Visto da loro e un po’ anche da me, tengo a precisare. Nell’ultima settimana ho usato uno spot (vedi video sotto) del Ministero della Difesa e della Federazione Italiana Gioco (o Giuoco) Calcio, la FIGC, come materiale didattico per le mie lezioni di linguacultura italiana all’Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico. Gli studenti messicani hanno reagito in diversi modi e hanno aumentato progressivamente il loro livello di consapevolezza e di critica sull’immagine e la realtà del nostro paese. Il livello dei gruppi, composti da 8 persone ciascuno, è avanzato, cioè C1 e C2 del quadro europeo, e l’età media è intorno ai vent’anni nel C2 e ai 25 nel C1. Tutti sono laureati o studenti universitari e superiori. Come quasi sempre accade, in classe c’è una quota di cantanti d’opera e appassionati d’arte, moda e disegno (industriale e non…), ci sono un po’ di avvocati e politologi, alcuni studenti dei licei (spesso privati) e anche dei piccoli imprenditori, degli aspiranti traduttori e dei professori universitari di varie facoltà, da filosofia a economia.
Nello specifico, dopo la proiezione del breve filmato con i miei due gruppi, in un primo momento ci son stati del leggeri sussulti d’apprezzamento, sorrisi compiaciuti e qualche frase generale di lode per uno spot che, secondo loro, è ben realizzato e costruito e risponde alle loro aspettative iniziali su “che cos’è l’Italia”. In un minuto e mezzo viene dato uno spaccato dell’immagine idilliaca che gli stranieri, in particolare in terra americana, hanno della penisola e dei suoi “bellissimi, apertissimi e artistici” abitanti. Sembra il trailer di un film gringo, cioè statunitense, di qualche anno fa intitolato Under the Tuscan sun (Sotto il sole della Toscana) con Raoul Bova e Diane Lane: un’insoddisfatta signora americana sperimenta il tradizionalismo familiare, i sapori ammiccanti della cucina e la passione languida tra Napoli e la Toscana grazie a un viaggio e a un’avventura con un tipico macho mediterraneo.
Però, una volta chiusa la pagina di YouTube e riaccese le luci, il pezzo tuttora in voga di Mameli (come lo definiva e cantava Rino Gaetano) smette di risuonare nell’aula e partono le domande, “quali realtà e stereotipi dell’Italia pensate di ritrovare nello spot?”, “avete mai viaggiato o vissuto dalle nostre parti?”. Normalmente la metà o un terzo degli studenti conosce concretamente l’Europa e in particolare l’Italia. In modi diversi quasi tutti sono in contatto con degli italiani all’estero, con la loro cultura d’origine e con quel che succede oltreoceano. Punzecchiati sulla questione degli stereotipi e le idealizzazioni, dopo una seconda proiezione del video, arrivano le critiche e le domande, spesso sarcastiche e retoriche, volte a chiarire e ricollocare mentalmente tutti gli elementi dello spot.
Ma i bambini da voi son tutti biondini? E’ ambientato in Svezia? Beh, dai, ma ci sono i castani nel video. Chiari, ma ci sono. Anche in Messico, infatti, le pubblicità in Tv e al cinema tendono a mostrare solo personaggi dalla pelle rigorosamente bianca e dalle fattezze caucasiche, mentre la maggioranza di mestizos (mulatti o meticci) e le altre etnie (popoli originari, afro-discendenti, cinesi) non sono mai rappresentate, se non con l’apparizione di accattivanti modelle “indigene” dai tratti finissimi, vestite con abiti tipici e sgargianti in vendita all’aeroporto per 40 dollari Usa. Perché la palla e le divise sembrano degli anni trenta? Ragazzi, veramente non lo so, l’ambientazione è quella, era un bel periodo o no? Abbiamo vinto due volte il mondiale…altro non ricordo…sarà per quello, non facciamo i tendenziosi.
I migranti e i nuovi italiani che fine hanno fatto? Non ci hai insegnato che il 10% della popolazione italiana (e/o residente) viene da altri paesi e che una classe di scuola primaria può avere anche la metà (o più) di alunni con i genitori nati in altri paesi? E’ tutto vero, credetemi, mi tocca ribadire. Solo che forse il ministero non li ha voluti includere nel motto “nata per unire”, non so. Forse non volevano far assomigliare la squadra dei pargoli di bianco vestiti alla tanto vituperata nazionale francese della finale mondiale 2006 che perse contro l’Italia ai rigori. In quel tempo disse il ministro leghista per la semplificazione (semplificazione degli insulti?), Roberto Calderoli, che fu la “vittoria della nostra identità, una squadra che ha schierato lombardi, campani, veneti o calabresi, ha vinto contro una squadra che ha perso, immolando per il risultato la propria identità, schierando negri, islamici, comunisti”.
