di Emanuele Manco
Philip Pullman, Il buon Gesù e il cattivo Cristo, Ponte alle Grazie, 2010, pp. 161, € 14, 00.
Per raccontare una storia si possono scegliere molti modi. Tutto dipende da chi ne è il destinatario. La stessa storia e gli stessi concetti non possono sempre essere espressi al medesimo modo.
Se c’è un libro che viene ormai raccontato in modi diversi è il Vangelo. Sono rimasti solo Tex Willer e Kit Carson a dirsi “puro Vangelo”, per intendere che una cosa è certa senza ragionevoli dubbi.
Non è mio scopo addentrarmi nel ginepraio di possibili interpretazioni dei passi del Vangelo, ma posso provare timidamente a raccontarvi questo libro.
Philip Pullman nella sua trilogia fantasy Queste Oscure Materie, composta dai romanzi La bussola d’oro, La Lama Sottile e Il Cannocchiale d’Ambra, è stato molto critico nei confronti della Chiesa Cattolica. Scopo di questo romanzo è quello di analizzare la figura di Gesù, mediante una finzione narrativa. Un libro che gli è stato sollecitato dall’arcivescovo di Canterbury, che ha invitato lo scrittore ad andare oltre la mera critica alla religione cattolica. Pullman affronta il problema risolvendo anche la propria esigenza di una narrazione che vada alle radici di un antico mito.
Mito o solo un uomo? Figura storica o mitologica?
Per Pullman la risposta sembra essere: entrambe le cose.
Se di Gesù si può raccontare la storia, del Cristo cattolico si può narrare la genesi di una leggenda. Il narratore porta questo dualismo alle estreme conseguenze, narrando una storia nella quale la figura si sdoppia. Due gemelli, entrambi figli di Maria, Gesù e Cristo. Entrambi figli di Dio, ma con un diverso ruolo in questa terra.
Al fine di costruire una storia, la ricerca di Pullman attinge a varie fonti, non solo i quattro Vangeli, ma anche gli apocrifi che narrano episodi dell’infanzia di Gesù o particolari della nascita che poi sono entrati nella cultura popolare (si pensi all’iconografia del Presepe, non narrata nei Vangeli).
Parecchia letteratura in passato ha tentato di esplorare quel senso del dubbio che sorge spontaneo davanti alla doppia natura di Gesù Cristo. Umano o divino? Sintesi di entrambe le cose?
A differenza per esempio di quanto accade nel romanzo L’ultima tentazione di Nikos Kazantzakis (e nel film che Martin Scorsese ha tratto dal romanzo nel 1988 L’ultima tentazione di Cristo), dove le contraddizioni dilaniavano corpo e anima di un unico soggetto, Pullman con la dissociazione tra le due figure utilizza una figura retorica molto in uso prima della psicanalisi, un doppio, un sosia o un gemello che catalizzi tutti gli aspetti deleteri nella sua figura, sgravando il personaggio principale dai vizi della natura umana. Stevenson docet.
Gesù è il gemello destinato alla grandezza, a compiere miracoli, a predicare alle masse. Cristo sembra essere il fratello sfortunato e sottotono. In realtà non pare da meno quanto a capacità di compiere prodigi, ma li fa passare sotto silenzio.
Il confronto tra i due passerà per diversi stadi. Cristo sarà un fratello amorevole durante l’infanzia, disposto a coprire i danni dell’impacciato fratello. Ma la visione del mondo dei due fratelli muterà con il tempo. Sin dal primo importante confronto, quello in cui sarà Cristo a tentare Gesù nel deserto, a fargli vedere la grandezza potenziale di quanto può contribuire a creare: una Chiesa capace di erigere immensi palazzi, accumulare enormi ricchezze, tramandare nei secoli la gloria divina. E’ un progetto che il Gesù di Pullman non sembra abbracciare, preferendo una vita di predicazioni povera e umile. Ma nessuno sfugge al proprio destino. Cristo è consapevole che quanto innescato dal fratello non potrà che dare vita in quella grande organizzazione che lui prefigura. A che scopo altrimenti sarebbe venuto in Terra il figlio di Dio?
Cristo si ritrova a raccogliere le testimonianze di una vita che, pur suggestiva, lui ritiene destinata a essere dimenticata senza un evento eclatante, senza che la storia venga raccontata con la giusta enfasi. Cristo si trova a fare ciò che è necessario per far sì che il sogno di gloria eterna si concretizzi.
Le scelte narrative sono quindi uno dei pilastri fondanti su cui si basa il romanzo. Una storia ha bisogno di essere tradita, non di essere riportata per com’è se si vuole farla diventare leggenda. Ed è una responsabilità del narratore. Da cronista e narratore, la figura di Cristo si trasforma in una figura attiva, che interverrà nel destino di Gesù per portarlo verso l’epilogo che tutti sappiamo, facendo amoralmente ciò che è necessario.
La scelta del punto di vista è un altro importante aspetto trattato dal romanzo. Un terzo personaggio, lo Straniero, sembra far luce su quegli aspetti che non possono emergere se il punto di vista rimane concentrato sui due protagonisti. E’ un personaggio che condivide con il lettore le stesse conoscenze, che sa quanto è stato realizzato, nel bene e nel male, in duemila e passa anni di Chiesa. Un punto di vista terzo che interviene attivamente nel processo narrativo.
Alla fine, fatte le dovute proporzioni, lo Straniero sembra essere un uomo tornato indietro nel tempo che consiglia all’agente di una giovane e promettente rockstar di uccidere il suo pupillo, perché sa che questa morte renderà più soldi di una decadenza e declino per calo di popolarità. In ogni caso è ben consapevole di come andrà a finire la storia, e non è disposto a cedere a compromessi per realizzare il destino di quella grande istituzione che darà lustro alla figura del Messia, ma anche molto potere ai suoi membri nei secoli.
Povero Gesù, verrebbe da dire. Animato da buone intenzioni, ma incapace di vedere oltre, tradito e ucciso perché la sua morte è necessaria a un disegno più grande di lui.
Pullman cerca quindi a suo modo di ricordarci quello che potrebbe essere il messaggio originale di Gesù, che giace ancora da qualche parte nei Vangeli, che lo stesso scrittore invita a rileggere prescindendo dall’appartenenza o meno a un credo, accostandosi alla lettura con spirito aperto.