di Renzo Fortissimo
Luigi Bisignani, Nostra signora del KGB, Rusconi, 1992, pp.266, £ 28.000 iva inclusa
Non è questa la sede per investigare la carriera politica del dott. Luigi Bisignani, peraltro già ampiamente scrutinata da altri, semmai ci sfruculia la sua passata esperienza di romanziere. Vogliamo infatti fornire un servizio scevro di preconcetti al lettore curioso che dovesse recuperare Nostra signora del KGB in una libreria di remainders o su qualche bancarella dell’usato. Trattasi del secondo libro dell’autore, già salutato dalla critica più lungimirante (sul Corriere della Sera) come il Ken Follett italiano per quel Il Sigillo della Porpora (Rusconi, 1988) che ammetto con rammarico di non aver letto. Ma venendo all’oggetto in oggetto, duole dire che il romanzo è francamente deludente e i risultati non sono all’altezza delle aspirazioni. L’autore ha, evidentemente, una predilezione per gli intrighi, le società segrete, le trame oscure e i rapporti inconfessabili tra governi, sottogoverno e potentati economici e religiosi, e ci perdonerà se, per dirla con il Poeta, definiremo Nostra signora del KGB, una cagata pazzesca.
Trattasi di thriller potente come un Roipnol delle dimensioni di una boccia da bowling. Protagonista è l’improbabile Jan Korek, giornalista dissidente nella Polonia di Jaruzelski, che narra in prima persona piagnucolando le sue vicissitudini. Per sua stessa ammissione è un tappetto lardoso e tendente alla calvizie. Orbene, questo bel pezzo di gnocco deve affrontare gli efferati occupanti sovietici, la tremenda Bezpieka e la Milicja, con in mezzo Papa, Chiesa, Solidarnosc e pure l’ambasciata italiana. Tutti congiurano, non ci si fida di nessuno, ma il frescone Korek, pagina dopo pagina, casca praticamente in ogni tranello e rimedia fraccate di sberle. In più non si chiede mai, nonostante l’infelice forma fisica, perché tutte le donne cadano ai suoi piedi. Già deluso dalla devotissima Malgorzata che mai gli si era concessa (e poi sapremo essere allegra come Cicciolina in Banane al cioccolato), il nostro eroe diventa succube sessualmente di tale Zosia, personaggio che all’apparire viene descritta come una suorina e che — pensa la sorpresa — è in realtà uno zoccolone da sbarco ed evidentemente (ma non per Korek) una spia prezzolata. Zosia si succhia il protagonista come un’ostrica e lui puntualmente racconta ogni particolare delle future azioni dei dissidenti. Retata, pestaggio e protagonista cogitabondo che si chiede chi sia la stramaledetta talpa.
Intanto fa freddo, è grigio, è tutto uno schifo, secondo le descrizioni dell’autore, e Jan, grazie ai pacchi elargiti dal primate (non nel senso di scimmia), mangia sempre come un tacchino, sbevazza e non fa una beneamata minchia, salvo farsi infinocchiare da chiunque lo incroci, come l’ambiguo Staritis, agente segreto e faccendiere.
Passano gli anni e, sicuramente non per merito del giornalista, la Polonia conosce la fine del comunismo: i vecchi dissidenti accedono alle stanze del potere e anche Jan ha la sua porzione di gloria, come reporter mai domo. Però c’è chi ancora congiura: una società segreta nata all’interno dell’ex Patto di Varsavia, formata da delinquenti cattivissimi che vivono nell’ombra grazie alle fortune accumulate negli anni delle dittature e sognano di rovesciare la democrazia per tornare ai vecchi regimi. La società è così segreta che ne sappiamo anche il nome, Beton, e se quel ciula del protagonista avesse un po’ di memoria ricorderebbe che Staritis ne aveva già parlato alcune pagine prima. Ma il rimbambito ovviamente non collega le cose: rimarrà incastrato in un gioco più grosso di lui, verrà salvato senza alzare un dito e — ovviamente — troverà l’amore di una contessina francese, come nelle fiabe.
