di Federico Mastrogiovanni
Capitolo Due. La vera via
Ricercatori e detective, preferite alla quiete delle abitudini tranquille il bisogno di percorrere sentieri inesplorati, e rivelare ciò che si nasconde dietro il sorriso dell’ufficialità. Ma l’amore vorrebbe scavalcare quel “quid” irritante e trovare pace. DETECTIVE.
Ho conosciuto Ginevra Mischianti a una festa a San Paolo. Mi ha anche riaccompagnato a casa. Io nel tragitto: muto. Ho il suo numero. Aspetto. Non è il caso di bruciare le tappe. Non è il caso di mettere troppa carne al fuoco.
Continuo a vedere Veronica. Anche Veronica fa l’attrice. Fa molte cose in realtà, una delle quali è l’attrice. È decisamente bella. La nostra prima conversazione riguarda la masturbazione femminile. Lo spirito goliardico di Veronica lascia storditi.
È in grado di dire bestialità che non stupirebbero se uscissero dalla bocca di uno scaricatore di porto (ma poi chi ha mai sentito parlare uno scaricatore di porto? Sono davvero così volgari?), mantenendo però una grazia e un fascino magici. Chi la ascolta si accorge di sentire porcate e bestemmie, ma il suo sorriso è così luminoso e la sua femminilità è così dirompente che sembra tutto appropriato.
Ci frequentiamo da alcuni mesi. In segreto. Non capisco veramente come mai questo rapporto sia nato così. Abbiamo fatto sesso una sera a casa mia.
In quel periodo ero fidanzato con Lauréda, una ragazza francese che amavo moltissimo e che stava lavorando alacremente e con estrema professionalità per fare a pezzi la mia autostima e la mia vita. Senza saperlo. Di lì a poco avrebbe portato a termine il suo compito con discreto successo. Bisogna dire che certe persone quando ci si mettono raggiungono risultati davvero notevoli. Tutto questo senza che io abbia mai smesso di amarla nemmeno per un minuto.
Perché Lauréda era troppo. Era LA libertà. Era la rappresentazione dell’essere vagabondo per non poter essere nient’altro. L’animale selvaggio.
Guardare negli occhi la definizione che sul vocabolario c’è di “bellezza”, “libertà” e “femminilità” è una cosa che un cuore umano non può sopportare. La donna che ho amato di più in vita mia.
E dunque invito Veronica a vedere un film da me perché sono due settimane che ci sentiamo. Ci sentiamo perché lei sa ascoltare. Perché è buddista e ha la propensione ad aiutare il prossimo in difficoltà. Non me lo ha proprio detto lei, ma l’ho intuito.
Siccome è un’amica di mia sorella, e mia sorella conosce la mia fidanzata, e siccome Veronica è una donna di quelle che dici, ammazza questa chissà chi devi essere per andarci a letto, la nostra “amicizia speciale” rimane nascosta, anche perché non sarebbe molto credibile.
Il film è “Sei gradi di separazione” e Veronica ci tiene proprio tanto a farmelo vedere.
Siamo nel mio divano letto ed è la prima volta che tradisco la mia ragazza.
È la prima volta che tradisco una ragazza in assoluto. Mi giustifico col fatto che mi sta facendo troppo male e ho bisogno di affetto da una donna. So che non vuol dire niente, ma forse è chiedere troppo dover ammettere che sono un fedifrago. Che poi non è che fossi sposato. E comunque poi l’amore impossibile della mia vita mi avrebbe disintegrato per cui ci sta che uno faccia qualcosa, no? E poi non capisco perché mi devo giustificare.
Io e Veronica sul divano letto ci baciamo.
Io e Veronica sul divano letto iniziamo una storia clandestina.
La settimana dopo mi invita a casa sua a bere un tè. Le donne, i buddisti, gli omosessuali e alcuni altri strani esseri ti invitano sempre più spesso a bere tè, invece del caffè.
La sua stanza è piena di incensi, fiori e c’è un grande altare in legno. Ai due lati due diplomi che attestano il passaggio al livello 3 e 4 delle tecniche IRECA. Una roba tipo cura con l’imposizione delle mani.
