Florilegio impopolare e anti-demagogico a cura della redazione di Carmilla

Parole di Massimo Mantellini, Antonio Moresco, Carlo Lucarelli, Adriano Prosperi, Wu Ming, Massimo Roccaforte, Girolamo De Michele, Michela Murgia, Antonio Pennacchi, Evelina Santangelo, Luca, Alain Badiou.
N.B. I titoli sono di Carmilla.

PARLANDO IN GENERALE. SULLE MOBILITAZIONI DI “SOLI CLICK”, OVVERO: TUTTI LEONI SU FACEBOOK

Massimo MantelliniPosso partecipare ad un movimento politico mettendo un adesivo sulla carrozzeria della mia auto? Oppure iscrivendomi ad un gruppo su Facebook? O firmando la vibrante lettera aperta di un gruppo di intellettuali sul sito web di un quotidiano? E’ certamente possibile ma, nel momento in cui un simile impegno sostituisce del tutto altre forme di mobilitazione sociale, il lato oscuro della medaglia finisce per prevalere su quello migliore e illuminato e Internet consuma il proprio potenziale di formidabile strumento di aggregazione e diffusione all’interno di prassi frequentemente irrilevanti.
Pur con luci ed ombre negli ultimi anni anche in Italia alcuni eventi politicamente significativi sono nati e cresciuti in rete per poi diventare tema centrale nelle cronache dei giornali e concreta discesa popolare in piazza, tuttavia, anche da noi, nella stragrande maggioranza dei casi, iniziative di sensibilizzazione popolare nascono e muoiono ogni giorno in rete senza avere la capacità di spostare un singolo piccolo sassolino.

Come si esce da un simile impasse? Intanto aggiungendo sacralità al punto di vista delle persone in rete. Ciò significa intanto rifuggire dall’abuso degli strumenti di aggregazione popolare on line. Perché accanto ad un attivismo dei fannulloni che cliccano svagatamente qualsiasi campagna on line, esiste anche un ben più colpevole attivismo dei propositori, quella spiacevole tendenza, anch’essa a costo zero, di chiamare il popolo alle armi per ogni piccola quisquilia o, peggio, per
banali ragioni di personale visibilità. A minimizzare il danno democratico dello slacktivism c’è poi da considerare, per lo meno nel nostro paese, il contesto civile generale. Una identità dei cittadini verso la politica ai minimi storici, una capacità dell’associazionismo di radunare istanze modestissima, una autorevolezza sindacale ormai ridotta al lumicino, sono paradossalmente elementi che depotenziano i rischi delle mobilitazioni on line. Che con ogni probabilità non andranno ad incidere su nulla di più della nostra autostima ma che, in molti casi, non rischiano altro di sostituirsi al nulla che le precedeva.
– Stralcio dall’ultimo “Contrappunto” di Massimo Mantellini

SCENDENDO NEL PARTICOLARE. QUALCUNO SPERA DI SCROLLARE L’ALBERO

Antonio MorescoIn questi giorni [di fine estate] i giornali stanno parlando molto dell’ennesima legge “ad personam” (in questo caso “ad aziendam”) che consente alla Mondadori di non pagare al fisco una cifra enorme. Dopo la presa di posizione pubblica di Vito Mancuso, che ha espresso i suoi dubbi se continuare a pubblicare con questo editore e che ha chiamato, nome per nome, alcune persone che pubblicano presso lo stesso a pronunciarsi, si è dato fuoco alle polveri. Opinionisti, giornalisti e politici abituati a capitalizzare fulmineamente ogni cosa si sono gettati sulla vicenda con continue richieste di abiura editoriale rivolte a scrittori e saggisti (i poeti -chissà perché- non vengono presi in considerazione) che pubblicano con questo editore e con questo gruppo. Argomenti moralmente e politicamente ricattatori, ironie e sfottimenti in caso di risposte non gradite o evasive, esibizione di superiorità civile e morale, soprattutto da parte di giornali di gruppi editoriali concorrenti e di persone bene acquartierate in essi. Perché in Italia le cose funzionano così.
Si invitano gli scrittori a schierarsi su questa “crisi di coscienza” trasformata in una macchina da guerra contro un’altra macchina da guerra, ad abbandonare questo editore per altri più virtuosi, ciascuno vantando le proprie benemerenze e la propria superiorità etica, in una battaglia che viene da lontano e che nasconde anche altri fini, sperando tra l’altro di scrollare l’albero e di accaparrarsi qualche frutto caduto, soprattutto se questo ha una buona quotazione di mercato e porta quattrini. Perché in Italia le cose funzionano così, tanto più in questi anni difficili, torbidi, in questo clima intossicato da una situazione politica, sociale e civile sempre più difficile da sopportare.
Così può succedere che persino gli scrittori -che in Italia non sono tenuti in gran conto, a meno che non rimpinguino i fatturati- vengano utili all’interno di questi movimenti militari e di queste campagne. Lavagnette e specchietti con tanto di elenchi e faccine dei buoni, dei meno buoni e dei cattivi, di quelli più virtuosi e di quelli meno virtuosi. Pareri usa-e-getta da inserire in questo mosaico, esibizione di muscoli, esercitazioni, parate. Perché in Italia le cose funzionano così.
– Estratto da: Antonio Moresco, “Pensieri a cranio scoperchiato, dal blog “Il Primo Amore”
[In calce al post, Moresco chiede che, in caso di riproduzione, il testo venga pubblicato “per intero [senza] mutilarlo pescando qualche frase qua e là e distorcendone il senso”. Poiché questo è dichiaratamente un florilegio, abbiamo disatteso la lettera della prima indicazione, ma pensiamo di averne rispettato lo spirito.]

