di Alberto Prunetti
Ormai gli inserti culturali di tutti i quotidiani dedicano spazio all’Argentina, ospite d’onore alla Fiera di Francoforte. I nomi della vecchia guardia (Borges e Cortázar, ad esempio, peraltro profondamente antitetici nei valori letterari, biografici e politici che esprimevano) sono citati solo negli incipit degli articoli, per lasciar spazio alla nuova generazione di scrittori argentini che tutti i commentatori si augurano di vedere tradotti presto in italiano. Si fanno i nomi di scrittori “giovani”, termine che in Italia include anche i cinquantenni: Claudia Piñeiro e Alan Pauls, ad esempio. Non sono certo in disaccordo, e mi auguro anch’io di trovarli presto nel mio scaffale. Eppure ci stiamo dimenticando di qualcuno.
La generazione assente
In Argentina è scomparsa un’intera generazione nel corso dell’infame dittatura militare di Videla e soci degli anni 1976-1983. La dittatura ha colpito gli oppositori politici con l’assassinio, con la detenzione, clandestina o legale, e con l’esilio, forzato o volontario. Un’intera generazione ha subito questo progetto di repressione e di ricomposizione del capitale. Una generazione stigmatizzata e decimata anche tra le fila degli uomini di penna.
Tra questi molti sono riusciti a salvare la vita riparando all’estero e alla fine del loro esilio spesso hanno faticato a conquistarsi un diritto d’espressione, almeno prima che le associazioni dei diritti umani (Madres ad esempio) e alcuni nuovi media (tra questi Pagina/12, quotidiano fondato tra altri anche dall’esule Osvaldo Soriano) permettessero una nuova presa di parola e alimentassero un fecondo protagonismo intellettuale che ha contribuito alla messa in discussione, la critica e il superamento del lungo inverno della dittatura.
Penso quindi che gli editori nostrani, prima di buttarsi a capofitto sui cosiddetti “giovani”, debbano spendere qualche energia sulla generazione di intellettuali repressi negli anni Settanta, che da noi rimane ampiamente desaparecida. Tra gli scrittori assassinati durante la dittatura, Rodolfo Walsh è stato parzialmente tradotto da Sellerio, ma gran parte della sua opera è sconosciuta. Di lui a Francoforte si è parlato oggi a una tavola rotonda in cui sedevano Osvaldo Bayer e Eduardo Jozami, quest’ultimo scrittore argentino con anni di militanza nei montoneros e di carcere alle spalle (ho partecipato nel 2005 a un suo stupendo seminario dedicato proprio a Walsh nelle classi dell’Universidad Popular de las Madres de Plaza de Mayo). Niente poi si trova di Haroldo Conti (nella foto) desaparecido nel 1976, o di Paco Urondo, che in quello stesso anno ingoiò una pasticca di cianuro di fronte a un commando di militari che stava per sequestrarlo.
Per quanto riguarda gli esuli – o meglio: gli ex esuli – ampiamente presenti nella delegazione ufficiale di 60 scrittori argentini, la situazione è in parte migliore. Sono stati acquistati col programma di traduzione Sur, finanziato dal Ministero argentino degli affari esteri, i diritti per l’Italia di opere di Mempo Giardinelli e Raul Argemí, quest’ultimo con anni alle spalle nella guerriglia e nei carceri argentini. Qualcosa è stato già tradotto in passato di Tomás Heloy Martinez, di Manuel Puig, di Héctor Tizon e del poeta Juan Gelman (il cui nipote è stato di recente ritrovato: era uno dei tanti hijos sottratti ai genitori assassinati e affidati a famiglie di comprovati “ valori cattolici”). A proposito di Gelman: sarà lui a chiudere ufficialmente con una conferenza la presenza argentina a Francoforte domenica prossima. Una presenza che si è aperta col discorso di un’altra ex-esule, la commediografa Griselda Gambaro, mentre a Osvaldo Bayer, esule durante la dittatura in Germania, è toccato l’anno scorso ricevere il testimone della nuova edizione da uno scrittore cinese.
