di Marilù Oliva
“Questa città che sanguina” di Alex Preston
(Elliot, 2010), pp. 384, 18,50 euro
“Questa città che sanguina” è uno di quegli esordi fulminanti che spiazzano le aspettative editoriali: vero e proprio caso letterario in Inghilterra, è stato tradotto in diversi paesi (in Italia è alla seconda edizione) e ha vinto numerosi premi letterari. L’autore, oggi poco più che trentenne, ha lavorato nel settore della finanza a Londra, dopo essersi laureato ad Oxford e aver ottenuto la CFA designation in economia.
Parto subito da un dato: questo è un romanzo notevole. Diversi elementi concorrono a sostenere la mia affermazione. Innanzitutto la storia. Interessante, attuale, corrosiva, dedicata a un’umanità in cui si rifrange una gioventù che sfiorisce sotto la spinta del cinismo economico, della corsa all’oro, trita dai meccanismi dell’alta finanza. Charles, il protagonista, ne è l’incarnazione: terminata l’Università di Edimburgo con grandi speranze approda a Londra per concretizzare i suoi sogni e viene inghiottito dal mondo della City. L’amore (Vero), l’amicizia (Henry) e gli altri valori sfumano alle sue spalle, nonostante Charles ne mantenga vivo il miraggio. E se la sopravvivenza negli ambienti finanziari è consentita solo sporcandosi le mani, il ragazzo potrà sostenere la sua discesa fino al sopraggiungere della crisi economica.
Un’anabasi destabilizzante, toccante, terribilmente vera. Portata avanti con una scrittura solida e scorrevole, in grado di cogliere l’attimo, il dettaglio, la poesia struggente di una Londra sanguinante: «Attraversammo le strade scintillanti fino all’Embankment e poi a Vauxhall Bridge, sopra il fiume arruffato dalla pioggia e poi lungo una stradina a senso unico fino a una lunga, buia fila di archi della ferrovia.[…] La pioggia cadeva come raggi di bicicletta nelle pozze di luce dei lampioni tremolanti. Sembrava non esserci nulla al mondo se non la grigia violenza che piombava ruggente attorno a noi».
“La fortuna di perdere” di Piero Elia
Edizioni e/o, 2010, pp. 251, 17 euro
Un altro romanzo d’esordio che svela un autore interessante: il genovese Piero Elia, grande viaggiatore con poliedriche esperienze professionali alle spalle: è stato artigiano, coloritore e decoratore di barocchetto genovese, ha poi gestito un emporio di libri, giocattoli e articoli di cartoleria e dal 2001 è educatore di comunità per disabili fisici e psichici e abita nell’entroterra ligure. La visuale cosmopolita trapela da un libro che è un viaggio molteplice (o più viaggi convergenti) che si svolgono su diversi piani: temporali, spaziali, individuali e collettivi, intersecando più tematiche: amore e relazioni, amicizia, tradimenti, avventura, sesso, politica, denaro, violenza e intrighi. La storia parte nel 1985, quando il padre di Francesco chiede a Ric, l’amico del cuore di Francesco, di rintracciarlo: nessuno ha più notizie di lui da sette anni, ovvero da quando è fuggito dall’Italia perché inseguito da un mandato di cattura internazionale per l’omicidio di un deputato. Ma qualcuno l’ha avvistato a New Delhi, in India, e suo padre vuole accertarsi che stia bene. Oltre ad un’Italia che ha indotto alla fuga, ricordata attraverso il suo clima oscurantista («La lotta al terrorismo era il pretesto per zittire ogni forma di dissenso») i luoghi del libro spaziano: Delhi, Kerala, Ceylon e Parigi, anche se le righe che qui proponiamo sono dedicate a Delhi: «Al tramonto l’aria si fece meno pesante, un accenno di brezza accompagnava il gracchiare dei corvi che calavano sulle strade a far pulizia dei rifiuti. Gli venne voglia di uscire. S’incamminò lungo i portici ritmati da colonne neoclassiche intorno all’enorme Connaught Place. I negozi stavano chiudendo e la folla che durante il giorno si accalcava per fare acquisti stava lasciando il posto a un’armata di senzatetto che si preparavano alla notte».
“Il vento del Texas” di James Reasoner
Meridiano Zero, 2010 (ed. or. 1980), pp. 190, 13,50 euro
Scelta felicissima, questa ripubblicazione voluta da Meridiano Zero (con una traduzione di Marco Vicentini), a suggello italiano di una storia editoriale che ha visto i suoi natali nel 1980, quando l’americana Manor Books ne curò la prima uscita e il libro andò esaurito ma non fu più ristampato.
James Reasoner ci concede a spizzichi saporiti e intensi un Texas di polvere sabbia e case, un Texas fatale, ventoso, dove niente è come sembra, fatto di basi militari, di colline che increspano l’orizzonte, di quartieri facoltosi, di casette omologate, di strade trafficate come la West Freeway, ma anche di posti sereni come il Trinity Park. Un luogo ormai ricucito a misura d’uomo ma, ciononostante, all’uomo ancora ostile. Un territorio, infine, che l’autore conosce bene in quanto luogo natio e di elezione.