SULLA PELLE DI CHI?

Carlo LucarelliRispetto tutte le posizioni individuali di chi intende fare una scelta diversa, ma per me andarmene [dall’Einaudi] sarebbe solo una fuga, un gesto facile, buono far bella figura e a farsi pagare meglio da un’altra parte (ho la fortuna di essere un autore appetibile), ma inutile, incoerente e per di più dannoso.
Passare in blocco, come si chiede a molti di noi, ad altre grandi case editrici significherebbe occupare lo spazio di chi già c’è e vende meno di noi (siamo in periodo di crisi e questa è la logica del mercato) oltre che lasciare il nostro posto ad autori più in linea con i desideri del padrone. Passare armi e bagagli a case editrici più piccole ma più “pure” (con le quali molti di noi comunque pubblicano particolari progetti con grandi e reciproche soddisfazioni) significherebbe caricarle di un lavoro che non potrebbero soddisfare in pieno, limitando la penetrazione del libro.
Tutto questo, assieme alla proposta di boicottaggio della Mondadori — che in un paese di non lettori come l’Italia si traduce in un boicottaggio del libro e della lettura – significa solo meno spazi, meno voci, meno libri in libreria. E meno spazio ovunque, dal momento che la coerenza chiederebbe a molti di noi di uscire anche dalla televisione. E chiederebbe anche, sia a noi che al lettore, di esercitare lo stesso boicottaggio su tutti i numerosi e spesso sconosciuti esempi di conflitto di interesse che, come fa notare Diego Cugia, sono tanti e non si limitano soltanto all’editoria.
Cosa che riporta tutto al nocciolo della questione: il conflitto di interesse, mai risolto da politici ed elettori, che adesso sembra avere l’ultimo campo di battaglia sulla pelle di un pugno di scrittori.
Un conflitto di interesse che una volta risolta l’anomalia Berlusconi si riproporrà di nuovo per altri soggetti, anche se in modo meno appariscente. Ma questa è un’altra storia.
– Estratto da: Carlo Lucarelli, risposta al mail-bombing della campagna “Mondadori No Grazie”

IL CLIMA CHE STA MONTANDO

Adriano ProsperiVorrei dire due parole sulla questione aperta – e chiusa – da Vito Mancuso. Lo faccio sfidando consapevolmente un forte senso del ridicolo. Che l’opinione di qualche saggista e di qualche professore sulla propria collaborazione con le edizioni Einaudi e Mondadori possa avere un qualche interesse per i lettori o addirittura un peso politico è – secondo me – un seducente autoinganno. Ma il problema soggettivo e morale esiste: e vorrei spiegare come l’ho personalmente affrontato. Lo faccio in pubblico perché mi preoccupa il clima che sta montando intorno a un ambiente di lavoro che conosco e che mi è caro: quello, appunto dell’Einaudi. Anni fa, quando avvenne il passaggio di proprietà della Mondadori e dell’Einaudi, la scelta di andarsene da parte di autori storici come Carlo Ginzburg e Corrado Stajano pose anche agli altri il problema della compatibilità tra il lavoro intellettuale e il rapporto con la proprietà di Berlusconi. La mia scelta privata, privatissima, fu quella di continuare in una collaborazione da cui avevo avuto ben più di quanto potessi sperare di riuscire a dare.
Pensai allora che la corruzione di un sistema si ostacola cercando di contendergli il terreno, di salvare quello che vale la pena di trasmettere. Avevo in mente il modo in cui Benedetto Croce aveva risolto il problema – ben più grave – del suo rapporto con l’Italia fascista: espatriare o restare? Un problema che qualcuno si è posto di nuovo in questi anni e che forse potrebbe diventare attuale se andranno in porto le “riforme” della giustizia, l’informazione, la scuola e l’università concepite dal regime attualmente dominante. Arginare la corruzione, salvare gli strumenti e la memoria del lavoro culturale. Questa fu la giustificazione morale che mi detti e che ancor oggi mi sembra valida. L’Einaudi valeva la pena. Einaudi era allora – e continua a essere oggi – una casa editrice con una identità scolpita nel suo catalogo, con una storia speciale nel contesto della cultura italiana: una storia condivisa e mantenuta in vita da una folla di dirigenti, redattori, impiegati, collaboratori, autori, traduttori, correttori di bozze e – non certo ultimi – da una rete di librai e di venditori rateali, tramite prezioso con la comunità dei lettori. Farne parte, sia pure a livelli minimi, era – è – un onore: un onore per se stessi, un qualcosa che rincuora, non una patacca di appartenenza a una scuderia di cavalli di razza. Perché una cosa va detta a scanso di equivoci: non si è “autori di qualcuno”; non si è una merce posseduta da un padrone. Nell’umbratile campo dove lavoro l’unica cosa di cui si ha bisogno è la libertà.
– Estratto da: Adriano Prosperi, “La cultura e l’aria di Libertà”, Repubblica, 05/09/2010

