intervista di Mikaël Chambru
[Questa intervista è stata pubblicata su La Voix des Allobroges l’8 aprile scorso (qui). Serge Quadruppani ci segnala qui una persecuzione kafkiana che sta accadendo al suo intervistatore. La traduzione è di G. De Michele]
Il 5 aprile scorso, Serge Quadrupani era invitato dall’Università di Savoia a presentare il suo ultimo saggio, La Politique de la peur, in una conferenza a Chambéry. Romanziere, traduttore, saggista e giornalista, ha per molto tempo comparato le diverse leggi sicuritarie e antiterroristiche adottate dagli Stati all’indomani dell’11 settembre 2001. E il risultato che ha presentato agli universitari savoiardi ha dell’inquietante. La nostra società sarebbe sempre più sicuritaria, diffidente e ripiegata su se stessa, al punto che i cittadini oggi rinunciano poco a poco alle loro libertà in cambio di una ipotetica tranquillità. Serge Quadruppani chiama in causa la politica della paura condotta tanto dai governi di destra quanto da quelli di sinistra. Abbiamo dunque voluto saperne di più su questa politica della fifa.
Nel suo saggio, Lei spiega che il punto di svolta della politica della paura è stato l’11 settembre…
A partire da questa data, è diventato possibile ogni genere di atteggiamento all’ombra della bandiera unica della guerra di civiltà. La via araba ci veniva costantemente presentata come un brodo di coltura islamista senza alternativa. Secondo i governi, bisognava proteggerci per mezzo di leggi sicuritarie e antiterroristiche. Soprattutto, bisognava proteggere quello che io chiamo “l’impero”: questo insieme di potenze mondiali che costituisce un equilibrio di potere estremamente variabile, ma che ha come obiettivo il mantenimento di un certo tipo di civilizzazione, della quale la politica della paura è una delle fondamenta su cui si appoggia. Nelle rivoluzioni egiziana e tunisina c’è qualcosa di magnifico: noi non abbiamo visto l’ombra di un islamista. Così, tutto quel discorso che portava a sostenere dei despoti in nome della lotta contro l’islamismo e il demonio Al-Qaeda oggi è del tutto crollato. Le rivoluzioni arabe inaugurano un nuovo periodo, l’anti-11 settembre. Ci troviamo di fronte a un rovesciamento geopolitico che rimette in questione il modo di dominazione dell’impero.
È però vero che in Francia non si ha l’impressione di essere entrati in un nuovo periodo, come testimoniano le polemiche quasi quotidiane sull’Islam lanciate dal governo…
Le strategie del potere non mutano: è la ricerca perenne di nemici all’interno per giustificare la loro politica della paura. Questo nemico interno è sempre l’immigrato, salvo che lo si chiama “il mussulmano”. In realtà l’intero discorso sulla laicità non è altro che un nuovo modo di fare la guerra agli immigrati. È la sola cosa che quelli che governano sono ancora capaci di fare: la totalità della classe politica è costituita da incaricati delle oligarchie mondializzate, incapaci di influenzare in qualunque modo il corso delle cose a livello macro-economico. La sola cosa che gli resta da fare per continuare a governare è manipolare la paura.
Quindi oggi i nuovi nemici interni sono i mussulmani?
C’è oggi, in tutta evidenza, una volontà di individuare nei mussulmani dei nemici sui quali far convergere tutte le paure della popolazione che raggiunge un livello fantasmatico inverosimile! Tempo fa, ad esempio, ero in un piccolo paese di Dordogna, dove non c’era un solo arabo nel raggio di trenta kilometri. E lì, a pranzo, accade una specie di scatenamento fantasmatico a proposito degli arabi: una signora mi spiega che nessuno la obbligherà a mettere il velo. È una follia, una completa inversione della realtà! Lo Stato pretende che le donne si tolgano il velo, ed ecco che secondo la percezione popolare si vorrebbero obbligare tutte le donne a velarsi.
E alla fine il Fronte Nazionale raggiunge delle percentuali importanti alle ultime elezioni cantonali…
Ci sono un sacco di paesi del tutto privi di immigrati: ciò nonostante, la gente vota in massa per l’estrema destra. È il segno d’un forte malessere della nostra società, che si esprime come può. Quando si esprime bene, ci sono dei movimenti sociali; quando si esprime male, ci sono fenomeni elettorali come quelli di Le Pen.
