di Alessandra Daniele
Mentre gli USA si rimangiano quel poco di cambiamento che avevano inscenato, il dibattito politico italiano è monopolizzato dall’escort che partecipava alle orge con Brunetta e Berlusconi vestita da Biancaneve.
Fini si agita, però, per paura di restare col cerino acceso in mano, continua a tenerselo nel culo, e così Papi traballa ma non cade.
Sul Berlusconismo circolano a sinistra due opinioni quasi opposte: c’è chi lo considera in disfacimento, e chi indistruttibile come la plastica. Naturalmente, hanno torto e ragione entrambi.
Silvio Berlusconi, categoria peggior premier andato a puttane, ha settantaquattro anni. Ha perso la prostata, e non per distrazione. I suoi referenti politico-economici, nazionali e internazionali, i suoi grandi elettori stanno già da diverso tempo cercando un sostituto meno impresentabile. Meno cazzaro. Più alto. Il famelico branco dei suoi ex alleati si prepara, in attesa di sbranarsi il Cavaliere, e anche il cavallo.
Il suo monopolio dei media italiani deriva dall’essere un pesce marcio in un piccolo stagno, anzi, in una pozzanghera. Il mercato globale però già esonda, e il Pesce Papi non sguazza tranquillo, sapendo che Murdoch potrebbe mangiarselo in un boccone, la Sony schiacciarlo come una pulce, la Disney starnutirlo come un microbo, e poi farci sopra un cartone animato: ”Alla ricerca di Papi”. Anche Nemo era un pesce pagliaccio.
Grazie a trent’anni di progressivo rincoglionimento mediatico di svariate intere generazioni di italiani, Berlusconi ha però ancora in mano tutte le chiavi dell’immaginario collettivo di questo paese.
Oltre a narcotrafficare il più tossico junk-food televisivo, la macchina mediatica berlusconiana ha fatto dell’appello agli istinti, e dell’evocazione strumentale di archetipi a scopo propagandistico e manipolatorio una vera e propria pratica industriale. Producendo così una salamoia di suggestioni qualunquistico-reazionarie che non quaglia mai in una vera e propria narrazione mitica articolata, ma al contrario funge da perenne solvente che inibisce la mitopoiesi spontanea, per mantenere l’immaginario collettivo disarticolato, ridotto ai suoi elementi primari, e facilmente malleabile. Per l’Italia una regressione psichica, prima ancora che culturale.
A parte i miti tecnicizzati di Alberto da Giussano – di matrice però leghista – e del Complotto dei Poteri Forti – di origine ottocentesca – la cultura berlusconiana non ha prodotto altro che una scomposta ribollitura littoria del cosidetto Edonismo Reaganiano, un reaganismo alla puttanesca. E’ stata però capace di impedire la solidificazione di qualsiasi efficace argine culturale al flusso qualunquistico-reazionario.
Il danno più grave di quest’egemonia solvente non è il decerebrato velinismo-tronismo che pare aver sostituito pressoché qualsiasi altra ambizione espressiva. E’ il modo in cui sia riuscita a squagliare e poi riplasmare su modelli qualunquistico-reazionari anche la maggioranza dei suoi stessi avversari, trasformando la parola ”comunista” in un sinonimo di Gendarme.
A fronte di un governo che ha fatto dell’impunità il suo unico obiettivo, il suo unico programma, e la sua unica ideologia, la cultura dell’opposizione è stata consegnata ai cronisti di giudiziaria, e ai corazzieri. Dalle fila dell’opposizione si dà del terrorista/squadrista a chi fischia a un comizio del proprio partito. Si considerano le uova marce armi di distruzione di massa, e tutti i graffiti vengono definiti ”gravi intimidazioni delle nuove BR”, anche se dicono ”viva la figa”. La Legalità Piangente è la madonnina di Civitavecchia dell’opposizione. E l’ha portata a invocare il rampollo di Almirante come liberatore.
Persino gran parte della sinistra ex-parlamentare pare aver dimenticato che il vero abominio della Papi-ropoli di Antigua sia che un solo individuo (ovviamente bianco) possieda metà di un’isola, e non che l’abbia comprata attraverso società off-shore.
Sinistra che comunque ha ormai perduto ogni egemonia persino sulla sua stessa tradizionale nicchia ecologica, l’area dell’opposizione intransigente e para-rivoluzionaria, oggi allagata dal flusso qualunquista grillino.
Se il Berlusconismo potrà continuare la sua opera dissolutoria, sopravviverà ben oltre le spoglie di chi gli ha dato il nome, e sarà ereditato e adoperato allo stesso modo anche da chiunque divorerà e rimpiazzerà a quelle spoglie.
Rinchiuso nel sarcofago dorato e merdolato della sua immagine pubblica, Berlusconi è quindi ancora sospeso fra la morte, e l’immortalità.
Starà all’osservatore, cioè noi, scardinare il coperchio, e guadarlo in faccia, facendo precipitare in atto una delle due potenzialità.
Che sia quella giusta.