Nessun bimbo di colore, nessun orientale, magrebino, slavo, sudamericano gioca a calcio nel paesino dei “puri”. Gli alunni lo notano subito, e noi? Passi che siam tutti belli, magri e sani, ma non siamo affatto monocromatici. Son sviste di daltonismo razziale che colpiscono i corsisti i quali chiedono anche come mai si deve sempre menzionare il calcio come fonte di nazionalismo legittimo. Premesso che il nazionalismo è una malattia di gioventù e lo abbiamo (forse) imparato a nostre spese nel corso del novecento, qui tutti capiscono che far leva sullo sport nazionale, la nuova religione laica, funziona, ma si chiedono comunque che cos’altro potremmo e dovremmo mostrare a noi stessi e al mondo. E l’arte? E il cinema, la letteratura, il pacifismo? Siete la culla del diritto, ma sembra un po’ che siete sul piede di guerra…(dicono) Non m’era parso proprio così come dite, ma pensandoci bene forse avete ragione…
Eccoli accontentati. Una giovane sosia di Sofia Loren si risveglia soddisfatta, nonostante sia stata svegliata da orde di urlatori e scampanate, e s’affaccia raggiante e stupenda alla finestra per fare il saluto al sole e ascoltare l’inno suonato dalla banda del paese, proprio lì, giù in piazza. La donna mediterranea, anche questa corrispondente allo stereotipo nostrano, non è certo una biondona, che magari potrebbe essere la madre di uno dei bambini giocatori, e quindi crea nei discenti messicani una percezione d’incoerenza, come fosse un piacevole ma inatteso elemento di disturbo. Italiani brava gente? A volte sì, a volte no. Come tutti i popoli. Fratelli d’Italia, fischiettato dal piccolo calciatore colpevole d’aver tirato il pallone sull’albero (ma non l’hanno menato?…che gioventù bruciata…), mette d’accordo tutti e richiama l’attenzione generale verso i valori veri e l’unità d’intenti d’un popolo orgoglioso e (c’aggiungo) fieramente provinciale. E’ provincia italiana quella che si respira e si vede nel filmato: una realtà, per l’appunto, cinematografica e paradisiaca, dove c’è sempre il sole, le campane non disturbano mai, tutti sono amici, le persone ridono sempre, suonano il clarinetto (niente mandolino) e chiacchierano pacificamente per strada prima di emozionarsi alla vista della Loren da giovane e dei mille garibaldini, i gentiluomini di rosso addobbati e dal nord accorsi per salvare i giovani calciatori e, magari, le loro future mogli veline (ma non velate, attenzione a non nominare il burqa qua). Di solito se tiravamo il pallone nel giardino del vicino o su un albero, il vicino stesso o il portinaio lo recuperavano, bestemmiavano e ci minacciavano di bucarlo se il tragico evento si ripeteva, altro che libertadores a cavallo. Garibaldi e i suoi hanno cucito il paese come fanno i medici che ti mettono i punti, rapidi ed efficaci ma anche dolorosi. Fu anche un’azione di guerra e conquista, non una passeggiata di salute. Non vengo io a riscoprire il revisionismo nella storia e non approfondisco qui ma a me è venuto in mente questo in contrapposizione con la visione idealista del clip. Non ho sognato di fare una scampagnata in collina coi padri fondatori della patria. Ma si sa, lo smog della capitale azteca fa male alle sinapsi. E poi, cosa vuoi che ne sappiano i messicani e gli italiani all’estero di queste dicerie pseudo-storiche. Solo aleggia il sospetto, anzi la certezza, che la storia nazionale italiana (ma anche quella messicana, manipolata da 70 anni di regime egemonico di un partito unico) stampata sui testi ufficiali si riveli come una favola basata su fatti reali e costruita in modo da farci venire la pelle d’oca quando sentiamo l’inno. O almeno ci prova. Grazie alla visione del filmato tutte queste sensazioni sono riaffiorate dal passato scolastico e accademico palesando la loro artificialità. L’epica dei trionfi e delle sofferenze di un popolo che, secondo la sua retorica nazionale, era il centro del mondo e della civiltà, ha scoperto l’Asia e l’America e ha creato tutto il creabile dell’arte e della tecnica nel passato fino a giungere oggi all’apice della cultura e l’economia mondiali è tornata veemente a ripresentarsi in tutta la sua campanilista superficialità. Stando all’estero, ma anche scontrandosi con il diverso o con “l’altro”, il concetto antropologico di etnocentrismo e il riemergere del nazionalismo cui c’hanno educati diventano fatti concreti con cui fare i conti nella vita d’ogni giorno.
