di Osvaldo Bayer
[Una volta tanto mi ritrovo a proporre per la rubrica Argentinazo un articolo animato da uno spirito idealista, alla maniera della pubblicistica anarchica di un tempo. Pubblicato pochi giorni fa sul quotidiano argentino Pagina/12 e riadattato dal redattore di Carmilla, è una memoria dalla Fiera del libro di Francoforte firmata dallo scrittore Osvaldo Bayer] A.P.
Cammino per questa fiera del libro definita con orgoglio “la più grande al mondo”. Un merito, senza dubbio.
Libri, libri, libri. Dico a me stesso: ecco cosa trovo nel paese che forse è stato il più grande esportatore di armi del pianeta.
Un tempo il mauser e la croce di ferro erano i simboli della virilità nobile. E ora i libri, con personaggi e fantasie che spuntano dalle copertine e ci invitano ad aprirli.
Librai che parlano ad alta voce, bibliotecari che catalogano lettera dopo lettera. Scrittori che sorridono in paradiso, personaggi di fantasia che spuntano da ogni angolo in questo aeroporto delle illusioni.
Illusioni. D’un tratto mi danno dei colpi sulla spalla. È l’editore tedesco Dieter Schmidt. Senza proferire una sola parola, mi mette un libro in mano con un gesto quasi religioso. Guardo la copertina: il gaucho Facón Grande. Il patagonico.
Non ci posso credere. Facón Grande alla Fiera del libro di Francoforte. La storia ha fatto giustizia. Il gaucho fucilato dall’esercito argentino per aver chiesto un po’ di dignità per i lavoratori patagonici in quel tetro 1921 del presidente Hipólito Yrigoyen.
L’editore Dieter Schmidt mi consegna l’edizione tedesca della Patagonia rebelde. La accarezzo. Otto anni di esilio: ecco quanto mi è costato pubblicarla nel mio paese, l’Argentina. E adesso l’hanno pubblicata nel paese in cui ho trascorso il mio esilio. Il destino. I paradossi umani. Sono felice soprattutto per Wilckens. Kurt Gustav Wilckens, l’anarchico tedesco che rese giustizia a tanti contadini fucilati. Quella mattina di gennaio del 1923, quando era in attesa nella calle Fitz Roy, di fronte alla caserma del 1° corpo di Fanteria, nel quartiere portegno di Palermo. Quando l’orgoglioso Tenente Colonnello Varela uscì dalla propria abitazione con gli stivali lucidi. Faccia a faccia. E gli lanciò contro il messaggio del vendicatore. L’esplosione dell’ira del popolo. La bomba libertaria. L’esplosione svegliò Buenos Aires. Per Wilckens, gli anarchici dei quartieri operai quel giorno cantarono “Figli del popolo”. Il tedesco non andava di fretta. Al fucilatore in uniforme, lo centrò con sei pallottole. Quei proiettili con cui aveva fucilato centinaia di peones patagonici adesso tornavano indietro e saldavano il conto al fucilatore. Niente rimane impunito.
Wilckens fu assassinato in carcere da un mercenario. Ricordo quando ormai più di trent’anni fa arrivai fino alla città tedesca di Bad Bramstedt, il posto in cui era nato Wilckens e dove trovai la sua casa paterna. Mi accolse un suo nipote, che mi salutò come se mi avesse aspettato tutta la vita. Aveva sempre fatto ricerche sul destino di Kurt Gustav Wilckens e ora arrivava uno sconosciuto da un paese tanto lontano come l’Argentina per portargli notizie di suo zio. Gli dissi che Kurt Gustav era morto assassinato in un carcere e gli raccontai della sua missione di vendicatore di 1500 operai patagonici fucilati senza processo dall’esercito argentino. Ricordo la sua emozione. All’inizio pensava che fossi venuto a raccontargli fantasie argentine ma dopo, di fronte ai dati che continuavo a mettergli di fronte, si rese conto che quella era la verità. Aprì per me i cassetti di un vecchio scrittoio. C’erano le foto di famiglia dell’infanzia e dell’adolescenza del vendicatore, carte e lettere.
