di Uno studente della Sapienza di Roma
[Di nuovo siamo costretti a omettere il nome dell’autore dell’articolo. E’ vero che gran parte delle manifestazioni del 22 dicembre sono state pacifiche, però quelle del 14 restano tabù. Si infittiscono anzi le proposte repressive, niente affatto nuove. La famiglia imolese di mia madre era socialista. Sotto il fascismo tutti gli uomini di casa venivano arrestati preventivamente ogni volta che Mussolini passava per Bologna e dintorni, e rilasciati dopo la sua partenza. C’è chi, al governo, si ispira a quel modello.] (V.E.)
Roma 20 dicembre
Non ho fatto e letto granché dal pomeriggio del 14 dicembre. La notte di martedì è stata tra le più agitate degli ultimi tempi. Demoni, fantasmi, mostri hanno invaso il mio (mancato) riposo. La fase R.E.M. non è mai giunta, il giorno dopo ero distrutto dalla mancanza di sonno. Mercoledì un senso di spaesamento vitale cingeva la mia coscienza; per inerzia mi sono dedicato agli impegni ma nulla poteva cancellare gli eventi del giorno prima. Volevo riposizionarmi nel tempo e nello spazio ma non ci sono riuscito. Questa è solo una piccola storia, una narrazione in breve del mondo lacerato della Piazza. Un resoconto lirico e non un’analisi politica. Una visione di un particolare da parte di uno stagionato studente.
Siamo in Piazza io e la mia compagna. Intercettiamo il corteo degli studenti intorno a Viale Castro Pretorio, nei pressi della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, proprio da dove ora sto ultimando e dando forma definitiva a queste cartacce e pensieri accumulati in questi giorni. Ci immergiamo nella fiumana di studenti della mia Sapienza, Università di Roma. Un saluto ad amici e amiche, parliamo di quel che accade, della situazione insostenibile creatasi nella nostra amata Repubblica Italiana. Ma mi sento già dimezzato: troppe volte in Piazza quella visione diacronica del presente mi ha attraversato; non volevo che si ripetesse. La verità è che, forse, sapevo come sarebbe andata a finire.
Sapevo del Potere, della sua articolazione violenta tramite gli artigli senza curve dei caschi blu. Dei loro manganelli dove più fa male. In testa e sulle giunture. Sapevo dei calci in testa, sapevo del trascinare per i capelli manifestanti piangenti, appena prima accerchiati e poi randellati perché rimasti soli.
Ma decidiamo comunque di immergerci nella folla, di guardare le cose per come sono. Un puro esercizio di curiosità intellettuale. Ed allora, sempre vicini, io e lei ci incamminiamo percorrendo rapidamente i vari blocchi del corteo dove i ragazzi si associano per Facoltà.
Quando un corteo avanza è molto lento poiché ci si attende che man mano si ricompatti lungo la strada. Ma fin troppo lento per me. Arrivati nei pressi di Corso Vittorio Emaunele II, appena dopo Largo Torre Argentina, avviene il primo contatto con le barricate statali. A Palazzo Madama, a dispetto del nome, non vi sono Signori e Signore. Il voto di fiducia, in quanto stupro del politichese ai danni di tutti, sta prendendo forma.
La loro difesa onorevole è presto fatta. Noi fuori con petardi, qualche pericolosa sedia, bottiglie da 33 cl, bombe carta e gli altri in tenuta anti-sommossa. Io non ho lanciiato nulla, i miei genitori mi hanno insegnato a rispettare le cose, l’ambiente e le persone. Sebbene talune non siano degne di rispetto. E poi sono lì ad osservare il volto del Potere. Mi fermo saldo sugli atri inferiori, ma non mi dissocio da quel che sta prendendo forma.
Non ho lanciato nulla perché i caschi blu, quelli verdi e quelli dei CC inducono compassione. Non ho mai condiviso la critica dominante degli slogan che li descrive come “servi”, perché è un mdo semplicistico di negare loro autonomia di pensiero. Un Servo è colui che obbedisce al Signore, è colui che non discute e nemmeno si pone il problema di agire altrimenti. Loro invece sono d’accordo con i committenti della mattanza. Muniti del loro amico manganello, la pratica di randellare uno studente o un manifestante di Terzigno risulta anche piacevole. Potrei tranquillamente dimostrarlo per induzione. Per 1200 euro al mese si può fare ben altro, proprio perché i lavori non sono tutti uguali. Ma la vigliaccheria impera, lo sappiamo.
La violenza è chi ti assume per tre anni con contratto di formazione lavoro per 1100 euro al mese e, finito il tempo, ti dice che non servi più. La violenza è l’azienda regionale per il diritto allo studio che mi deve da marzo circa 2000 euro, che non mi ha erogato per errore proprio e successivamente per mancanza fondi. La violenza sono i contratti in fabbrica. Avevo 19 anni quando il magnanime datore di lavoro lo rinnovava settimana per settimana, tenendomi sotto scacco totale. La violenza è sfruttamento delle mie passioni. La violenza è che se non conosci qualcuno non lavori, non esisti. La violenza è una pseudo-riforma della mia università che viene scritta sulla base di nessuna copertura finanziaria, con discutibilissimo impianto normativo mai realmente messo sotto esame. La violenza è infangare i ricercatori, patrimonio inestimabile, da parte di una classe dirigente volgare e para-fascista. La violenza sono gli oggettivi tagli alla cultura, all’istruzione e alla Vita. La violenza è la sceneggiata ad AnnoZero del Ministro Spiritato, dal passato così candido e puro, contro uno studente che cercava placidamente di parlare con buoni argomenti. Potrei continuare.