Cazzo pure il diploma ti danno? Io pensavo che fosse più una cosa come trasmissione orale, informale, con un maestro barbuto come quello di Kill Bill, che ti fa fare un’esperienza mistica e ti insegna a fare le magie. No con un diploma con tanto di timbri e simboli strani. Questo simbolo pare quello della Dharma Initiative, della mia serie preferita, Lost.
Veronica oltre a essere buddista cura la gente coi fiori di Bach. La cosa mi fa ridere ma mi mette anche un po’ a disagio. L’idea che dopo una diagnosi operata con un pendolino metallico vengano scelti degli estratti di fiori che vanno collocati in parti diverse del corpo o ingeriti per guarire malanni di ogni natura non riesce a non strapparmi sorrisi sardonici ogni volta. Va detto per completezza dell’informazione che per i miei mal di testa cronici gli unguenti alla lavanda di Veronica ottengono sempre un risultato incredibile. Il mal di testa mi passa come per magia. O forse è la suggestione. O il fatto che subito dopo facciamo sempre sesso. Non ho ancora chiaro come funzioni ma mi piace credere che l’olio alla lavanda abbia veramente effetti rigeneranti sul mio mal di testa.
Dopo esserci rotolati nel letto per qualche ora Veronica si alza e va a farsi la doccia. E come ogni volta aspetto di sentire lo scroscio dell’acqua e mi metto a curiosare fra i suoi libri.
Mi è sempre piaciuto ficcare il naso nelle letture delle persone. Si capisce molto guardando come la gente tiene i libri. L’ordine delle librerie, la selezione dei titoli, gli autori, l’esposizione.
Comunque qui c’è tanta filosofia, Wittgenstein su tutti, Platone, le commedie di Aristofane e poi i padri del buddismo di Soka Gakkai e libri new age.
“La Vera Via” di un autore con un nome strano, Gilberto Sagramolo, colpisce la mia attenzione.
Quello che in realtà mi colpisce sono due cose.
La prima è un simbolo geometrico uguale a quello della Dharma Initiative di Lost, proprio come sui diplomi appesi al muro. Mi viene in mente che l’ho già visto. Cioè a parte su questo libro e sui cazzo di diplomi. Non riesco a ricordarmi dove ma l’ho visto. Ne sono sicuro.
L’altro elemento è la copertina. È di forte impatto per la sua bruttezza oggettiva, però ha qualcosa che contemporaneamente attrae e inquieta.
C’è un grosso cerchio bianco che via via si fa giallo, con un bordo rosso. È un enorme sole al tramonto in mezzo a un cielo blu/viola. Al centro si stagliano nella palla infuocata tre piccole figure. Tre ombre. Una centrale che a giudicare dal cappello sembra un anziano.
Ai lati un “giovane” e un cane.
Percorrono una strada che si dirige verso il sole.
È inquietante perché trasmette subito quel misticismo di plastica che è tipico delle pubblicazioni di molti cialtroni che si spacciano per maestri di vita. Unitamente alla bruttezza del disegno (poiché di disegno trattasi. Credo pastello o qualcosa del genere) mi dà una sensazione molto sgradevole che non riesco a togliermi di dosso, come quella che lascia l’hamburger di McDonalds dopo che l’hai mangiato.
Nemmeno quando Veronica torna dal bagno completamente nuda e comincia a strusciarsi su di me riesco a togliermi il fastidio di dosso.
«Che hai? Sei strano.»
«Niente, perché?»
«Guarda che puoi anche evitare di dirmi ‘niente’. Preferisco che mi dica non ho voglia di dirtelo. Si sente nell’aria che hai qualcosa che non va.»
«Ah, già e poi tu sei pure una sensitiva o roba del genere, no?»
«Idiota!» e scoppia a ridere.
Rido anche io e mi sciolgo un po’.
«Senti Veronica, posso farti una domanda? Che ci trovi in libri come questo qua?» dico indicando il tomo con la copertina più bella della storia.
«Bah, veramente ancora non l’ho letto.»
«Mmm. Ha qualcosa a che vedere coi tuoi diplomi di guaritrice, maga e strega? Quelli là appesi al muro vicino alla tomba di Buddha.»
«Non è una tomba, ma un altare, e non sono diplomi di strega, cretino» è bello perché le dico delle cose offensive e gratuite e lei mi sorride sempre quando risponde. Non si incazza mai. Sarà questa la serenità buddica? Si dice buddica?