La vicenda comincia come il più classico dei detective-story: una signora attraente della borghesia texana incarica il detective Cody di ritrovare Amanda, detta Mandy, la figliastra scomparsa. Un lavoro difficile, ostico, all’inizio quasi impossibile, che Cody riesce ad affrontare attraverso gli sbalzi degli imprevisti e i pestaggi all’ultimo sangue. Ma non solo. Ne leggerete delle belle.
Questo autore debitore a Chandler, autore di 200 romanzi, dei quali alcuni pubblicati con diversi pseudonimi, è cresciuto tra gli anni ’50 e ’60 con le pistole giocattolo e la qual cosa, come lui stesso ha dichiarato, forse non ha maturato del tutto il processo di crescita del suo “fanciullino” artistico, ma ha senz’altro amplificato la sua capacità narratrice: «…wasn’t enough to just run around the neighborhood pretending to shoot at each other. No, I had to make up characters and stories to go with the action and insist that we follow the plotlines I worked out. I was an insufferable little kid».
“Troppo Piombo”, di Enrico Pandiani
Instard Edizioni, 2010, pp. 312, 14,50 euro
Si tratta del secondo romanzo della saga Les Italiens di Enrico Pandiani, (il terzo è previsto in uscita nel 2011). È una Parigi innevata e invernale, quella in cui si consuma la tragedia della redazione Paris24h e quella da cui parte questo police procedural/noir: viene trovato massacrato di botte il corpo della giornalista Thérèse García ed ecco che intervengono “Les Italiens” ovvero “quelle teste di cazzo degli Italiani”, così almeno i colleghi di polizia chiamano la composita e succosa squadra di poliziotti di origine italiana, in testa il commissario Jean Pierre Mordenti, duro ma non durissimo, sensibile alla cultura (legge Camus e Proust) ma soprattutto alla seduzione femminile quando questa si presenta nelle sue forme più particolari e fascinose (e magari anche eleganti).
Ama l’arte, la letteratura, il buon vino, è una persona disillusa, che affronta ciò che lo circonda in maniera disincantata ma filtrandola con ironia e humour. Queste sono le doti che ha in comune con les italiens. Mentre sui difetti dei poliziotti, scherza Pandiani, «è meglio sorvolare».
Parigi è qui una città scintillante di moda ma anche bruciata nelle banlieues in fiamme, sfumata attraverso gli appartamenti raffinati, i cieli di piombo e di nuovo la neve, che cade, marcisce e diventa fango. Una città calamitante il cui fascino è predatore e non è facilmente spiegabile, ma l’autore ci prova ugualmente: «Parigi è quel posto dove vorrei vivere e mio malgrado non lo riesco a fare. Per questo vi ambiento i miei romanzi. Mi piace l’enorme quantità di aspetti diversi che riesce a offrire e trovo sbalorditive le sue improvvise aperture. Mi piace la Senna, così grande e ventosa, le isole e i grandi viali. Parigi è un oggetto immenso, impossibile da vedere nella sua interezza e che ti si rivela a piccoli frammenti, che cambia a ogni momento a seconda della luce e dell’ombra. Per me è un grande nascondiglio».
“L’uomo di neve” di Jo Nesbo
Piemme, 2010, pp.531, 19,50 euro
Diffidare delle mode è opportuno, soprattutto quando le mode propinano best-seller ad appannaggio scandinavo. Trovo però limitante un atteggiamento di chiusura ad oltranza che faccia di ogni erba un fascio. Per chi, come me, ama i thriller, “L’uomo di neve” è un bel giallo norvegese con una trama avvincente, una scrittura corposa e fluida, elementi suggestivi (un pupazzo di neve, una scomparsa, i fantasmi del passato) e una neve che imbianca la città di Oslo, mentre il mistero la colora di giallo e il nuovo giorno la fa scintillare: «Il sole basso del mattino faceva brillare i vetri del quartier generale di Gronlandsleiret da ormai quasi trent’anni. Casualmente, proprio nelle vicinanze della periferia est, quella con il più alto tasso di criminalità, e accanto a Bayern, la prigione nella capitale. La centrale era circondata da spazi aperti, con prati d’erba bruciata dal freddo, punteggiati qua e là da aceri e betulle che durante la notte si erano coperti di un sottile strato di neve grigiastra».
Il commissario Harry Hole indaga sull’improvvisa scomparsa di Birte Becker e si rende conto che il caso ha fortissime somiglianze con altre sparizioni misteriose avvenute a Oslo negli ultimi vent’anni. La procedura è sempre la stessa: una donna, sposata con figli, scompare nel nulla, nella notte in cui sulla città cade la prima neve.
L’autore si distingue per un curriculum artisticamente notevole: oltre a scrittore è musicista rock e giornalista, ha vinto prestigiosi premi e i suoi thriller sono stati tradotti in tutto il mondo.
Ciò non è sempre indizio di qualità, ma lo è senza dubbio in questo caso.