Ken Follett!?
Ma Ken Follett ‘sto cazzo!
L’ambientazione è tristissima e l’affresco giornalistico è un bignamino sul dissenso con vaghi richiami alla vicenda di padre Popieluszko, ma senza alcun appeal: mancano la minuziosa capacità analitica di un Forsyth o di un Cruz Smith. Dialoghi ingenui ed enfatici, nessuna epica, ritmo catatonico, solo lamentosa propaganda anticomunista appesantita da una scrittura cheap che non ci risparmia alcuni effetti stranianti, come la conversione in lire italiane di un prezzo (!) o l’uso di termini come “attimino” o “ginnasticato”, manco fossimo a raccontarcela al bar.
Per il lettore facilone c’è anche un po’ di sesso, ma patetico: “Prendimi Jan” mi aveva urlato, ghermendomi dentro di sé. “Fammi sentire il tuo fuoco”, mi aveva implorato. Ecco: se Follett scade volentieri nel becero e De Villiers fa anche peggio, con brani che sembrano espunti da Le Ore, qui invece si insegue un’aulicità alla Harmony, per cui si dice e non si dice e il coinvolgimento eccitativo è paragonabile a un cactus in culo: Ci amammo percependo entrambi la voglia reciproca di darci. Sì, di darci una manica di ceffoni.
L’intrigo, inoltre, è al rallentatore: non accade quasi niente e i momenti che si vorrebbero d’azione sono qualche scazzottata degna di uno Spencer/Hill d’annata. 266 pagine di cagamento di cazzo, per dirla come va detta, che sembrano 800: se questo è un thriller, Il tromba è grande letteratura erotica.
Ora, non vorrei che questa recensione sembrasse priva della nota acribia che contraddistingue Carmilla, per cui — perché quel che giusto è giusto — vorrei anche evidenziare i pregi del romanzo. Se volete farvi due grasse risate Nostra signora del KGB non vi deluderà di certo, regalandovi un protagonista principale di statura incommensurabile nel genere spionistico. È infatti uno sfigato cosmico, un fifone vigliacco che si caga addosso tutto il tempo, al cui confronto l’ispettore Clouseau pare Leonardo da Vinci. Inoltre Jan Korek — che si lamenta continuamente della mancanza d’ironia dei suoi avversari comunisti — ci regala battute esilaranti come questa: Avvertii la centralinista che non mi passassero alcuna chiamata, “A meno che non sia Walesa, Mazowiecki o il Papa”.
Ma il meglio, Korek lo dà parlando di donne: il fesso infatti è pure maschilista e, grande amatore grandiosamente preso per il culo, riesce a esprimere concetti altissimi come: È per questa sensazione [di sicurezza] che le donne, da che mondo e mondo, femminismo o non femminismo, si lasciano coinvolgere e manipolare, si prestano e cedono. Ma non solo: Stavo semplicemente assaporando l’eterna debolezza femminile in cui l’offerta di se stessa e del proprio corpo è spesso l’inconscia ricerca di sicurezza e di protezione. Insomma: le donne sono delle deboli di mente che cercano l’uomo forte col cazzo grosso. E lo trovano in questo sgorbio qui.
Vabbeh.
Nostra signora del KGB è, nelle sublimi parole del protagonista, Una storia incredibile… In tutti i suoi particolari…, anche i più insignificanti. Chi avrebbe mai potuto pensare, per esempio, che un “nemico del popolo” come me, un giorno sarebbe stato salvato dal KGB… Sì, è tutta da scrivere!
Ahimè, il dott. Luigi Bisignani l’ha fatto e chiude la sua opera seconda con una profetica constatazione: Il comunismo, questo sistema aberrante di condizionamento della personalità era morto e sepolto, anche se la sua faccia più bieca e vessatoria era destinata ad affollare ancora, con i suoi incubi, i sogni di milioni di esseri umani.
In libri come questo.