Quindi esiste, secondo lei, un nesso tra la gente che manifesta nelle strade e gli elettori del Fronte Nazionale?
Sì, è possibile che siano le stesse persone. Le persone sono molto incerte. Ad esempio, i miei amici di Dordogna si dicono tutti più o meno di sinistra; alcuni di loro hanno partecipato a grandi lotte operaie, scontrandosi con le forze dell’ordine. Premesso ciò, si tratta di un fenomeno completamente manipolato dal punto di vista mediatico e politico per ragioni bassamente elettorali riferite alle elezioni del 2012. Tuttavia io non sono disposto a scendere in strada a braccetto col Partito Socialista per ostacolare la crescita del fascismo, perché la sinistra istituzionale è animata dalle stesse logiche della destra: la politica della paura.
È proprio quello che lei mostra nel suo libro: le leggi securitarie e antiterroristiche non sono fatte solo dalla destra…
La prima legge, la Legge della sicurezza quotidiana (LSQ) è stata elaborata durante il governo Jospin [in carica nel 1997-2002, sostenuto da una maggioranza formata dal Partito Socialista, Partito Comunista Francese, Partito Radicale di Sinistra, Verdi e Movimento dei Cittadini (n.d.t.)], e mescolava già la lotta al terrorismo, la lotta contro le adunanze di ragazzi negli atrii dei palazzi, contro i rave-party, ecc. Questa legge dava l’inizio a qualcosa che ha continuato ininterrottamente: una serie di leggi securitarie nelle quali si mescolato tutti i nemici, che siano terroristi, folli, ragazzi, giovani, immigrati. E questa prima legge non è stata approvata dalla destra, ma dalla sinistra!
A parte le leggi, ci sono altri esempi di strumenti utilizzati per condurre questa politica della paura?
Ad esempio, c’è questo delirio sulle bandiere nazionali francesi, bruciare le quali è diventato un delitto. Persino negli Stati Uniti, un paese molto più patriottico della Francia, la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto di bruciare la bandiera: è un diritto costituzionale, un diritto di espressione. E invece in Francia ci sono dei deputati che si sono messi in testa la sacralità della bandiera francese. Ma cos’è la patria francese, al giorno d’oggi? Al giorno d’oggi, il fantasma della patria serve solo a dei piccoli manipolatori politici, e le conseguenze pesano sulle spalle dei più poveri e dei più indifesi, di quelli che sono al più basso livello della scala sociale. E così a ritrovarsi in prigione saranno i quattro ragazzi che avranno bruciato una bandiera, e che pagheranno il bisogno delirante di farsi avanti di qualche politico.
E anche in questo caso la sinistra non è migliore della destra?
È evidente! Basta ricordarsi di quell’imbecille di Ségolène Royal che alle ultime elezioni presidenziali spiegava, quando le si domandava cos’è la Francia, che sarebbe bene che tutti i francesi appendano il drappo tricolore alle finestre, piuttosto che dire che la Francia è «libertà, uguaglianza, fraternità». Dire questo sarebbe stato davvero di sinistra e repubblicano. Non è nulla di straordinario: è il motto della nazione francese, no? E invece non è più così. Questa sinistra, questa sinistra istituzionale ha perso un’altra occasione. È qualcosa che va al di là del ridicolo!
Ma questo attaccamento alla nazione francese fa parte della storia della sinistra…
In effetti non è qualcosa di nuovo. Il socialismo riformista, Partito comunista compreso, ha accompagnato la contro-rivoluzione liberale degli anni Ottanta. All’epoca, il PC si è distinto facendo all’occasione un discorso nazionalista, comportandosi come se il nazionalismo fosse un baluardo contro l’invasione del neoliberalismo… ma in fondo si tratta di una posizione totalmente reazionaria, perché non si cambia il mondo ripiegandosi sulle piccole patrie cercando di ricreare il socialismo in un solo paese: non è così che vanno le cose. Al giorno d’oggi, la cosa interessante è che le questioni si pongono a livello mondiale. Ad esempio, ciò che sta accadendo in Giappone rimette in causa il nucleare in Francia.