LA QUESTIONE EINAUDI + DUE O TRE COSETTE CHE I BOYCOTT BOYS NON SANNO

Wu Ming FoundationL’Einaudi non è Berlusconi, perché quest’ultimo passa, mentre l’Einaudi resterà. Resterà il catalogo, per dirla con Valter Binaghi, “poeticamente più sovversivo del mondo”. Resterà quel soggetto, quella voce nel dibattito culturale e civile.
Quindi […] bisogna TENER DURO, “resistere un minuto più del padrone”. Bisogna lottare dentro, per salvaguardare i margini e gli spazi di autonomia rispetto alla proprietà, per riequilibrare con mosse “buone” ogni concessione o cedimento, ogni eventuale “scivolone”. Date un’occhiata al catalogo e vedrete quali e quante sono le mosse “buone”. Abbiate un po’ di pazienza e vedrete, quest’autunno, alcune uscite strategicamente fondamentali.
Perché dalle pagine culturali dei giornali (e siti) berlusconiani, molti scrittorucoli di destra attaccano soprattutto gli autori di sinistra che pubblicano con Einaudi o Mondadori? Magari chi non è dentro quel mondo non se ne accorge, ma è una vera e propria grandinata di lamentele e contumelie, e dura da anni e anni.
La risposta è semplice: perché reclamano i nostri posti. Vorrebbero esserci loro al posto nostro, e si lamentano a gran voce: ma come? Quelle case editrici sono di proprietà di Berlusconi e proprio noi, autori berlusconiani, non abbiamo tappeti rossi srotolati davanti ai nostri piedi e ancelle che ci precedono gettando petali di rosa?
Questi sgomitano con violenza, da anni. Ma l’Einaudi non li pubblica e in genere non li pubblicano nemmeno le collane più prestigiose di Mondadori, perché i capi-collana come Repetti e Cesari in Einaudi o Brugnatelli in Mondadori non sono yes-men. Così si riesce, non senza sbavature ma comunque ci si riesce, a salvaguardare il catalogo.
Se chi in Mondadori non la pensa come Berlusconi uscisse dal gruppo editoriale, quei posti verrebbero presi all’istante da yes men. Al posto dei libri di Saviano o di Cantone, nella collana “Strade Blu” di Mondadori vedremmo quelli di svariati scalzacani.
Ma è doveroso portare la logica del boicottaggio un po’ più in là, fino alla massima coerenza.
Se tutti gli autori che osteggiano Berlusconi uscissero dall’Einaudi, come sembrano auspicarsi i Boycott Boys, significherebbe soltanto DISTRUGGERE L’EINAUDI, senza peraltro sconfiggere Berlusconi, che in un paese di non-lettori come questo non vedrebbe in alcun modo intaccato il suo consenso di massa, consenso che ha presso persone che NON leggono libri Einaudi.
E così, alla fine del ciclo berlusconiano, ci ritroveremmo senza l’Einaudi. Avremmo distrutto una delle più prestigiose case editrici di sinistra, e un pilastro storico della cultura antifascista in Italia. Bel risultato! Tutto questo perché si è presa una scorciatoia, perché si è sacrificato il lungo periodo alle pressioni della contingenza. Ma che senso ha?
Il boicottaggio è uno strumento importante, ma per metterlo in pratica servono dei requisiti. Uno dei quali è: conoscere l’industria che vuoi boicottare. Infatti chi promuove il boicottaggio alla Nike sa tutto di quest’ultima, sa dove sono gli stabilimenti, conosce gli organigrammi, segue le dichiarazioni dell’amministratore delegato, etc.
Nel caso di questo boicottaggio agli autori Mondadori ed Einaudi, questo requisito manca totalmente. In giorni e giorni di perlustrazione della rete, non [abbiamo] trovato una presa di posizione una (nemmeno una!) che faccia pensare a una benché minima conoscenza dell’Einaudi, della sua storia, del suo catalogo, di cosa si muove là dentro, di quali siano gli equilibri. Non solo: chi promuove questo boicottaggio sembra NON SAPERE NULLA DI EDITORIA, tout court. Sfuggono i meccanismi basilari, manca l’ABC […] si schiaccia totalmente l’Einaudi sulla Mondadori e quest’ultima su Berlusconi.
Così facendo, si danneggia in primo luogo chi, come noi e tantissime altre persone, là dentro cerca di lavorare per un’Einaudi post-Mondadori e post-Berlusconi.
Credete che sia una cosa facile, soprattutto di questi tempi, ribadire che si continuerà a lavorare con l’Einaudi finché sarà possibile (finché qualcuno non ci caccerà)? Pubblicare con Einaudi sta diventando la scelta più impopolare in una fase di populismo acuto e di capi carismatici […] Fatevi un giro nei forum, nei blog, nei profili Facebook che fanno riferimento a grillini, BoBi e dintorni. E’ tutta un’ingiuria contro di noi, contro Lucarelli, contro Saviano e mille altri.
Bene, noi non ci facciamo intimidire, serve anche e soprattutto il coraggio di essere impopolari. Solo che il danno sarà sistemico: aumenterà la quantità di veleni e di falsi problemi agitati come drappi rossi di fronte a masse in cerca di semplificazione delle questioni.