«Il libro me lo hanno dato quando ho fatto i corsi IRECA.» finisce di spiegare.
«Quelli dove ti insegnano a guarire con la sola imposizione delle mani?»
«Non è proprio con la sola imposizione delle mani. Si utilizza e si veicola l’energia del cosmo.»
«Ah ecco, certo… Come dici tu… comunque a me questo libro mi inquieta. Hai visto che brutta la copertina?»
«Beh, è uno stile…»
«Sì. Uno stile demmerda!»
«Sei un signore.»
«Ha parlato bocca di rosa…»
Ormai troppo sciolto non controllo le mie mani e me le ritrovo inspiegabilmente incastonate tra le cosce di Veronica.
È che nel suo letto mi sento comodo. In una cuccia. Ricominciamo a fare l’amore come due bestioline.
Mi sveglio di soprassalto dopo avere sognato di essere inseguito dal fumo nero di Lost, che voleva punirmi per avere pomiciato con Kate. Ci ho solo pomiciato, Cristo!!
Ho sete. Mi alzo e vado a bere in cucina. Ripasso davanti alla tomba di Buddha.
Alzo gli occhi e l’informazione mi colpisce come una lama in mezzo alla fronte. È così che arrivano i ricordi. Una botta secca in mezzo alla testa quando meno te lo aspetti.
Stai là a farti venire la gastrite per ore per cercare di ricordarti come si chiamava l’attore che ha fatto il “mastro di chiavi” in Ghostbusters (informazione di per sé inutile, ma che acquista l’importanza del terzo segreto di Fatima se uno non se la ricorda a una cena) e poi mentre stai tagliando le cipolle il giorno dopo ti viene in mente che quell’idiota altri non è se non… oddio non mi ricordo.
Comunque passo davanti alla tomba di Buddha e mi ricordo di quel simbolo. L’ho visto per mesi senza accorgermene a casa di Paolo, un capo/collega di lavoro nell’associazione che si occupa di rifiuti.
Era sull’agenda di Paolo, su alcune magliette, su un calendario con le foto di un vecchio (al posto delle foto di una velina).
E sempre quel simbolo simil/Dharma Initiative.
Cosa c’entra con Veronica? Quello di Paolo è una specie di setta esoterica, se non ricordo male.
Ogni giorno il mio amico si spara venti minuti di esercizi supersegreti di respirazione. Più volte sono stato cacciato fuori dalla stanza perché lui doveva fare i suoi esercizi segreti.
Nel corso degli anni per curiosità sono riuscito a scoprire che Paolo fa parte di un’associazione, cioè di una setta, che si chiama Percorso per un’Esistenza Migliore, dove c’è un maestro che trasmette l’energia del cosmo…. L’energia del cosmo!
Le cazzate da guaritrice di Veronica.
Mi sento girare la testa.
Non ho mai avuto un’avversione particolare per le religioni new age, però ultimamente mi sento circondato.
Guadagno la cucina barcollando, mi attacco al rubinetto e mi riempio di acqua fresca. Torno a letto un po’ disturbato da quello che ho appena scoperto. Mi ritorna su la sensazione McDonalds.
Cerco con la faccia il collo di Veronica. Lei si gira, mi accarezza sorridendo.
Devo aspettare un’ora prima di riaddormentarmi, per venire raggiunto da Kate, con cui ricomincio a pomiciare, all’insaputa di tutti i passeggeri del volo Oceanic 815.
Durante la riunione a casa di Paolo non riesco a seguire la conversazione. Un po’ perché sono le otto di mattina e per arrivare qui sono in piedi da due ore. A parte questo non riesco più a togliermi dalla testa il tarlo che mi rode dentro. Cosa fanno in quest’organizzazione? Perché uno come Paolo, intelligente, un politico navigato, realista, radicale, si tiene in casa foto del maestro? Vedo i simboli dell’organizzazione in ogni parte della casa, anche dove non ci sono.
Sento che c’è qualcosa che non va nell’ingranaggio. Non gira più come dovrebbe. C’è un pezzo che sta dove non dovrebbe e tutto sembra storto.
«…Quindi dobbiamo capire come vuole muoversi il Comune sulla questione rom. E fare pressione. E di questo ti devi occupare tu. A che punto siamo? Samuele? Mi ascolti?»
«Come?»
