di Alberto Prunetti
Dalle Ande agli Appennini, arrivano dall’Argentina una serie di titoli sotto la spinta della Fiera del Libro di Francoforte (col paese australe ospite d’onore) e dietro l’impulso del Programma di traduzione Sur, che ha premiato molte traduzioni con un fondo di 2300 dollari. Alcuni li abbiamo già recensiti, altri appariranno in un prossimo post su Argentinazo. Stavolta proponiamo una veloce carrellata su testi di generi distinti: noir, poliziesco per l’infanzia, teatro, racconti.
Prima di tutto va però segnalato un capolavoro che male si configura in un genere. Non è l’ultimo bestseller, ma un testo oscuro, sconosciuto in Italia eppure considerato da molti studiosi una delle pietre miliari della fondazione mitica della letteratura argentina: Il mattatoio di Esteban Echeverría (Roma, Portaparole, 2010, traduzione di Ana Valeria Dini, 14 euro), scritto nel 1839, pubblicato postumo molti anni dopo in Argentina e finalmente consegnato ai lettori italiani in una raffinata edizione bilingue per i tipi di Portaparole. Un testo che si può leggere guardando alla contemporaneità dell’autore, come atto di denuncia della violenza e della repressione, della tirannide e del conflitto che nel XIX secolo opponeva in Argentina unionisti e federali, interior rurale e zona costiera, latifondo e capitalismo, feudalesimo e liberalismo. Ma “El Matadero” si può anche leggere come tragica profezia sul destino violento del paese.
Siamo in un mattatoio e l’autore in poche pagine usa diversi espedienti stilistici (caricatura, sarcasmo, iperrealismo, linguaggio aulico) per mettere a punto un set estremamente truce in cui la barbarie del potere si dispiega sul corpo dei sudditi, nelle tecniche di macellazione degli animali che metaforicamente rimandano ai nemici politici. Un linguaggio del potere che si avvale della retorica gauchesca e che Echeverria demolisce caricaturalmente in un testo che è anche un pamphlet politico anticlericale e antiautoritario, a suggerire un legame di questo romantico argentino con un filone di letteratura che in Europa era incarnato dalla critica libertina d’oltralpe. Ma la penna dell’argentino è colma del sangue che si spande sulle pampas a partire dal collo dei bovini, lo stesso sangue che uscirà anni dopo da quei gauchos idealizzati nel Martin Fierro ma costretti a lavori disumani nella realtà; quel sangue che sgorgherà dagli indigeni decimati nel genocidio dei popoli nativi durante la Campagna del deserto; e poi ancora nello sterminio degli operai patagonici, fino alla soppressione della resistenza peronista e della generazione di peronisti di sinistra degli anni Settanta. È quasi impossibile pensare l’opera di Echeverría senza situarla aldilà del suo campo di enunciazione, senza spostarla nel Novecento, laddove la carne argentina, simbolo ed emblema patrio per eccellenza, sarà sacrificata su quei letti di tortura, sarà cotta sotto il pungolo elettrificato della picana su quella che non a caso i repressori dei centri clandestini di detenzione chiamavano parrilla: ovvero la griglia per l’arrosto. Carne bovina e corpo dei sudditi, diritto di macello del potere: un rapporto tra il potere e il sacrificio (realizzato sulla pelle dei bovini in forma allegorica, su quello dei cittadini nelle aberrazioni della storia) che si riassume nella leggenda nera che vorrebbe la Casa Rosada tinteggiata col colore del sangue bovino stemperato con la calce. Forse ho esagerato forzando la mia lettura del racconto di Echeverría in chiave novecentesca, ma come lettore contemporaneo questo valore profetico del testo mi è sembrato imprescindibile. In ogni caso l’edizione italiana è corredata da una puntualissima introduzione di Amanda Salvione che riconduce il capolavoro di Echeverria nelle coordinate storiche che lo hanno prodotto.
Vediamo adesso altri titoli argentini recentemente apparsi sugli scaffali italiani.
Mi ritrovo in mano un’opera di teatro di un autore giovane eppure già tradotto in 11 lingue e rappresentato in quindici paesi: Rafael Spregelburd, di cui Ubulibri ha stampato i due volumi della Eptalogia di Hieronymus Bosch (Bosch, Milano, Ubulibri, 2010, 2 vol., traduzione di Manuela Cherubini, 20 e 21 euro), una raccolta di sette diversi drammi ispirati alla Ruota dei Sette Peccati Capitali del pittore fiammingo. Ma nel passaggio dal Medioevo alla modernità i sette peccati originari trasmigrano semanticamente in inappetenza, stravaganza, modestia, stupidità, panico, paranoia e cocciutaggine. Un’opera complessa, debordante, antilineare, che si regge su una trama di citazioni incrociate e che conferma la qualità del teatro argentino, che a Buenos Aires non si esprime solo nella Broadway di Corrientes ma anche in una serie di cattedrali off-corrientes (senza dimenticare l’inossidabile Centro Cultural San Martín, questo sì in Corrientes, che da solo sforna tanta cultura quanto gli assessorati di mezza Italia). Su questo libro voglio aggiungere che ho molto apprezzato il lavoro fatto dalla traduttrice Manuela Cherubini, che non si è limitata a tradurre il testo ma ha anche promosso l’opera e curato gli apparati paratestuali. Un esempio di un coinvolgimento del traduttore che non è un semplice ribaltatore di carte, ma l’elaboratore di una nuova opera di scrittura a cui dona forma e parole.