Anche se questo boicottaggio fallirà (perché è stupido e mal concepito), il gioco non sarà a somma zero. Ne usciremo con sempre più divisioni “a sinistra”, e con una lacerazione dei rapporti tra intellettuali e masse (e stavolta, almeno per una volta, NON sarà colpa degli intellettuali).
Non c’è sito o blog dove si discuta di questo tema in cui gli scrittori (e, attenzione, soltanto loro) non vengano chiamati in causa.
Infatti, nessuno ha ancora chiesto agli editori “virtuosi” di boicottare le librerie Mondadori rifiutandosi di mandarci i libri che pubblicano, o di boicottare la distribuzione Mondadori non affidandole gli scatoloni. Del resto, anche gli editori concorrenti più “barricaderi” si guardano bene dal farsi avanti con un beau geste di questo tipo, che pure sarebbe molto più clamoroso e di sostanziale impatto della tanto reclamata diserzione di questo o quell’autore.
Nessuno ha chiamato in causa editor e capi-collana etc. Tutti i chiamanti in causa hanno chiamato in causa gli autori.
Che non si sono tirati indietro, e hanno fatto bene a rispondere, ciascuno a suo modo.
Come fanno bene a spiegare alcune cose che sfuggono al “general public” e, soprattutto, sfuggono ai Boycott Boys.
Ad esempio, che la famiglia Berlusconi è azionista del gruppo Rizzoli/RCS. Non solo è azionista direttamente, ma esercita un controllo azionario indiretto, dato che l’azionista di maggioranza è Geronzi.
Non si contano le volte al giorno in cui, qui o là, veniamo invitati a lasciare Mondadori e addirittura Einaudi “perché è di Berlusconi”, e ci sentiamo dire che “esistono altri grandi editori, come Rizzoli”. Tra l’altro, ehm, noi per Rizzoli pubblichiamo già.
E via così, col pilota automatico, ignorando davvero troppe cose.
Proviamo a farci questa domanda: chi boicotta la Nestlé, dove le ha attinte le informazioni su quest’ultima? La risposta è abbastanza semplice: ha studiato. Ha letto le pagine di economia, ha perlustrato il sito e le comunicazioni ufficiali dell’azienda, ha socializzato tra tante persone saperi parziali che, un po’ alla volta, hanno composto un quadro generale. Idem per la Nike e tutte le altre campagne di boicottaggio. Idem per i pompelmi israeliani. Un boicottaggio non si improvvisa alla carlona, mettendo su un sito in 24 ore e invitando la gente a fare mail bombing a casaccio. L’Annosa Questione esiste da quindici anni, c’era tutto il tempo, da parte di chi l’ha sollevata, di fare ricerche, compilare dossier e “libri bianchi”, leggersi libri di storia dell’editoria (in questo thread abbiamo fornito parecchi link). Con tutta evidenza, questo è un lavoro che nessuno ha fatto.
[…] Se un autore che pubblica per il gruppo Mondadori decidesse di smettere di farlo, priverebbe il gruppo stesso dei proventi derivati dalla vendita dei suoi libri? Solo parzialmente. La percentuale del prezzo di copertina che spetta all’editore in effetti finirebbe nelle tasche di un’altra casa editrice, ma questa è solo una fetta della torta. Infatti il gruppo Mondadori è anche azionista di maggioranza del principale distributore di libri italiano, nonché titolare di una delle due più grosse catene di bookstore del Belpaese. Significa che se si volesse evitare di portare soldi nelle tasche della famiglia Berlusconi bisognerebbe anche chiedere al proprio nuovo editore di non affidare la diffusione dei propri libri al suddetto distributore e di non venderli nei bookstore della catena Mondadori. Altrimenti sarebbe un boicottaggio parziale: vale a dire una contraddizione in termini.
E’ significativo che Mancuso, nella sua ingenuità, non abbia nemmeno preso in considerazione la faccenda, proprio mentre ancora oggi su Repubblica ripropone la questione mettendo al centro l’aspetto prettamente economico (“a chi faccio fare i soldi con i miei libri?”).
Questo dimostra una volta di più quanto i fautori del boicottaggio alla Mondadori ignorino i meccanismi dell’industria editoriale italiana e siano piuttosto in cerca di bei gesti di delegittimazione del tiranno. Il desiderio di semplifcazione che ormai ha contagiato la società italiana è il principale sintomo della vittoria psichica del berlusconismo. Ma la realtà resta più complessa e non si può districare con i bei gesti, solo con pratiche di resistenza lenta e duratura.
Le pratiche di resistenza pertengono al modo in cui si decide di svolgere il proprio mestiere di scrittori. E questo riguarda il contenuto di ciò che si scrive; come si affronta il problema dell’estinzione dei lettori, o quello dell’impatto ecologico della propria attività, o ancora quello della fruizione dei testi letterari; insomma il tipo di cultura e di consapevolezza che si alimenta.
Wu Ming 1 e Wu Ming 4, montaggio di interventi da questa discussione su Giap + un commento lasciato su Vibrisse in calce all’ intervento di Moresco