«Dai, ripigliati che qua siamo nei casini. Dobbiamo darci una svegliata, se no qua ci si mangiano».
«Scusa Paolo, mi sa che ho bisogno di un caffè. Stanotte ho fatto le ore piccole».
E in parte è vero. Ho passato la notte da Veronica e non ho dormito molto. Ma piuttosto è tutta questa serie di coincidenze riguardanti la setta che non mi fanno concentrare.
Mi alzo e vado in cucina. Mi verso una tazza di caffè tiepido avanzato e ci metto due bei cucchiaini di zucchero. Già è tanto amara la vita….
Passando per il corridoio sbircio dentro la stanza di Paolo.
Il solito casino.
Per terra montagne di vestiti, cd, il materasso su cui dorme. Sul piccolo comodino una sveglia, la foto del Maestro in una cornice di silver plate, e il libro di Gilberto Sagramolo in tutta la sua bruttezza.
In realtà Paolo mi ha parlato, a volte, della sua organizzazione, anche se, essendo esoterica, teoricamente dovrebbe essere super segreta.
Ha provato a convincermi che avrei dovuto andare a qualcuna delle loro riunioni. Così, per vedere com’era.
Sono anni che lo conosco e so che è una persona seria. Non è uno sprovveduto e mi ha dimostrato di avere grandi doti in molti campi. E allora perché mai dovrei preoccuparmi di una cosa così?
Se sta bene lui, chi sono io per dirgli cosa deve fare? Del resto ognuno deve essere libero di trovare il proprio equilibrio dove e come crede.
Se vuole credere allo yeti per sentirsi meglio perché rompergli i coglioni?
Non mi sono convinto al 100% di queste mie argomentazioni ma mi sento sollevato. Torno in salone per cercare di lavorare.
«Senti Samuele, guarda che faccia che c’hai. Così combinato non servi a niente. Fai ‘na cosa. Vattene a casa e ci vediamo direttamente domani a casa di Sevla.»
Domani siamo invitati a pranzo da una famiglia rom di San Paolo per festeggiare Djurdjevdan, la festività più importante dei rom.
«Ricordati la macchina fotografica e cerca di ripigliarti.»
***
Il 6 maggio (nel calendario Gregoriano) si festeggia San Giorgio, uno dei santi più importanti della tradizione religiosa cristiano ortodossa.
La festa, probabilmente con radici pre-cristiane, è originaria della Serbia, ma si è diffusa in tutti i territori della ex Iugoslavia. Djurdjevdan, questo il nome slavo della festa, è anche la ricorrenza più importante nel calendario rom.
È l’arrivo della primavera, festeggiato dai rom di tutto il mondo a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. Musulmani, cattolici e ortodossi il 6 maggio di ogni anno uccidono una pecora, addobbano di fiori le case, i muri, i giardini e festeggiano il santo che ha sconfitto il drago.
Io e Paolo siamo invitati a una festa a San Paolo. A casa di Sevla e Vesjil, una coppia di rom con cui lavoriamo.
Le feste rom con le danze, i vestiti sgargianti e la musica balcanica è una cosa a cui ci hanno abituato i film di Kusturica e direi che non si vedono nei campi nomadi delle periferie romane.
Piuttosto sono feste del sottoproletariato urbano.
I figli di Sevla sono vestiti da rapper. La musica a palla sparata dalle casse si una Opel Corsa bianca con sportelli e portabagagli aperti, è reggaeton, hip hop e musica balcanica, senza sosta.
Siamo nella cultura del ghetto. E a Roma i ragazzi rom hanno interiorizzato questa cultura, che è quella che li rappresenta meglio.
L’evento centrale della giornata è la macellazione della pecora.
Vesijl, sgozza la pecora. Lo zampillo di sangue è potente. Sevla, la moglie di Vesjil, si avvicina al marito. Lui ficca l’indice nella gola della pecora e col dito insanguinato disegna un segno sulla fronte della donna. È un gesto antico, simbolico, purificatore.
Nella mia testa risento le nenie dell’infanzia in chiesa “Agnello di dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”.
Però qui sembra quasi un terzo occhio hindu. I rom in fondo hanno radici indoeuropee. Sevla, con la goccia di sangue sulla fronte, torna a preparare da mangiare.
