Il nuovo, provocatorio romanzo di Raul Montanari: come (non) stare lontani dai premi letterari e (non) riuscire ad evitare le relazioni (in)umane
di Alan D. Altieri
Raul Montanari, L’esordiente, Dalai Editore, pp. 272, € 18.00
E diciamocelo (o forse facciamo solo finta di dircelo): Livio Aragona le ha tutte, ma proprio tutte:
– Autore (“A” maiuscola, sia chiaro) kultural di grande professionalità e di sicuro successo («non osate chiamarmi giallista!»);
– narratore pubblicato alla grande e con continuità da un Grosso Editore (o qualsivoglia imitazione del medesimo);
– il suo ultimo romanzo, “Il Vizio della Solitudine” (hey, man, ain’t that a bit too shrewd a title for its own good?) candidato principe al Grosso Premio letterario (o qualsivoglia turpitudine del medesimo) dell’anno corrente;
– ammirato e agognato profeta della scuola di sKrittura Kreativa (o qualsivoglia farsa della medesima) della quale tutti gli autori (a minuscola) “esordienti” di questo mondo (e magari anche di quell’altro) vorrebbero essere allievi.
Okay, bro, this is all bliss, so what’s wrong with this picture?
Difatti, perché nella grande orchestra della idilliaca esistenza umana e autoriale di Livio Aragona c’è in effetti qualche pikkola stekka:
– una ex-moglie reduce da una brutta malattia (bad karma, baby, so fuc**** sorry), ma in fondo ci amiamo ancora… o no?;
– un convivente della ex-moglie medesima, tale Emiliano, che è un ceffo meta-lombrosiano con anche la badge of (dis)honor, giusto per non farci mancare nulla, di un paio di omicidi sulla coscienza (this spectre on my path [1]). Nella nuda e cruda realtà, Emiliano è brutto ceffo che non combina un beneamato ca**o ma che chiede sempre troppi soldi (nell’ordine delle decine di migliaia di N-euri);
– i maneggi & maneggioni (che più lerci non potrebbe essere) per l’assegnazione del Premio (il-letterario) di cui sopra, ma soprattutto (e qui “l’affare s’ingrossa”… mettilo in mano all’avvokato);
– una “allieva” della premiata scuola di scrittura di Livio che pure lei sembra averle tutte, pure troppe.
Veronica Markus la signora in questione, (nome minaccioso, garanzia velenosa), di stekke nella grande orchestra del rutilante Livio Aragona ne promette molte e ne mantiene anche di più.
Queste le premesse – all’apparenza banali e auto-referenziali, in realtà brutalmente acide e politicamente scorrettissime – de L’Esordiente, il nuovo romanzo di Raul Montanari, tra i migliori cavalli di razza della narrativa dell’inquietudine attualmente sulla piazza. Oops, involontaria rima baciata, so sorry, kids.
Tornando quindi a bomba (carta), nel momento in cui Livio Aragona mette gli occhi su Veronica Markus (e viceversa?) l’affaire “veramente” s’ingrossa. Alla subitanea, torrida relazione erotica tra i due va però a intrecciarsi la inevitabile, incestuosa rivalità autoriale. Eh, già, perché Veronica Markus – l’esordiente che incarna il personaggio e che dà anche il titolo al libro) ha (what a shock!) il “grande romanzo itaGLiano” nel kassetto. Più che nel kassetto, nella Kassa (da morto): “Le stagioni dell’amore”, questo il titolo del romanzo di esordio di Veronica, è dedicato al marito defunto al sentimento perduto. Feh!
Eccolo quindi i dilemma maledettamente ingombrante per il “vate” Livio Aragona: continuare a godersi l’eros ad alto voltaggio oppure decapitare la sua “esordiente” dicendole che il suo libro è in realtà un ritrito cesso di luoghi comuni? Fosse così semplice: Veronica, manco a dirlo, non solo non molla – a dispetto del giudizio di Livio, “Le stagioni dell’amore” viene poi pubblicato da un editore indipendente – ma è pure recidiva. Con il suo secondo romanzo, “Il Regno degli Amici” – beffarda sfida a “Il Vizio della Solitudine” di Livio – esordiente e maestro si ritrovano schiena contro schiena nella finale del famoso e famigerato Premio (il)Letterario.
Se quanto sopra vi suona come una sorta di strafogata masturbazione mentale di “scrittore sulla scrittura”, beh, allora state abbaiando all’albero sbagliato. Con L’Esordiente, Raul Montanari non solo riprende il fulcro tematico di Strane Cose, Domani – il suo eccezionale romanzo del 2009 – ma arriva a spingerle a conseguenze addirittura più estreme. Se Strane Cose, Domani è una radiografia impietosa sulla inevitabilità della violenza, L’Esordiente dà la violenza come una componente acquisita e scontata del quotidiano, passando poi a eseguire una feroce e crudele, disperata e disperante, autopsia laparotomica non solo della situazione psicologica del narratore ma della condizione umana tout-court.
Ne L’Esordiente, Raul Montanari perfora con un trapano ad alta velocità l’intero mondo autoriale/editoriale/letterario: un mondo fatto di menzogna e inganno, fasullaggine e corruzione, dabbenaggine e farsa. Dopo di che lancia l’assalto terminale al simulacro più osannato non solo della maggior parte della narrativa “alta” (o qualsivoglia inganno della medesima) ma più agognato dalla maggior parte degli zombi che si aggirano per le strade. Questo simulacro – okay, I’m ready to be burned at the stake – è niente popò di meno che l’amore — Oh, man, no, not THAT! Sorry, sucka: THAT!
Nella visione post-nuclear della condizione umana che Raul Montanari ci presenta, anche l’amore (“a” minuscola) è null’altro che un freddo utensile di comodo, un deviato strumento di manipolazione. Esemplarmente emblematico, in questo senso, l’esito del Premio (il)Letterario, orgia di putridi inciuci e acre trionfo del “peggiore”. Ancora più tragicamente ironico il crudo regolamento di conti conclusivo tra Livio Aragona ed Emiliano, turpe convivente (si fa per dire) della ex-moglie, gangster mai redento il quale ritiene comunque di essere investito da una qualche missione (maledetta) “per conto di dio”, un po’ come i Blues Bros. in meta-amfetamina.
Ipotizzo che – da qualche parte, su qualche blog – il diBBattito sul “post-noir” sia ancora in corso. Connection time sprecato e pagine web buttate. Quale etichetta di genere si voglia applicare al lavoro di Raul Montanari, a parere dell’eretico in questione (hey, man, I got a reputation to uphold) la morale de L’Esordiente non potrebbe essere più chiara: vuoi scrivere? Vuoi pubblicare? Vuoi vincere premi? Vuoi addirittura… amare? Accomodati pure, ma ricorda:
Heaven is up there, Hell is on Earth (il paradiso è lassù, l’inferno è in terra).
[1] La troppo dotta citazione viene da Edgar Allan Poe, all’inizio del suo capolavoro William Wilson, a sua volta ripresa dall’opera poetica Pharronyda, dell’ingiustamente dimenticato William Chamberlayne, autore britannico del XVIII Sec. Purtroppo però, la battuta NON appare affatto in Pharronyda [cfr. qui]. Poe se l’è inventata di sana pianta. Ack! D’accordo, però come citazione funziona lo stesso, o no?