. E’ allora che scatta la campagna: Io voto sì, dappertutto!
Il 2 giugno 2011 si ricordano i 65 anni del referendum che fece dell’Italia una Repubblica. La Festa della Repubblica si celebra ogni anno con un grande cocktail e una passerella di sponsor e prodotti tipici italiani nel giardino dell’Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico e sarebbe una grande occasione di riunione e partecipazione se non venisse appunto trasformata in un carosello diplomatico e asettico privo di colori ed emozioni. Privo di storia e di futuro. Allora si beve e basta. La cultura, la musica, la parola sono ferme agli anni cinquanta, The Classics. Ci si “diverte” e non si parla né si pensa minimamente all’occasione per cui la festa è stata creaa o alla congiuntura italiana. Lo spumante è buono e basta così. Poco male. I discorsi ufficiali riproducono gli stessi burocratici sermoni di sempre e perdono il senso della realtà, sono astorici.
Quest’anno l’onere della promozione dell’appuntamento referendario è stato scaricato sui cittadini nonostante il referendum sia un istituto previsto dalla costituzione e realizzato con soldi pubblici. La sua riuscita non importa molto al sistema politico (o a buona parte di esso), non è una novità, e tantomeno al governo che ha promosso le leggi oggetto dei quesiti e che lo combatte fino a scadere nel ridicolo. All’estero si riproduce una situazione analoga e amplificata di apatia e resistenza burocratica. Nessun cenno ai referendum viene fatto dai relatori presenti all’evento del 2 giugno a Città del Messico. Allora ci pensa un flash mob. La nebulosa della comunità attiva si ricompone seguendo un nuovo schema e intona una canzone. Poi alza uno striscione, “…un referendum li seppellirà…”, alludendo a chi? Al governo? Alla cosiddetta casta? Alle mentalità bloccate? All’apatia? A Berlusconi e i suoi “legittimamente impediti”? All’Italia che si crede vecchia e stanca? All’opposizione? A chi si ferma? Forse a nessuno di questi. Decidete voi.
Una trentina di persone si tolgono la camicia e mostrano la maglietta con la scritta Io Voto Sì tra le facce attonite di molti invitati incravattati. Altri ospiti invece si avvicinano allo striscione per chiedere informazioni sul voto all’estero, sui quesiti, sull’esistenza stessa di persone che ogni tanto “fanno qualcosa” e per lamentarsi dell’insufficienza di informazioni aderendo di fatto all’azione collettiva. Alcuni intolleranti provano a strappare lo striscione che intanto è stato fatto ondeggiare in alto come un aquilone fino alla caffetteria, la zona più elevata del giardino, ed è stato fissato lì. Giungono voci di minacce ufficiali più o meno velate da parte delle “autorità diplomatiche” contro i “manifestanti” che semplicemente svolgono a modo loro quel lavoro che non interessa alle istituzioni. Ma soprattutto rendono la festa un’occasione vera d’incontro e confronto, si appropriano di uno spazio pacificamente, anche solo per poco, ma con la volontà di trasformare la routine e lo status quo in fantasia e cambiamento, per tutti.