di Marilù Oliva
“Dove tutto brucia”, Mauro Marcialis, Piemme, 2011
Seguito potenziale ma disgiunto de “La strada della violenza” (Colorado Noir, 2006), in comune col primo dei suoi precedenti tre romanzi, “Dove tutto brucia” ripropone forze di polizia e servizi deviati, collusi con alta imprenditoria e potere politico, narrazioni da differenti punti di vista e una Reggio Emilia portavoce di un contesto provinciale ombra di scenari più ampi, che viene alternata ad altri luoghi. Da Roma a Milano fino a una Bogotà in festa. Ogni città è microcosmo della nazione e la storia viene ricostruita nel poema d’inizio, “Dimensione Italia”, in cui sono spiegati gli ultimi ingloriosi centocinquant’anni italici senza peli sulla lingua:
Dimensione Italia non è misurabile,
non è ascrivibile a limiti geografici.
Dimensione Italia è una slogatura dell’Occidente,
i parametri di valutazione sono esclusivamente criminali.
La Storia ci aveva già fatto a pezzi:
eravamo un’accozzaglia di Stati,
tutti orgogliosamente fondati sull’autocompiacimento.
L’unità è stata un’operazione di marketing, un grottesco malinteso.
Ci siamo illusi, trascinando l’inganno per decenni
e fasciandoci con una retorica tricolore che,
nell’incuria, si è completamente annerita.
Mondiali di calcio 2006, momento cruciale Italia-Francia, tensione e aspettative. L’incipit procede tra le immagini dell’evento calcistico trasmesso in televisione e la storia criminale che si innesca con un viaggio attraverso un autoarticolato diretto a Reggio Emilia dal confine francese, dotato di un permesso speciale — e contraffatto — per il suo carico: roba deteriorabile.
Dai fatti ai luoghi e a seguire un piccolo estratto su un luogo-non luogo rappresentativo, uno dei più interessanti passaggi descrittivi, quello in cui Marcialis fa di Globalia, Centro Commerciale definito Duomo del nuovo millennio, l’emblema personificato dell’avvenirismo sterile e di tutte le logiche dell’abbandono: «Occupo un’area di trentacinque chilometri quadrati, sono larga duemila metri e alta cento, in alcuni punti. […] Ho le ossa di cemento armato, i vasi sanguigni di acciaio e le arterie di alluminio. […] Sono bestiale, massiccia, altezzosa. Sono disseminata di sensori e impianti antincendio, di informatori elettronici e di impianti antifurto, di piastre fotovoltaiche e telecamere a infrarossi. […] Alcuni cronisti indipendenti dicono che sono la provenienza e la destinazione del profitto criminale, ma molti altri dichiarano che sono una facciata imponente agghindata di maestranze e raffinatezze. Sul certificato di nascita ho dieci paternità con S.r.l. finali. Responsabilità limitata: sbobba giuridica per motivare le impunità».
In questo Strapaese quattro poliziotti portano avanti i loro loschi affari e lo fanno indisturbati e coperti: Giorgio Garlini, Flavio Foglia, Matteo Battini, Romano Fani, tutti della Questura di Reggio. Tra estorsioni, ruberie e traffici illeciti, arraffano le mance che lo stato non accorda loro, intoccabili penetrano nei covi di ricettatori e spacciatori, sfruttano le posizioni precarie di extracomunitari per sottrarre loro la miseria racimolata.
Lorenzo Rollei sa. Sa, tace ma li costringe a seguire un caso di droga, a scortarla e ad impedire che venga bruciata. Molte cose invece bruceranno, in un crescendo di misfatti burattinati da una loggia segreta di cui fanno parte uomini delle istituzioni, dell’alta finanza e del crimine organizzato.
Con una prosa decisa, un ritmo in crescendo e capitoli che alternano posizioni, arrangiamenti, protagonisti e con un countdown finale antecedente all’epilogo, quest’autore trentottenne che risente dell’influsso di James Ellroy – suo grande maestro – pur distaccandosene in chiave originale, raccoglie le ceneri degli incendi divampati metaforicamente nel romanzo e le consegna al lettore, con l’amarezza per un’impunità che dilaga e con la consapevolezza che poco sta cambiando. Che la legalità è solo un’utopia. Almeno tra queste pagine.
“Carnevale”, Daniele Bonfanti e David Riva (a cura di), Edizioni XII, 2010
È una Venezia molteplice e sfaccettata quella di “Carnevale”, antologia speciale curata da Daniele Bonfanti — scrittore ma anche pianista e compositore, campione di kayak, alpinista ed appassionato di alchimia — e David Riva — scrittore per passione, infermiere per professione e anche lui, come Bonfanti, parte del nutrito team della casa editrice — per la collana Camera Oscura, contrassegnata da temi fortemente simbolici.
Speciale per diversi motivi, non ultimo il fatto che ogni contributo sia corredato da una deliziosamente inquietante tavola del Duo Diramazioni, della cui arte onirica la copertina fornisce un assaggio. Partirei però dai numeri, tanto preziosi in molte delle opere di questa casa editrice che sul numero e sulle sue implicazioni esoteriche ha basato la filosofia e il nome, Edizioni XII. Già Daniele Bonfanti (insieme a Luigi Acerbi) aveva curato per la stessa collana di Edizioni XII “Archetipi”, un’antologia di dodici racconti di autori vari, legati ad altrettanti diversi archetipi (il Demone, il Diluvio, il Golem, la Resurrezione, il Cannibalismo, l’Uomo Nero, le Sirene, l’Erede, i Confini del Mondo, la Natura Ribelle, la Maschera e l’Anima).
