di Paola De Luca
Due mondi si sono telescopati oggi, a Roma. I media hanno immediatamente conferito il titolo di “guerriglia criminale” agli uomini e alle donne che attaccavano i blindati e davano fuoco alla dorata città dei regali di Natale.
Nel palazzo, si celebrava una cerimonia classica: c’erano un po’ di Cesari, c’erano un po’ di Bruti, c’erano scherani di una parte e dell’altra che si agitavano per qualche pugno di dollari.
Io, che pure sono ormai lontana dal credere che scatenarsi in piazza possa cambiare le cose, mi sono ritrovata a sorridere, a fare il tifo per i giovanotti e le giovanotte in passamontagna.
Non servirà a niente, ma ogni tanto è edificante vedere che l’ordine è messo sottosopra, ascoltare altro che il gingle mielosissimo che ci viene ammannito con fervore quotidiano. Le buone intenzioni di ogni oratore, i pii propositi avanzati ovunque, lo sdegno contro ogni brutalità.
Tra una petizione per la condannata alla lapidazione e l’accendersi di candeline contro le guerre, la realtà in immagini sembra costretta dentro a spot pubblicitari per viaggi esotici.
E sono arrivati questi barbari, che dio li benedica, a mettere fuoco alle polveri. A ricordare che siamo impastati di violenza perchè ci nasciamo e ci cresciamo dentro, che lo vogliamo o meno.
Che il mostro è mite solo se lo guardi da una scrivania, protetto da una buona barriera di privilegi.
Che mentre l’etnia dei predatori legali si dilania per ripartirsi diversamente il bottino, un’altra gente s’incazza e va in guerra di resistenza.
Magari per poche ore, magari pagando conseguenze che saranno certo amare, ma l’attacco, d’inverno, al palazzo è stata una scena grandiosa.
Guerriglia criminale… chissa se il vispo giornalista ci farà anche l’esempio di una guerriglia perfettamente lecita, magari ne ha viste.
Non facciamo scempio di questo gesto bello compiuto proprio mentre se ne svolgeva un altro immondo, con schiamazzanti carognette in giacca e cravatta che si rubavano il portamonete a vicenda.
Non ci mettiamo a recriminare o a trovare ragioni sociologiche da una parte e dall’altra.
Per una volta, ammiriamo l’estetica.