Interessante raccolta di racconti, pubblicata da una piccola e ammirabile editrice pugliese, Uccelli rari ed esotici di Reina Roffé (Alberobello, Poiesis, 2010, traduzione di Giovanna Ferrando, 12 euro) ci porta dall’Argentina una voce femminile. Il racconto che mi è piaciuto di più è “La notte in bianco”. Tre donne, tre generazioni al femminile. Un racconto dove gli uomini sono una presenza imminente e minacciosa, quella dei repressori che vengono di notte a sequestrare, a portarsi via la gente. Una minaccia da cui ci separa solo lo spazio di un muro. La storia è purtroppo tutt’altro che finzione: una donna sta per essere sequestrata, trova il tempo di bussare alla vicina e di infilarle in casa la sua bambina, prima che i militari arrivino sul pianerottolo. La donna si mette a chiacchierare con la bambina perché non ascolti quello che succede nella stanza vicina. Ma mentre parla, la sua mente torna in Francia, suo paese natale, dove ha subito lo stesso trattamento da parte dei nazisti. Per confermare che “il mondo era questo: una fabbrica incessante di stupidità e di orrore”.
Cambiamo completamente genere: le Nuove edizioni Romane hanno in catalogo una collana di gialli adatti a ragazzi dai dieci anni in su, tra cui spicca la firma dell’argentino Pablo De Santis. È gradevole la lettura de Il giallo delle Pagine Mischiate (Roma, Nuove edizioni romane, 2009, traduzione di Francesca Caddeo, 9 euro), piacevo libretto illustrato con opere di Federico Appel in cui il lettore deve ricostruire l’ordine dei capitoli nello scenario di un salto tra due livelli di narrazione, sullo sfondo del lavoro di redazione di una casa editrice. Tutt’altro che banale.
Un commando di terroristi irrompe negli studi in cui si sta girando l’edizione argentina del Grande Fratello. E’ il Reality di Sergio Bizzio (Roma, E/0, 2010, traduzione di Raul Schenardi, 16 euro). Realtà e finzione si mescolano in una rappresentazione caricaturale del fondamentalismo dei media, dell’estremismo della società dello spettacolo. Rimane forse il dubbio che le pretese filosofiche si potessero giocare in maniera narrativamente più conseguente, ma gli stimoli per la riflessione e la lettura ci sono tutti. Forse è anche il mio fastidio per gli allarmismi islamofobi che mi fa pensare che un attentato come quello raccontato nel libro di Brizio sia più inverosimile di una puntata in cui gli inquilini della casa si mettano a discutere di Derrida e Habermas.
Una raccolta di racconti di Silvina Ocampo (Un’innocente crudeltà, Roma, La Nuova Frontiera, 2010, a cura di Francesca Lazzarato, 15 euro), nome della stagione letteraria martinfierrista, associata per vicende familiari e letterarie all’opera dei grandi numi dell’alta borghesia argentina, capace di raccontare con penna sorvegliata la violenza del mondo dell’infanzia. Non sono un grande estimatore di quel periodo argentino, però alcuni racconti sono intriganti. La casa editrice La Nuova frontiera ha pubblicato dei testi che mi hanno scaldato di più e che ho segnalato in precedenza, come le opere di Argemí e Dal Masetto già recensite qui.
Sempre per E/0 è apparso qualche anno fa un libro che si merita una tardiva segnalazione. Sto parlando di Delivery. Coca a domicilio di Alejandro Parisi (Roma, E/0, 2007, traduzione di Raul Schenardi, 12,50 euro), una delle nuove voci della scrittura argentina. Il romanzo racconta la storia di un giovinastro svogliato della classe media argentina scivolata di qualche punto nella scala sociale dopo il menemismo. Il ragazzo ha una casa decente, non è una residenza borghese ma neanche un riparo in una villa miseria. Non ha voglia di studiare e si guadagna una miseria facendo il pony express di pizza e empanadas. Un lavoro perfetto per mascherare un altro tipo di consegne a pagamento. Lo contatta la rete di spacciatori presieduta da una figura che sembra un padrino del cinema americano, el tano (ovviamente uno dei nostri), e gli mettono in mano coca, belle ragazze e soldi facili. Il tipo sembra risucchiato in un vortice più grande di lui ma (forse) trova nell’amore una via di fuga per ricominciare. Finale forse troppo semplice ma storia realistica raccontata con un linguaggio secco e incisivo. Meglio quasi di Pizza, birra y faso. Qualche menata sulla mamma che non c’è più. Bello, però.