ATTENTI A NON CADERE IN UNA NUOVA TRAPPOLA

NdA.jpgCredo che la questione di una “fuga dalla casa editrice” così come è stata posta nei giorni scorsi su alcuni quotidiani nazionali, non centri il reale problema che attraversa oggi il mondo editoriale italiano.
Cerco di spiegarmi: Mondadori è la più importante casa editrice che abbiamo in Italia, probabilmente quella che più di altre ha determinato le politiche della produzione editoriale e che, con i dovuti, grandi, distinguo del caso, insieme ad altri 4 o 5 gruppi definisce la connotazione del mercato editoriale in senso assoluto.
Chiarito questo scenario, trovo auto censoria, sbagliata e forse pericolosa una campagna di autoesclusione dal principale gruppo editoriale italiano incentrata e proposta solamente degli autori. Vorrei con il mio intervento contribuire al dibattito cercando di spostare l’attenzione su un altro punto della questione.
Non è che l’aria sta diventando talmente irrespirabile che alla fine si sia, o si sarà, costretti a “lasciare nelle mani” di chi ha sempre fatto del disprezzo della cultura con la C maiuscola una sua bandiera, la maggiore e più importante casa editrice che abbiamo in Italia?
Di conseguenza non si rischierebbe di ridurre, con questa scelta, il grado di autonomia del mercato e dunque la possibilità di vendita e scelta per librai e lettori?
Non si sta cadendo in una trappola ponendo la questione nei termini in cui è stata posta in questi giorni?
Il silenzio o i freddi comunicati, dei dipendenti e dei collaboratori della casa editrice, in tal senso sono il segnale più preoccupante e secondo me indicativo di un’aria che forse sta davvero cambiando, in un ambiente che a certi livelli non credo abbia grandi problemi a “privarsi” di certi autori per dirottare sempre di più la propria produzione su autori più consenzienti o commerciali.
In un mercato come quello editoriale dove tutta la filiera è controllata e dove spesso è il mercato stesso a creare la domanda, ritirarsi dal catalogo di un grande editore non mi sembra la politica più giusta o quantomeno salutare all’ambiente culturale.
Io credo che in editoria, come nel resto della società, il problema principale in questa fase sia resistere con la propria identità e le proprie istanze là dove ci si trova, senza cedere un passo all’arroganza e alle scorrettezze di un potere che si sta facendo sempre più cupo.
Non sto con questo chiedendo ad autori o lavoratori dell’editoria di intraprendere campagne politiche all’interno di Mondadori o che altro editore, ma sto ragionando sulla necessità che autori, editor, distributori, librai e lettori contribuiscano tutti insieme, con il loro lavoro e le loro scelte quotidiane alla difesa della circuitazione e produzione editoriale indipendente nel nostro paese.
Quanto è in gioco adesso è molto di più, con il dovuto rispetto, di un problema morale; la partita che stiamo giocando è sull’autonomia del mercato e della produzione editoriale, qualcosa che con parole grosse potremmo definire come il futuro di un buon pezzo della Cultura in Italia.
Si tratta di difenderla da chi sempre di più vuole definire chi scrive, cosa si scrive, come si vende, dove si vende. In una fase così penso sia molto utile che ognuno resti al suo posto a fare le cose che sa e ama fare, cercando con le proprie azioni di affermare che questo paese non è la classe politica o imprenditoriale che in questi anni, e peggio ancora negli ultimi mesi, la sta rappresentando.
– Estratto da: Massimo Roccaforte, “NdA (distribuzione indipendente) sul caso Mondadori

QUERCE CHE NON VEDREMO CRESCERE, MICA RUCOLA PER LA PIADINA

Girolamo De MicheleGli “autori che pubblicano per Mondadori” NON ESISTONO: nel senso che non sono una corrente, un partito, una lobby, una frangia organizzata, una fazione. Non concordano una linea, neanche ce l’hanno una linea comune (tutti quanti insieme, intendo). Ciascuno risponde per quello che scrive nei propri libri: e avrebbero diritto di sentirsi porre questioni che partono dai contenuti dei libri che pubblicano per una collana che afferisce a B. Ma se questo avvenisse, molti di questi autori potrebbero, contenuti alla mano, dimostrare che quello che fanno non è aggirare un problema, ma di porre un problema al signor B.
Porre la questione annoserrima tradisce un’idea del narratore, o dell’autore, idealistica, barbuta e monocoluta, alla Croce o Omodeo: che i libri spostano le montagne e cambiano il mondo solo perché, esistendo, svelano la verità e sconfiggono il male. Beh, toglierselo dalla testa: i libri producono effetti sul lungo periodo, a volte sul lunghissimo (e spesso non ne producono alcuno). L’intero lavoro intellettuale (la battaglia delle idee, come si diceva una volta) dev’essere impostata come lotta di lunghissima durata, dagli esiti incerti: i narratori piantano querce che forse non vedranno crescere, mica rucola per la piadina. E quindi tutelare, finché si può, la possibilità di una buona diffusione, circolazione, visibilità, reperibilità è cosa fondamentale. Se poi tutto questo è possibile senza subire censure, né preventive né implicite, tanto meglio: se qualcuno non crede all’esistenza di nicchie di qualità e di onestà nel Sistema Editoriale Omologato, tanto peggio per lui.
– Da un intervento di Girolamo De Michele nella citata discussione su Giap