Ed è inutile che gli eroi di carta dicano la loro per obblighi di agenzia. Purtroppo quando ti hanno rubato il mondo è difficile fare letteratura. Questo intellettuale sulla scena degli elenchi scritti insieme a un curato di campagna della terza rete è la realizzazione di una ineffettuale Parusia. La magnifica sapienza della topologia cammorristica che ho visto in Gomorra è solo un ricordo.
Con il sapore corrosivo dei lacrimogeni che agisce nelle mucose ci allontaniamo. Una gentile ragazza mi passa del succo di limone così per riprendermi un po’. Ci stanno rubando il respiro, mi dico in interiore homine. Ora però tocca alla camera dei Deputati: gli onorevoli della Repubblica Italiana. Coloro che passano ad altra sponda perché si sentono responsabili di avere sulle spalle il destino di tutta la nazione. Poverini, spero che abbiano delle spalle forti, perché di primo acchito le spalle del bassotto dedito all’agopuntura non sembrano così imponenti. O anche di chi dispensa esami facili e titoli di studio plastificati, in scuole che educano solo alla peggiore italianità. Ma alla fine il voto arriva e per una manciata di assensi in saldo. Ma come, già tempo di saldi?
Già sono sconfitto. Prima non pensavo che quello che stiamo operando avrebbe potuto cambiar le cose. Il moto di Piazza non è mai sufficiente. Viviamo di tempi tristi, chiedo solo un piccolo bagliore che possa riscaldarmi. Tutto il resto è inutile mi dico, e una volta arrivati a Piazza del Popolo avviene la sterzata finale. Percorriamo una parallela di Via del Corso per guardare al cuore del sommovimento e per anticipare la testa del Book Bloc. E non Black Bloc, cari giornalisti.
I negozi iniziano a chiudere i battenti, i passanti rimangono indifferenti. Le cariche stanno per iniziare, un avviso è la marcia intimidatoria del ritmato, per nulla sincopato, sbatter degli anfibi sull’asfalto. In via del Corso avviene l’avanzata dei mastini in divisa, molti di noi corrono in direzione opposta rispetto a loro essendo fin troppo impauriti. Volano i lacrimogeni mentre esplode l’indignazione sociale. La corsa all’indietro non bisognerebbe farla, c’è il rischio di coinvolgere qualcuno che nulla a che fare con la tua fuga.
Ma ecco un tenero vecchietto disabile su di una piccola motoretta quale appendice artificiale essenziale al movimento. Lui non sembra capir molto di ciò che sta accadendo. Ha uno sguardo perso. La mia compagna evita che sia travolto mediante un piccolo ma efficace colpo di reni. Con la sua motoretta è esattamente al centro di Via del Corso mentre una folla in arrivo lo minaccia senza volontà. Ma qui quel piccolo bagliore accade violento quanto inaspettato. Un gruppo di manifestanti, direi black bloc con la solita trovata mediatica, lo alzano e lo ripongono nel vicolo accanto, nella speranza che tutto finisca. Ebbene, questi sono i violenti: ecco coloro che spaccano le vetrate delle banche. Ma il capitalismo finanziario che cosa ha operato, se non la crisi che ci invade? Attendo conferme rispetto al gradi di civiltà di questi soggetti sociali appena menzionati. Sciarpa sul viso, caschi, pantaloni neri inseriti in una paio di anfibi ugualmente neri: gli anarchici! Sono loro che hanno aiutato il vecchietto disabile. Ebbene, io sono dalla loro parte, dalla parte degli autonomi e dalla parte di chi si indigna.
Lei mi chiede se sia il caso di lasciarlo lì, annuisco e le dico di proseguire. Di fuggire. Le assicuro che se le forze dell’ordine sono tali lo lasciano stare lì buono. Ma non ci credo a quel che le dico. L’ho lasciato da solo nel vicolo, potevo stargli vicino e rischiare di esser calpestato dallo Stato che ringhia. Sarebbe successo così, ma l’egoismo della mia pellaccia ha vinto. Del resto, di lì a poco i mastini sarebbero sbucati da tutti i pori della zona, mi avrebbero spaccato la testa. Già lo hanno fatto in passato senza che io avessi fatto nulla. Ma in quel momento, ora lo grido con voce afona, dovevo rimanere accanto alla motoretta.
Agguanto la mia compagna per risalire al più presto Via del Corso, mi sento male, sotto pressione e con il viso corroso. Non mi volto, il cuore esce fuori dal petto. Raggiungiamo lo spazio aperto di Piazza del Popolo. Ora respiro, ma è solo una finzione. Mi rivolgo a lei per sincerarmi delle sue condizioni e vedo il suo viso contorto e stravolto. Piange amaramente. Non per paura, non perché gli effetti dei lacrimogeni sono vivi su di noi, non per sfogarsi. Non perché ci hanno bastonato malamente.
Piange perché abbiamo lasciato nel vicolo lo spaurito vecchietto. Questa è la lezione che dal 14 dicembre ho ricevuto, questo è l’amore ai tempi del manganello.