«Per noi rom il sangue è sacro così come le donne e l’oro, e ammazzare la pecora, non solo a Djurdjevdan, ma in tutte le feste importanti, è un evento emozionante. Lo sentiamo molto.»
L’animale ci mette un paio di minuti a morire. In silenzio. Vesjil appende la pecora a un gancio, la scuoia, la scanna. Tutti i ragazzi partecipano al rito. Romano, il più piccolo dei figli di Sevla, si fa fare delle foto mentre gioca con le interiora dell’ovino appeso a un gancio sul soffitto della tettoia.
Quando la pecora è pronta viene impalata per essere cotta alla brace. Intanto Sevla offre la pita a noi “gagi” per smorzare la fame, in attesa del piatto forte.
La giornata è assolata, la musica balcanica che esce dalla macchina lascia il posto a Snoop Dog, su cui i ragazzi si esibiscono in coreografie provate e riprovate.
La tradizione rom, pluricentenaria, mischiata alle nuove tradizioni dei ghetti.
L’immagine: sullo sfondo una pecora alla brace per onorare San Giorgio. In primo piano teenager vestiti di bianco, occhiali a specchio, bandane e cappelletti da baseball di traverso che ballano Eminem. Cazzo. Sono bravi.
Finito il pranzo vengo fatto schiavo. Devo per forza fare un servizio fotografico. Se no non me ne posso andare. I figli di Sevla e gli amici sopraggiunti si “sparano le pose” da rapper lungo il muro.
Vogliono sembrare dei duri, affascinanti e irresistibili. Orecchini di brillanti. Capezze al collo. Facce da zingari.
«Poi ce devi fa er cd, che lo famo vedè alle pischelle!» mi grida Mirco.
«Non sembri abbastanza cattivo. Concentrati, dai. Così sembri napoletano!» rispondo.
«Oh, piano con le parole. Io sarò zingaro, ma napoletano je lo dici a tu fratello!»
Per un po’ mi dimentico le mie perplessità su Paolo, poi lo vedo allontanarsi per fare i suoi esercizi respiratori. Provo a seguirlo. Proprio mentre faccio il primo pass mi chiama Ginevra, l’attrice della festa in terrazza. Quella che ho sempre amato da telespettatore.
Dice che vuole uscire con me. Con ME!
Mi sento le ginocchia molle molle. Non capisco più un cazzo. Farfuglio un appuntamento per il giorno dopo.
Il giorno in cui comincia la nostra storia insieme.
Le conseguenze delle proprie azioni. I.
La gola mi brucia. Non brucia, è in fiamme.
Ho una pezzetta per i piatti asciutta al posto della lingua.
Non è tanto per le mani legate dietro la schiena.
Non è tanto per il fatto di essere legato mani e piedi a una sedia.
Non è tanto per il sangue rappreso sulla faccia o per il mal di testa.
È che ho una sete fottuta. Se chiudo gli occhi vedo un ruscello. Se li apro la finestrella è sempre lì.
Solo che ora è più buio.
Da quanto tempo sto qui dentro? Saranno passate quindici ore? Venti? Da quanto se ne sono andati quei figli di una gran puttana? Quanto cazzo ho dormito? Un po’ ho dormito. Più che dormito ho fatto compagnia ai draghi che sognavo.
Ora quello che sento non è proprio paura.
Sono più spossato che spaventato.
Ventiquattro ore fa ero allegro.
Ventiquattro ore fa ci stavo provando con la commessa della libreria. Mi pareva che mi stesse andando bene.
Ma forse no. Altrimenti ora non sarei qui legato mani e piedi a bestemmiare da solo in un cazzo di stanzino. Dove sono andati tutti?
Ho sete.
Cazzo.
Ho sete.
E questa puzza di piscio mi fa vomitare. Mi ha sempre fatto schifo. E meno male che è piscio mio, altrimenti sarebbe ancora peggio.
Pisciarsi addosso in fondo non è male. Al mare mi piscio sempre addosso quando faccio il bagno.
Credo che mi piacerebbe pisciarmi addosso più spesso, ma purtroppo non è possibile a causa di alcune regole di convivenza civile.
Però poi mi dà fastidio la puzza di piscio.
Del resto non si può avere tutto.
Mi sembra di aver bevuto un bicchiere di sabbia.
Datemi da bere, Cristo!
Continua…