SE C’È QUALCUNO CHE È FUORI POSTO IN EINAUDI…

Michela MurgiaSe c’è qualcuno che eticamente è fuori posto in Einaudi, costui è Silvio Berlusconi e tutta la sua prole, non io o chi come me rivendica il diritto di starci a condizioni di libertà. Trovo inquietante che qualcuno possa considerare un traguardo democratico vedere Einaudi diventare un ghetto berlusconiano dove abbiano diritto di cittadinanza solo gli scrittori (e gli addetti ai lavori) non antagonisti. Agli amici che mi dicono: “ma gli fai guadagnare dei soldi” dico che hanno ragione, e non farò finta che questo non sia un problema, visto che i soldi sono parte significativa della sua forza […] Il mio obiettivo resta quello di dire quello che penso a più gente possibile nel modo più efficace, con la speranza che, unitamente alla voce di altri, questo possa contribuire a offrire più strumenti di dissenso a chi ne sta cercando. Questo per me è fare cultura. E se è vero che questo si può fare in molte altre case editrici, resto convinta che in Einaudi ci siano per me le condizioni per farlo meglio che altrove: per tradizione consolidata, per qualità di relazione, per livello di professionalità, per potenzialità di diffusione e dunque per efficacia.
Queste valutazioni hanno pesato più di altre in ogni circostanza in cui il conflitto si è fatto più evidente, e fino a quando sarà così io non andrò via da Einaudi.
“Ma stavolta è diverso”, leggo da qualche parte.
In cosa esattamente sarebbe diverso? In che modo questa legge ad personam dovrebbe scuotere la mia coscienza più di quanto non abbiano già fatto la cancellazione del reato di falso in bilancio, la legge Cirami, il lodo Alfano, il decreto salva Rete4, i condoni edilizi nelle aree protette, l’impedimento sulle rogatorie internazionali, il rientro agevolato dei capitali dall’estero, la proposta della legge bavaglio e varie ed eventuali che qui mi sfuggono? In che modo essere scrittore per una casa editrice che approfitta di un condono fiscale è peggio che essere cittadino di un paese dove il presidente del Consiglio si fa continua beffa del principio di legalità, piegandolo ai suoi interessi, compresi quelli fiscali?
Il problema per me non è che Mondadori benefici di un condono di cui qualunque azienda avrebbe approfittato (e molte altre infatti lo faranno), ma che Silvio Berlusconi governi questo paese. E poiché anche se io me ne andassi da Einaudi Silvio Berlusconi continuerebbe ad essere il presidente del Consiglio, forse non ha molto senso chiedersi se andare o restare, ma piuttosto dov’è che posso io fare una pur minima differenza con le mie competenze.
La risposta per me è restare in Einaudi, e rivendico di starlo facendo non nonostante Berlusconi, ma proprio perché Berlusconi è il proprietario. Cercare di fare continuità con le scelte che hanno fatto di questa casa editrice un riferimento culturale per intere generazioni resta per me l’unico modo valido per partecipare dell’esistenza (e della resistenza) di una proprietà morale in Einaudi, rappresentata dagli autori e dai professionisti che l’identità di questa casa editrice l’hanno costruita in anni di lavoro, e che continua ad esistere a prescindere da chi detiene le quote finanziarie. Se necessario, non ho dubbi che saprà essergli anche antagonista.
A molti certo non basterà, e per stimare di più me e gli altri autori Einaudi avrebbero preferito che facessimo tutti insieme l’inutile beau geste.
In quello magari li accontenterà il dottor Mancuso, non appena finirà l’ennesimo tentativo di giocare allo psicodramma collettivo dalle pagine di Repubblica.
– Estratto da: Michela Murgia, “La scelta di esserci”

LA RIVOLUZIONE VE LA DEBBONO FARE GLI AUTORI MONDADORI?