Altre domandine degli alunni. Suonano le campane della chiesa proprio all’inizio, ma siete così cattolici? Più o meno di noi? Un po’, non so, all’occorrenza, io sono più agnostico però…scusate, ma bisognava metterci un po’ di chiesa se no qualcuno protesta. Ricordate che siamo l’incarnazione e i garanti delle radici giudeo-cristiane della prospera Europa dei cittadini e non siamo miscredenti. Dimenticatevi tutte quelle espressioni volgari e colorite, dette bestemmie, che parlano male della corte divina e che probabilmente avete sentito ripetere a profusione durante i vostri viaggi in Toscana e nel bergamasco, per fare un paio d’esempi. Secondo alcuni siamo anche la barriera naturale dell’Europa che si difende dalle “invasioni barbariche” delle genti del sud, dell’est e dell’ovest, africani, albanesi, rumeni e cinesi in testa. Pochi ricordano che prima i barbari eravamo noi italiani, quelli nati al di sotto del Po, quelli che venivano dal nostro sud e pure dal nostro est, per cui se eri meridionale a Milano non ti affittavano una casa.L’esempio è noto in Italia ma non in Messico e ai messicani. Forse è un po’ usurato ma vale la pena riscriverlo, anche qui, per non perdere la bussola e non trasformare i popoli del mondo nei nuovi e veri “schiavi di Roma”. Cosa che, tra l’altro, già avviene, basta chiedere a un “clandestino” o a un raccoglitore di pomodori in quel di Puglia e Calabria o a un muratore in quel della nuova Fiera di Milano. Schiavi contemporanei e invisibili vicini di casa. Il dito medio di Bossi sulla maglietta parla più di un post sul blog. In medio stat virtus, secondo lui.
E i caccia che alla fine volano nel cielo blu dipingendo i colori della bandiera messicana? Sono le frecce tricolori, è un onore per un pilota cimentarsi in volo con piroette e figure che disegnano il tricolore: fumi bianchi, rossi e verdi che compongono in aria la bandiera italiana che è quasi uguale alla vostra, almeno nei colori e nel loro ordine. In Messico avete anche lo stemma centrale con l’aquila e la pianta del fico d’india ma ci siamo quasi. Certo. I caccia servono a fare la guerra, magari in Iraq o in Afghanistan, e non a dipingere capolavori per aria ma non importa adesso, festeggiamo. Ma siete così militaristi e patrioti in Italia? Mmm, non credo, lo spot vi depista o serve a imporre un idealismo sorto nella mente dei suoi creatori e fautori, l’ineffabile FIGC e l’incredibile Governo B. Chissà.
Come mai festeggiate proprio i 150 anni? Qui in Messico si celebrarono i 100 e 200 anni dell’indipendenza, proprio l’anno scorso. Avevamo bisogno di ricordarci qualcosa che giusto in questo momento mi sfugge e cento anni sarebbero stati troppi, meglio adesso quindi, 150. A metà del cammino, diamoci un taglio e vediamo che c’è. In fondo fare un bilancio non dovrebbe spaventare nessuno, non va così male, ma non so se abbia senso.
Ma il paesino del video esiste davvero? Esiste, esiste, fidatevi. Ho messo anche la foto, vedete. Il fiume è pulito, le rondini svolazzano e le epoche della storia vi convivono armoniosamente. Ancora per qualche anno sarà un borgo fiabesco con Sofia Loren, le anziane comari allegre, i mille a cavallo, le chiesette un po’ ovunque e le strade gremite di calciatori e suonatori. E’ la nostra pace millenaria. Però poi, purtroppo, ci costruiranno una bella centrale nucleare di terza generazione e forse le cose cambieranno anche se, garantiscono dai palazzi del potere, è tutta roba sicura, no problem.