Guarda caso anche qui vengono proposti dodici racconti attraverso dodici autori, ognuno a mostrare una diversa maschera di una laguna che si moltiplica in tante città e si ripiega sulla stessa a cercarne l’anima, l’imprinting originario, mentre un racconto fa da cornice e collante tra tutti gli altri, laddove l’unico costume femmina, Colombina, è senza maschera e vaga come stordita tra tutti gli altri.
Una Venezia, quella dove si muovono e si incontrano i protagonisti delle narrazioni, che non è certo quella delle cartoline. È la Venezia di notte, quella cattiva dove perdersi è un attimo — in qualsiasi senso si intenda la perdizione — e il silenzio umido, ammuffito, sembra surreale se cala dove poco prima schiamazzavano, tra bagliori di flash e giapponesi in visibilio, altre greggi sorridenti di turisti.
La città è e non è. Festeggia e si rabbuia, si copre e si smaschera. Con la complicità suggestiva del mare, nel groviglio delle calli, simboli tutt’altro che casuali, o tra edifici dalle fondamenta marcescenti. Dove strisciano segreti e, tra le decine di migliaia di fantocci di carne si possono scorgere, perfino sotto la superficie dell’acqua, occhi antichi che scrutano.
Un appunto. Dei dodici autori ho contato dieci maschi e due sole donne, brave, peccato solo due! Il brano seguente l’ho tratto dal racconto di Marica Petrolati, “La caìgo”:
«Un sole scialbo era impiccato alla distesa pallida del cielo, come un illustre intruso.
Un velo impalpabile ghermiva riva degli Schiavoni, serpeggiando tra gambe e lampioni, come un miasma mefitico, in un Giovedì Grasso umido ed opaco.
Le gondole al palo si stagliavano contro l’isola di San Giorgio, in una veduta da cartolina.
Michela alzò le spalle, incoraggiando un brivido di freddo e di stanchezza.
Dietro di sé aveva lasciato il vociare chiassoso di piazza San Marco, le maschere immobili e mute, lo schiamazzo dei bambini che saettavano tra coriandoli e stelle filanti».
Anche qui, tra veneziani scontrosi, visitatori avidi d’arte, tra vaporetti e ponti, fetore di urina commista a fogna e profumi di mare, la Serenissima si mostra sublime, eternamente festante a definire il concetto stesso di Eleganza, con un sorriso seducente sul volto incantevole. O è un ghigno?
“Dizionario della crisi per ignoranti colti”, di Alessandro Volpi, Transeuropa, 2010
Docente di Storia contemporanea, Geografia politica ed Economia presso l’Università di Pisa, Alessandro Volpi — che riveste anche la carica di assessore al Bilancio, alle Finanze e al Patrimonio del comune di Massa Carrara — ha pubblicato una quindicina di monografie dedicate alla cultura politica dell’Ottocento e alle tematiche della storia economica e dell’economia contemporanea, con particolare attenzione alle questioni della globalizzazione. Quest’anticipo biografico per introdurre quanto nel saggio uscito per Transeuropa confluiscano conoscenze ed esperienze curricolari. Come anticipa il titolo, questo volume snello — 152 pagine — scorre come un dizionario corredato di un’appendice dedicata alla “Questione Toscana”. Un dizionario non disposto in ordine alfabetico ma distribuito attraverso parole chiave che affrontano le differenti cifre della crisi economico-finanziaria italiana, dalle decifrazioni vere e proprie dei fenomeni agli approfondimenti, alle premesse strutturali fino agli aggravi congiunturali. Il caso del Belpaese viene trattato nella sua peculiarità ma anche confrontato col panorama internazionale e ogni lessema è fornito di un ricco corredo scientifico: dati, statistiche, numeri.
La fascia di destinazione dell’opera anticipata nell’ossimoro del titolo, ovvero gli “ignoranti colti”, altro non sono che i lettori ideali di questo saggio preciso, lucido, chiarificatore che, senza banalizzare, vaglia problemi spesso ostici anche per le persone più attente. E la lettura è scorrevole, anche quando si tratta di “lacune”: «Rispetto ad ottobre 2007, la produzione industriale di ottobre 2008 era calata nel complesso di quasi il 7%; questo dato, di per sé già assai critico, è stato drammatico in alcuni settori, come quello dell’auto, dove il crollo ha superato il 34% e avrebbe dovuto mettere sull’avviso in merito ad ulteriori cadute, assai probabili. In estrema e cruda sintesi, l’Italia era già in aperta recessione e gli effetti si sentivano in maniera dolorosa sul fronte del mercato del lavoro che era afflitto da poco meno di 400 mila lavoratori in cassa integrazione e da altrettanti precari in scadenza di contratto, a cui si sarebbero dovute aggiungere le numerosissime tipologie di soggetti privi di qualsiasi tutela contrattuale». (p. 13)
L’autore include voci in apparenza disgiunte ma di fatto connesse per rendere la disanima completa, quali “federalismo”, “antifascismo” e “parlamento”, termini indispensabili per comporre un’analisi socio-politica completa. Si veda ad esempio la voce “cattolici”, essenziale alla comprensione di una fetta sociale di popolazione — che incide, quindi, sulle elezioni e sulle sue conseguenze economiche — richiamata a un atavico retaggio religioso: «In questo senso si assiste al paradosso di una Chiesa tornata ad essere tradizionalista, solerte nel richiamare i cattolici ai loro doveri, che si muove però in uno scenario politico confuso in cui da più parti, in maniera in realtà non del tutto credibile, si punta ad ottenere patenti di cristianità per finalità elettoralistiche e ben poco coerenti con gli appelli all’etica di papa Benedetto». (p.32)