Antonio PennacchiDice: “Ma questo è matto, ma come gli è saltato in mente di mandare in quel posto don Gallo?”. Be’, a parlare dopo, sono buoni tutti. Bisogna vedere prima, però, quello che ha fatto o detto don Gallo.Adesso dice che sono un tipo simpatico e lo ringrazio. Pure lui — fino a qualche giorno fa — stava simpatico a me. Ma è lui che aveva espresso di fatto un giudizio morale negativo su di me e su chiunque altro continuasse ancora a pubblicare con Mondadori. Lui in realtà — aveva detto — non se ne era accorto subito, aveva peccato anche lui, pubblicando pure lui coi reprobi. Poi però sull’avviso ce lo aveva messo un angelo — il padre spirituale suo, Beppe Grillo — telefonandogli una mattina presto: “Ma che stai a fa’?” (è così che funzionano le annunciazioni oggi). E allora lui lì se ne è accorto, s’è pentito, e con Mondadori non pubblicherà mai più, perché — dice — non paga le tasse, e lo stesso dovrebbero fare tutti quelli che ci pubblicano, se davvero hanno a cuore gli interessi del Paese. “Pensi a chi evade le tasse, Pennacchi” dice don Gallo.Ci penso, don Ga’, ci penso. Ci penso da una vita — vita che ho passato soprattutto in fabbrica — pagandole ogni mese in busta paga e pagandole adesso regolarmente sui miei diritti d’autore. Sapesse quanto ci penso e ci ho pensato, soprattutto a quelle che non paga la chiesa sull’Ici. Com’è, quando gli sconti Berlusconi li fa a voi, allora vanno bene? Quando invece se li fa a sé stesso, ci debbo pensare io? Fammi capire, don Ga’: non lo ha risolto Prodi in quattro anni di governo il conflitto d’interessi, e adesso vuoi che te lo risolva io? La Rivoluzione ve la debbono fare — da soli — gli autori Mondadori? E i Padri della Patria chi sarebbero a questo punto, Rizzoli e Feltrinelli? Paolo Mieli premier? Don Ga’, se tu non lo sai, queste a casa mia sia chiamano contraddizioni in seno alla borghesia. Io sono proletariato. E’ un’altra cosa.Io faccio lo scrittore, don Ga’. Scrivo i libri. E sono responsabile di quello che scrivo. Se non ti piace ciò che scrivo, hai tutto il diritto di dirmelo, ci mancherebbe altro. Ma solo di quello, però, non altro. Quando stavo in fabbrica non t’è mai venuto in mente di dirmi che ero responsabile anche di quello che poi faceva il padrone mio. Perché dovrei esserne responsabile solo adesso e solo io, e non magari pure l’operaio, il redattore o lo stampatore di Mondadori? Ci licenziamo tutti allora e andiamo tutti da Rizzoli, toccando ferro e facendo le corna, nel caso magari che anche lì non paghino le tasse? Ma che ti dice la capoccia, don Ga’? Io — come allora — rispondo della mia produzione e basta. Si chiama economia di mercato. Divisione del lavoro. Capitalismo. Io sto dall’altra parte. Proletariato. Porto il frutto del mio lavoro al mercato e lo vendo — derubato sempre (si chiama plusvalore) — a chi lo compra. Sono un lavoratore come gli altri. E a me tutti gli altri editori non m’hanno voluto. Rizzoli e Feltrinelli — tanto per non fare nomi — i miei libri me li hanno rifiutati più volte. Mo’ che debbo fare, don Ga’: me li debbo venire a pubblicare al ciclostile della parrocchia tua? Dice: “Vabbe’, ma che c’entra: quello è stato prima, mo’ che hai vinto lo Strega ti pubblicano di corsa tutti quanti”. Eh no, troppo comodo — oltre che a casa mia si chiamerebbe “infamità” — mo’ se ne vanno loro in quel posto, se mi permetti, e ci vanno, per me, con tutte le scarpe. A me da Mondadori — oramai — mi debbono cacciare solo con il manico della scopa. Sennò non me ne vado, don Ga’. Mi lego con le catene. E voi piangete quanto vi pare.Ciao, e amici come prima. Anzi, pure più di prima per me, se vuoi.
P.S. — Rispetto al Conte “chierichetto” di don Gallo però — che prima mi riempie d’insulti, poi dice che avrei vinto il premio Strega “solo grazie alla forza d’urto di Mondadori”, e infine ammette candidamente di non avere letto il libro, che per inciso si chiama Canale Mussolini — che cosa dire, poverino? Ma stai zitto, no? Che parli a fare? Leggiti almeno il libro, prima. Di’ che non ti piace. Come fai sennò a poter sostenere che ho “miracolato” lo Strega, senza neanche averlo letto? Poi dice che non ci sono più i chierici di una volta, e gli Strega gli tocca di vincerli agli operai. Altro che “forza d’urto di Mondadori”, beato a te. Qui al contrario, sotto l’usbergo dell’opposizione a Berlusconi — che se mi si permette è pure battaglia mia — qui è in atto una classica guerra di mercato tra gruppi editoriali contrapposti (contraddizione in seno alla borghesia, appunto), condotta attraverso una vera e propria campagna di intimidazione ai danni degli autori Mondadori. E’ questo che è ignobile, caro il mio “chierichetto”. Battiti il petto — se hai onestà intellettuale — e prega Mea culpa.
Antonio Pennacchi sul suo “vaffanculo” rivolto a Don Gallo, “Il Secolo XIX”, 28/08/2010

QUESTO È IL MOMENTO DI NON ANDARSENE

santangelo.pngIo oggi non me ne vado [dall’Einaudi] perché non ascolto i bravi «consigliori», appunto, che sanno alla perfezione dove sta il giusto e l’ingiusto, e il giusto, guarda caso, sta sempre dove stanno loro, anche se, a ben guardare, non è che abbiano poi fatto così tanto per stare nel giusto, e a volte non hanno fatto un bel niente, e a volte hanno fatto più o meno quel che io stessa ho fatto: il mio «mestiere» con indipendenza, passione, scienza e coscienza, e uno studio matto e disperatissimo che dura da decenni.
[…] Io oggi non me ne vado perché è un sacrilegio abbandonare la cultura al suo destino all’interno di una casa editrice che, nonostante tutto, produce ancora cultura, traduce cultura, conserva cultura in un mal paese dove predomina e la fa da padrone la più greve, arrogante, spocchiosa, irrazionale o, di contro, calcolatissima sottocultura.
Io oggi non me ne vado perché non vedo il motivo per cui debba andarmene io da una casa editrice che è stata comprata con un atto di corruzione da una proprietà truffaldina.
Io oggi non me ne vado perché l’Einaudi forse è ancora uno dei posti meno corrotti di questo paese, nonostante sia proprietà di un corruttore (materiale e spirituale), che forse, sino ad ora, almeno, aveva altre cose per la testa, altre priorità che distruggere l’Einaudi.
Io oggi non me ne vado perché non me ne sto zitta anche se collaboro e pubblico prevalentemente con Einaudi, mentre qualcuno («Libero», «il Giornale») vorrebbe che i collaboratori e gli autori Einaudi se ne stessero zitti e buoni, come se fossimo servi di un padrone (cfr. l’articolo del caporedattore delle pagine culturali di «Libero», Francesco Borgonovo, del 1° dicembre 2009: «Berlusconiani ma compagni. A Einaudi la lotta continua»). E siccome io non ho padroni e non ho attitudine da serva: che mi si paghi per il mio lavoro intellettuale (quel poco che oggi è pagato spesso il lavoro intellettuale) come è giusto che sia! perché, beh, una cosa è pagare il lavoro e tutt’altra cosa è comprare il silenzio.
Io oggi non me ne vado perché l’ultima fatica che ho consegnato all’Einaudi è la traduzione (faticosissima) di Rock ‘n Roll di Tom Stoppard. E in quel dramma, giustappunto, si parla di regimi, «normalizzazioni» e intellettuali. E in quel dramma, giustappunto, c’è un passaggio in cui tra le altre cose si dice che, quando si comincia ad accettare quel che fa comodo al regime, si finisce per cadere completamente nelle grinfie del regime. E, per me oggi, andarmene o auspicare che quelli che stimo se ne vadano via dall’Einaudi per lasciare tutto quel patrimonio di intelligenza e cultura in balia di Berlusconi o dei suoi accoliti è fare proprio quel che fa comodo al regime: togliermi dai coglioni e lasciar campo libero a chi sa benissimo come far dimenticare davvero l’Einaudi, una volta per tutte.
Io oggi non me ne vado perché allora me ne dovrei andare dall’Italia, che nel suo insieme è di gran lunga peggiore dell’Einaudi. Almeno nei corridoi dell’Einaudi può capitare ancora di incontrare una figura garbata e appassionata come Roberto Cerati.
Io oggi non me ne vado perché, quando finalmente si comincerà a ricostruire materialmente, moralmente, culturalmente, spiritualmente questo paese, credo che il fatto che una casa editrice come Einaudi non sia andata distrutta sarà una garanzia e un valore per tutti.
Io oggi non me ne vado perché, anche se fossi costretta ad andarmene o decidessi di andarmene per le ordinarie ragioni che spingono gli autori a cambiare case editrici, vorrei che tutti gli altri rimanessero.
– Estratto da: Evelina Santangelo, “Dichiarazione di una collaborazionista”