Torniamo al suo saggio. Usare la leva della paura non è un metodo arcaico, nel senso in cui la ritroviamo già nella società feudale? Qual è la differenza tra quella e la società attuale?
La differenza è nello sviluppo delle tecniche di controllo, che oggi si attaccano molto di più a tutti i piccoli dettagli delle nostre vite. Nelle società feudali il signore aveva n certo potere sui servi, e di tanto in tanto c’erano dei supplizi atroci e spettacolari. Ma le comunità locali, anche se sottoposte al controllo del curato, avevano una certa libertà all’interno dei limiti del regime feudale. C’era una certa dose di autonomia nella vita quotidiana. Oggi ogni nostro gesto può essere ascoltato o registrato, e lascia una traccia: viviamo all’interno del fantasma della tracciabilità assoluta di tutti gli esseri umani.
Dunque l’innovazione tecnologica contribuisce al rafforzamento di questa politica della paura?
Senz’altro. Guardiamo alla Tunisia, dove la politica della paura regnava in modo assoluto. Un regime super-sbirresco molto efficiente: delatori dappertutto, squadroni della morte, pratiche mafiose. C’erano arresti, processi, gente a cui veniva spaccata la faccia da sconosciuti per ragioni politiche. Per contro, per quanto crescesse l’accumulazione di queste tecniche di dominio, non è stato possibile impedire la rivolta contro l’ingiustizia, né annichilire il desiderio di libertà. Ciò dimostra che l’uso delle tecnologie di dominio può sfuggire dalle mani dei dominatori per essere riappropriato e utilizzato per l’emancipazione. Ciò detto, c’è un momento in cui i corpi reali devono pur scendere nelle strade reali per vincere la paura: è in questi momenti che il gioco si fa duro. Non è la tecnica in sé che permette l’emancipazione: può essere uno strumento. Ma per realizzare questo ci vuole una volontà di emancipazione collettiva.
Ma nel suo libro lei spiega che nella situazione odierna noi saremmo dei “little brothers”, una situazione peggiore, secondo lei, del “big brother” immaginato da Orwell…
Oggi si cerca di fare di ciascuno il sorvegliante dell’altro, le funzioni di dominio sono più sottili. E il problema è che la proliferazione di tecniche di sorveglianza sfugge ad ogni controllo, compreso quello del potere politico e degli Stati. L’esempio degli schedari, che io applico nel mio libro, è un buon esempio di ciò. La logica degli schedari fa sì che questi crescano da soli, senza alcun bisogno di una volontà politica sottostante, a dispetto dei tentativi di regolamentarli giuridicamente: a forza di interconnessioni, e per il fatto che l’accesso agli schedari diventa sempre più incontrollato per via della privatizzazione della sicurezza, non c’è più alcuno che li controlli. Sono fenomeni che acquistano una propria autonomia. La sola cosa che potrebbe fare un movimento di emancipazione sarebbe distruggerli tutti senza pensarci su un momento. Ci sono delle realizzazioni dello spirito umano che hanno un solo destino: sparire il più velocemente possibile dalla faccia della terra.
A darle ascolto, c’è da diventare fatalisti. A cosa può portarci questa politica della paura?
Io non sono né pessimista, né ottimista: io osservo. Nella nostra società ci sono tendenze e contro-tendenze. Però una cosa è certa: io penso che non accettare l’insopportabile sia qualcosa che è nel profondo di ciascuno di noi. Nulla è ineluttabile, soprattuto perché i movimenti collettivi sono capaci di creazioni che ci sorprendono sempre. In ogni caso, la società industriale capitalista sta conducendo il pianeta alla rovina in un periodo di media durata, e solo una trasformazione davvero importante può permetterci di uscirne.
Totalitarismo o democrazia?
A partire da qui, tutto è possibile: il fascismo verde associato a una decrescita governata dall’oligarchia, o una società più libera e più democratica. In realtà l’avvenire appartiene ai movimenti sociali, e uno dei loro primi compiti sarà quello di sbarazzarsi dell’influenza di questi partiti detti di sinistra. Bisogna che i movimenti sociali abbiano l’audacia di credere che si vuole davvero cambiare il mondo. L’ostacolo principale è dentro di noi: bisogna liberare il nostro immaginario per costruire un nuovo immaginario della rivoluzione.