di Simone Sarasso
Kai Zen, Delta Blues, Edizioni Ambiente — Verdenero Romanzi 2010, pp.264, € 16
Per parlare del nuovo romanzo di KAI ZEN — il collettivo di scrittori già autore del solidissimo La strategia dell’Ariete, nonché di una manciata di romanzi totali (La potenza di Eymerich, Spauracchi, etc. etc.) — tocca parlare del concetto di cover. Wikipedia docet: Nella terminologia musicale, una cover è la reinterpretazione o il rifacimento di un brano musicale – da altri interpretato e pubblicato in precedenza – da parte di qualcuno che non ne è l’interprete originale.
Non ci sono molti atteggiamenti di fronte a una cover: O la si ama o la sia odia.
Se la si odia, di solito, è perché non è all’altezza del pezzo originale. O addirittura maltratta così tanto l’originale da renderlo rivoltante.
Un esempio su tutti: Ad ogni costo, il ridicolo italico adattamento di Creep dei Radiohead firmato Vasco Rossi.
In questo caso non c’è davvero nulla da dire: la cover fa cacare; è furbetta, volgare e sempliciotta allo stesso tempo. Scontenta i fan del Blasco e fa vomitare quelli dei Radiohead.
Ma mica sempre va così. A volte capita che una cover dia nuova vita al pezzo, magari dopo un limbo di fermentazione durato anni. Pensate a Like a rolling stone: tanto bellina la versione di Dylan del ’66. Ma volete mettere con quella dei Rolling Stones? E lo stesso vale per Knocking on Heaven’s door: niente male la rinfrescata che le hanno dato i Guns ‘n’ Roses, no?
Potrei spingermi fino a tessere le lodi di Enjoy the silence dei Depeche nella versione Nada Surf (a me piace un casino), ma sento già i brusii in sottofondo dei fan de lord del synth-rock brittanico, per cui mi fermo qui.
Spesso la forza delle cover risiede nel tempo: quello intercorso tra l’originale e la rivisitazione. Tempo che ha portato con sé progressi tecnologici, maturazione del gusto, maturità artistiche. E che può contribuire a rendere attuale un vecchio classico.
Be’, questo è esattamente quello che succede con Delta Blues.
Delta Blues è la cover di uno dei romanzi fondamentali del XX secolo, Cuore di tenebra di Joseph Conrad.
Aspetta, direte voi. Guarda che hanno già fatto una cover di quel libro lì: l’ha fatta un regista americano nel ’79, e ci ha quasi rimesso la pelle per imprimerla su pellicola. Il film, che te lo dico a fare, si intitola Apocalypse Now. E il tizio che l’ha girato, chissà se l’hai mai sentito nominare, Francis Ford Coppola.
Sì, lo so, non vi scaldate tanto. Non cambio idea: Delta Blues è all’altezza dell’originale.
E tra un paio di righe vi spiego perché. Prima, però, fatemi dire un paio di cosucce sulla storia: in Nigeria l’Ente (una nota multinazionale italiana del petrolio) la fa da padrone: pompa il sangue nero della terra fottendosene dell’impatto ambientale, avvelena il pesce e il cibo, le risorse idriche. La gente del luogo reagisce come può, tentando di sabotare l’infinito serpente d’acciaio imbottito d’oro nero: bunkering, così lo chiamano sul Delta del Niger. Si forano le condutture del greggio, si succhia il liquido che ne fuoriesce, lo si rivende altrove. Si tenta di sopravvivere, insomma. Ma si finisce solo per far fare più danni: un drago sanguinante è molto più pericoloso di un mostro che scoppia di salute. Chi gli si avvicina, rischia di andare a fuoco.
A cercare di mettere una pezza alla situazione viene inviato Klein, metà geologo e metà filosofo, assoluto genio coriaceo al soldo dell’Ente. Klein, però, decide di giocare a modo suo. Sbatte in faccia all’Ente le sue responsabilità, lo obbliga a guardare nell’abisso, al fondo del proprio cuore di tenebra. È proprio allora che, misteriosamente, scompare nel nulla. Tipo scomodo questo Klein, e si sa che fine fanno i Don Chisciotte che si mettono a stuzzicare i mulini a vento multinazionali…
Poco dopo la scomparsa di mr. K. l’Ente incarica Andriç, nome in codice Tamerlano, uomo d’acciaio cresciuto nei Servizi, di andare in Africa a recuperarlo. Il viaggio di Tamerlano lungo il fiume, fino all’infuocato Delta, sarà duro quanto quello del Marlow di Conrad o del Willard di Coppola, statene certi.
Lungo la strada ci saranno sangue e imprevisti, morti lente, fuoco e fiamme, banditi, puttane, diavoli di cartapesta e marinai d’acqua dolce. E ogni metro in direzione del Delta, Tamerlano sarà un metro più vicino all’orrore.
A grandi linee (e lo spirito della cover è proprio questo), la melodia di Delta Blues ricalca quella di Conrad: addirittura, la scansione del romanzo di KAI ZEN è molto più fedele a Hearth of darkness di quanto non lo sia Apocalypse Now. Le assonanze sono parecchie: l’Africa rimane Africa e non diventa Vietnam, al centro della “scomparsa” di Klein/Kurtz c’è un “sudicio commercio” (in Conrad l’avorio, in KAI ZEN il petrolio: oro bianco e oro nero), è intatto l’impatto “sociale” del romanzo, anzi è potenziato (come è tradizione in casa Verdenero, vengono smascherate le malefatte dell’uomo nei confronti dell’ambiente: in questo caso si tratta delle profonde ferite inferte dall’Ente al corpo e all’anima straziata dell’Africa nera), la struttura dei due libri arriva talora addirittura a combaciare in maniera sorprendente.
Ma il vero colpo di genio è l’arrangiamento che il quartetto ha fatto del pezzo di Conrad: nella trama è sottesa una fittissima rete di rimandi letterari e filosofici (uno su tutti: il “cercatore” di Delta Blues si fa chiamare Tamerlano, quello di Cuore di tenebra risponde al nome di Marlow. Guarda caso, Christopher Marlowe fu proprio autore di Tamerlano il Grande, e, guarda caso, Andriç spesso ha incubi ambientati sul palco di un vistoso teatro elisabettiano), musicali (il Delta Blues del titolo è proprio quello di Robert Johnson, e ci sono proprio i titoli delle sue canzoni a scandire gli Atti del romanzo; infine, se non bastasse, nella storia fa capolino anche un bluesman vestito di stracci multicolori che studia da papaloa, ossia colui che ruba le anime ai crocicchi), mitici (l’esergo di Delta Blues è un’incisione rappresentante il drago Fafnir ucciso da Sigurd) e mistici (se mai dovesse servirvi, leggendo le pagine di KAI ZEN potreste imparare come costruirvi uno Tsakatu).
Questa salsa speziata con cui viene condita l’ottima carnazza dello zio Joseph, rende la storia che sta alla base dei due piatti (tre, contando pure Apocalypse Now) eterna. Ne stravolge l’aroma senza tradirne il sapore originario. Consegna quella vecchia, bellissima canzone d’un secolo fa alle nuove generazioni che non l’hanno mai orecchiata nella versione originale.
E, per come la vedo io, diavolo, è proprio questo che dovrebbe fare una cover.