Nella Fiera del libro di Francoforte cammino tra lunghi corridoi tra migliaia di libri esposti. Prometto a me stesso di andare a portare una copia della Patagonia rebelde di questa edizione tedesca alla biblioteca della città natale di Wilckens. Chissà che in futuro qualche sindacato di questa città chiami la propria sede col nome di Kurt Gustav Wilckens, che offrì la sua vita per vendicare tanti lavoratori.
Penso anche a quei due scioperanti patagonici insorti, “il tedesco” Otto, di cui non ho mai scoperto il nome, e Pablo Schulz, lui stesso di origine tedesca. Il “tedesco” Otto — così lo chiamavano i suoi compagni — prima di morire urlò contro il capitano fucilatore Viñas Ibarra: “Non si ammazza così un uomo. Neanche nella Guerra in Europa ammazzavano i prigionieri disarmati”. E prima di morire disse a Walter Knoll, un altro tedesco: “Salutami la vecchia patria”.
Penso a loro, alle loro vite raccontate in lingua tedesca, in questa edizione. Forse qualcuno scoprirà le loro storie e troverà il coraggio di visitare la Patagonia e mettere un fiore nelle fosse comuni, ormai identificate.
Se ne andarono a morire lontano, ingiustamente. Per avere chiesto solo un poco più di dignità.
Ho anche avuto la soddisfazione che il film Awka Liwen (Alba ribelle), sul genocidio commesso da Roca contro i nostri popoli originari, fosse proiettato nel corso della Fiera del libro di Francoforte. Vedere nello schermo il volto dei figli della terra. Narrare la tragedia dei genocidi commessi nelle pampas dagli ufficiali argentini Rauch, Rosas e Roca. La deportazione di questi popoli dalle loro terre ancestrali e la loro ostinazione a vivere nonostante tutto, con la loro musica quasi silenziosa, con gli echi dei loro orizzonti lontani, col lavoro delle loro mani e la tristezza per un passato mai dimenticato. Prima gli spagnoli con la loro cupidigia. Poi gli argentini con le loro uniformi. Alla fine del film c’è stato un applauso serrato, seguito da un profondo silenzio. Emozione. E un senso di colpa europeo. Per i propri antenati colonialisti.
Il pubblico europeo ha preso coscienza. Le domande si succedono. “Com’è potuto succedere?” Sì, la cupidigia. La Sociedad Rural Argentina finanziò una parte della spedizione di Julio Asesino Roca, pardon, Julio Argentino. Furono poi assegnati 2500000 ettari di terra indigena al presidente di quei giorni della Sociedad Rural, Martínez de Hoz. Come? Sì, li scrivo in lettere: due milioni e cinquecentomila ettari. Martínez de Hoz, il bisnonno. Nome conosciuto, no? ( Martínez de Hoz, nipote dell’omonimo presidente della Rural, era il ministro dell’economia del dittatore Videla, ndt).
Claro, ci sono stati anche europei che hanno fatto cose buone nel nostro paese. Mi è piaciuto molto l’omaggio reso durante la Fiera all’editore Peuser. Ricordate la Guida Peuser? E la casa editrice Peuser? Forse la casa editrice argentina più famosa del secolo scorso. Peuser era un tedesco che emigrò in Argentina, un innovatore della tecnica editoriale che importava le macchine tipografiche più moderne. Pubblicò la letteratura gauchesca e la sua edizione del Fausto di Estanislao del Campo ha battuto tutti i record di vendita. Arrivato in Argentina a 14 anni, figlio di un umile calzolaio, divenne uno dei più grandi editori del paese e in aggiunta, animato da istanze sociali, fondò nella sua azienda il primo fondo per l’assistenza medica per i suoi operai e impiegati. Un omaggio meritato. La sua bisnipote, presente all’atto, ha versato lacrime di riconoscenza. Un fabbricante di libri, non di armi, Don Peuser.
[La Patagonia rebelde, libro un tempo bruciato nelle piazze e oggi adottato nelle scuole della Patagonia, è stato pubblicato anche in italiano da Elèuthera] A.P.