di Chiara Cretella
[E’ morto nei giorni scorsi Gregorio, titolare della Libreria delle Moline, un caotico e affascinante punto di riferimento per la Bologna non conforme. La parola a una persona che gli fu molto amica. Come alcuni di noi di Carmilla, del resto.]
La prima volta che ho chiesto al mio compagno perché suo figlio portasse un nome così particolare lui mi ha risposto che gliel’aveva dato in onore del suo carissimo amico libraio, una persona coltissima e umana, umile e appassionata.
Grigorios Kapsomenos gestiva, insieme alla sua compagna Marta, la Libreria delle Moline a Bologna. Grigorios è morto venerdì notte, lasciando un grande vuoto dentro tutti noi.
Non solo i suoi amici, ma tutta la città perde qualcosa di importante, una persona speciale, di cultura raffinatissima, l’uomo delicato che sapeva rispondere a qualsiasi domanda con un sorriso e una bibliografia sterminata.
Non aveva bisogno di computer Grigorios, aveva un suo catalogo interiore capace di fare collegamenti tra edizioni, traduzioni, prefazioni, ristampe, reminders.
Ho imparato ad amare, conoscendo Grigorios, il mestiere del libraio, lui era a Bologna uno degli ultimi rappresentanti di questa professione in via di estinzione; così come avevo scoperto un mondo quando avevo conosciuto i pochi, veri bibliotecari, quelli capaci di aprirti le porte di una meravigliosa wunderkammer interiore.
Anche i libri migliori sono in via di estinzione: mi aveva colpito uno di questi bibliotecari, che barattava carta vecchia con testi. Gli addetti allo smaltimento dei libri al macero non comprendevano questo suo accanimento, per loro la carta era sempre e solo carta, ma con il lavoro della talpa, quest’uomo era riuscito a metter in piedi una biblioteca di quindicimila volumi. Non una, bensì la “sua” biblioteca, l’espressione della bellezza che doverono provare gli autori dell’Encyclopédie, un sistema dove la ragione esplode in ramificazioni interconnesse come un sistema linfatico cerebrale o i profumi di un erbario.
L”effetto stupefacente’ dei libri è proprio questa droga lucidamente onirica: che puoi sentirne l’odore e vedere florilegi di esistenze, anche nella bidimensionalità della carta.
Non è solo quello che sai: il tipo di cultura che rappresentano persone come Grigorios è anche l’esercizio di un “teatro della memoria” che abbiamo demandato, nell’era di internet, a protesi informatiche.
È certo dunque, che questa nobile arte se ne và con chi ancora è capace di praticarla con la ricerca di una vita. Il senso profondo della catalogazione non è museificazione del sapere, ma esercizio dinamico, professione di poetica, cosmogonia di un mondo.
Ci si illude di scrivere per lasciare una traccia e Grigorios non ha scritto nulla e non aveva figli. Ma questo non rende più dolorosa la sua mancanza, riconferma invece l’eccezionalità di cosa è stata, per chi ha potuto conoscerlo, la sua insostituibile presenza.
È affascinante comprendere il meccanismo di questa intelligenza, che il più delle volte non trova il suo corrispettivo nella creatività ma può limitarsi alla semplice erudizione. Non era il caso di Grigorios. La sua cultura non era mai sterile nozionismo, né citazione per stupire. La sua dimessa autenticità stava in questa consapevolezza, di aiutare gli altri a cercare “il libro” che aveva in serbo per ognuno. Un giorno seppi che aveva studiato chimica e questo stupore mi confermò la sua brillante capacità di passare attraverso le discipline e le culture, senza sfoggiare mai una nota di saccenza: pensai ad una similitudine tra il suo modo di ragionare e la combinazione osmotica degli elementi.
Con Grigorios se ne và un pezzo di storia della nostra città che ha abdicato alle logiche del mercato e della grande distribuzione. Una delle ultime piccole librerie che devono fare i conti con la spietata concorrenza degli outlet, delle vendite online, nelle edicole o nei supermercati, dei prezzi di gestione degli affitti, dei pochi lettori, delle tendenze di acquisto che vanno verso i best seller, dei libri confezionati ad arte per target specifici, con le loro micro pillole di inutilità.
Ora i grandi magazzini di libri sono negozi multimediali, né le piccole librerie possono permettersi di vendere testi come prima occupazione: devono essere sale da the, caffetterie, posti da aperitivo, internet point, insomma qualunque cosa possa far entrare qualcuno senza avere l’idea che il motivo principale sia comprare un libro.
Chi seguirà l’esempio che Grigorios ci ha lasciato? Ci sarà ancora lo spazio di un dialogo tra il lettore e il suo “spacciatore di libri” o questo sarà solo colui che passa i libri in cassa? Sicuramente Grigorios è stata una figura degna di esser cantata tra i cammei di Spoon River celebrati da De André.
Qualche tempo fa, ho riletto Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. Non sapevo che avesse frequentato Grigorios, che fossero stati amici, ma l’ho subito riconosciuto nel ritratto che gli aveva dedicato. In quel momento Grigorios stava già male e ritrovarlo in quelle pagine è stato come riscoprire con lui un’intera generazione perduta. Ma noi non vogliamo dimenticarla.
Quando torniamo in Italia ci iscriviamo Gigi e io, all’università, a Bologna. Affittiamo una stanza con uso cucina da una signora anziana che occupa un’altra camera sul lato opposto dell’appartamento, fuori porta Saragozza. Lo stabile è dello Iacipì e la nonna, a rigore, non potrebbe subaffittare visto che la casa ce l’ha gratis, così siamo costretti a contrabbandarci per nipotini suoi con tutti gli inquilini e con l’ispettore del comune. Sullo stesso pianerottolo sta un vecchietto e anche lui ha studenti, il greco Grygoris che fa ingegneria ed è un fuoriuscito che a quei tempi là c’erano ancora i colonnelli. Con Grygoris ci si trova qualche sera che nevica a tirare una briscola, i vecchietti contro noi due, ma se la vincono sempre loro perché il greco è proprio negato a giocare alle carte eppoi c’è il fatto che non vuole imparare tutti quei segni di bocca e strizze di naso e slumate d’occhi per indicare re cavallo regina e fante e non si può mica comunicare senza i segni, cosa che sanno invece benissimo gli avversari che guardarli giocare sembra di stare al cabaret. Così perdiamo una partita sull’altra ma son sconfitte queste, che non lasciano traccia, nemmeno nel portafoglio perché i vecchietti giocano cinquanta lire ogni tre punti e così, se va proprio male, al massimo lasciamo sul tavolo l’equivalente del biglietto dell’autobus. Quando poi i colonnelli vacillano e cascan nella polvere altri patrioti vengono da Gigorys e per molte notti c’è festa grande con tutti gli abitanti dello stabile e si ride e si balla con tutti i fuoriusciti al quintopiano dello Iacipì.
Pier Vittorio Tondelli, Viaggio, in Altri libertini, 1980