Ma c’è un tesoro di rebeldia ancora da pubblicare. Bisogna insistere con la riproposizione italiana delle opere di Horacio Verbitsky (una delle voci più documentate della storiografia sulla dittatura, i cui libri, in parte tradotti in italiano, hanno contribuito alle indagini su quegli anni). Di lui è stato tradotto il saggio sul ruolo della chiesa durante la dittatura “El silencio”, che accusa anche alti prelati di origine italiana, ma rimane senza editore il libro sulla strage di Ezeiza, un episodio che con il ritorno in patria di Perón segna anche l’inizio del tragico massacro della gioventù peronista di sinistra.
Ovviamente è difficile essere esaustivi nel tentativo di presentare il corpus di opere di un’intera generazione di scrittori. Queste note vanno prese come personali annotazioni, come indicazioni di un appassionato. Le concludo con un ultimo nome: Juan Sasturain, di cui è apparso in Italia il Manuale dei perdenti e Ultimo tango a Buenos Aires, un fumetto da lui sceneggiato, pubblicato a puntate nel 1991 su Skorpio. Si potrebbe andare avanti all’infinito. Credo che oltre a pubblicare i cosiddetti “giovani autori argentini”, valga la pena ridar voce a questa generazione dimenticata. Anche per evitare altri casi di miopia editoriale quali quello della Patagonia rebelde: possibile che un’opera che ha spopolato nelle librerie argentine nei primi anni Settanta, è stata adattata in una pellicola vincitrice di un Orso d’argento a Berlino e dopo la fine della dittatura si è imposta come long-seller con svariate riedizioni, debba essere tradotta in italiano solo dopo quarant’anni dalla data della prima edizione?
Il programma di traduzione Sur
Per quanto riguarda il programma di traduzione Sur, è stata sicuramente un’esperienza interessante. Io stesso ho tradotto il libro di Bayer su questo programma. In un primo momento sono state finanziate le traduzioni di 146 opere argentine, ma negli ultimi mesi questa cifra è quasi raddoppiata. I dati che ho potuto visualizzare si riferiscono al primo gruppo di traduzioni. Il paese che aveva promosso più traduzioni era, alcuni mesi fa, la Germania, con 39 titoli approvati. L’Italia non figurava male: con 16 traduzioni finanziate, era seconda assieme alla Francia. Sembra però che se si calcolino le traduzioni non finanziate, l’Italia scenda di molto nel numero delle traduzioni realizzate. Probabilmente se non c’è copertura di quattrini, gli editori italiani non si accollano il rischio di pubblicare qualcosa. Nemmeno da un paese come l’Argentina, contiguo alla storia nazionale italiana per vicende biografiche, politiche e linguistiche.
Il miglior titolo argentino
La domanda più banale che si fa in questi giorni a chi si occupa per ragioni professionali o passionali di letteratura argentina è la seguente: “qual è l’opera più importante dell’editoria argentina dei nostri giorni?”
L’hanno posta anche a me e pretendo di dare la stessa risposta di Julio Cortázar. Quando lo chiesero all’autore di Rayuela, lui replicò: “la Patagonia rebelde di Osvaldo Bayer”. Era il 1973, se non sbaglio. Il giorno dopo Cortázar, eternamente esule in Europa, da Parigi telefonò a Bayer a Buenos Aires. La dichiarazione di Cortázar aveva fatto scoppiare un polverone sui giornali argentini. Quando Osvaldo sentì la voce di Cortázar smise di respirare. “Lei mi deve scusare”, disse Julio. “Mi hanno fatto questa domanda stupida. Qualcuno mi aveva spedito un paio di giorni fa una copia del suo libro, ed era rimasto sulla scrivania. Non sapevo cosa dire e ho citato la prima cosa che ho visto. La realtà è che non ne so niente di editoria argentina contemporanea”. Quella surreale risposta cortázariana vale per me ancora oggi, dopo essermi letto i quattro tomi della Patagonia rebelde in spagnolo e averli sintetizzati in un unico volume in italiano. E stavolta aggiungo: a ragion veduta.