IL “VOYEURISMO D’OPPOSIZIONE” CI FARÀ ENTRARE NEL POST-BERLUSCONISMO IMPREPARATI E CONFUSI

voyeur.jpegUna cosa che mi sconvolge, in questa diatriba infinita, è come essa sia esemplare di un fenomeno più ampio e devastante, il “voyeurismo” d’opposizione. Si tratta di un’ansia, un’ossessione, una richiesta compulsiva di assistere al “Gesto”, finale e definitivo, che archivi una fase storica, che termini un incantesimo. Chiunque venga identificato, per un momento e senza basi concrete, come ipoteticamente in grado di agirlo, quel “Gesto”, viene investito, anche solo per un giorno, di questa sacra missione, e dopo poco, come è ovvio, va a rimpolpare le schiere degli stronzi e dei venduti. Siano Saviano o Fini, gli Scrittori o l’ultimo magistrato, il penultimo prete sociale o il prossimo giornalista d’inchiesta, c’è l’attesa salvifica di una ‘mossa fine di mondo’ che tagli la testa al problema.
Ecco, questo è esattamente il “berlusconismo”.
Ragazzi, non sarà Bresci a salvarci.
B. non è Sauron.
B. NON HA prodotto questo paese, E’ un prodotto di questo paese, dei suoi flussi profondi, sociali culturali antropologici geografici, che lo attraversano da oltre un secolo e che rimangono non solo irrisolti ma proprio inaffrontati.
Il “berlusconismo” è la scorciatoia.
Che porta dritti dritti contro un muro. Noi, tutti, la stiamo percorrendo, caso mai convinti di essere su fronti opposti, e la buona fede in questi casi serve alla propria coscienza e poco altro.
il “berlusconismo” post-B. potrà essere anche molto peggio della merda di oggi, per quanto facciate fatica ad immaginarlo. Perchè sarà rimozione e archiviazione, ancora scorciatoia, a cui farà immediato seguito il conto, e vedrete che lo pagheremo, che si proverà a saldare con semplificazioni barbare di negazione della convivenza.
Il muro è più vicino di quanto crediamo. La cosa abbastanza terribile, ai miei occhi, è che B. sia l’ultimo collante virtuale che tiene un paese che già non c’è più. Già lacerato, irriducibile e diseguale, frammenti molto difficili da ricomporre.
B. non può fare a meno dell’italia. Il “berlusconismo” sì.
Il “dopo” arriverà rapido, e come sempre ci troverà impreparati.
– Luca, commento alla citata discussione su Giap

NÉ TOPI NÉ DEPRESSI. UN PUNTO REALE SUL QUALE NON RECEDERE

Alain BadiouLacan diceva che l’essenziale in una cura è “elevare l’impotenza all’impossibile“. Se siamo affetti da una sindrome il cui sintomo più importante è un’impotenza effettiva, allora possiamo elevare l’impotenza all’impossibile. Ma cosa significa? Molte cose. Significa ad esempio reperire un punto reale sul quale non recedere, costi quel che costi. Sottrarsi alla trama confusa dell’impotenza, della nostalgia storica e della componente depressiva e trovare, costruire e mantenere un punto reale, che sappiamo di poter tenere fermo proprio perché non si può inscrivere nella legge della situazione. Se riuscite a trovare un punto, di pensiero e d’azione, che non sia inscrivibile nella situazione e che l’unanime opinione dominante considera allo stesso tempo (e in maniera contraddittoria…) deplorevole e impraticabile, ma che voi giurate a voi stessi di tener fermo, costi quel che costi, allora sarete in grado di elevare l’impotenza all’impossibile.
[…] Far questo significa costruire, in seno alla temporalità dell’opinione, un’altra durata… Se si resta prigionieri della temporalità dell’opinione… nella migliore delle ipotesi ci si deprime, nella peggiore si diventa topi. Topo è chi, tutto all’interno della temporalità dell’opinione, non può sopportare d’attendere […] Topo è chi ha bisogno di precipitarsi nella temporalità che gli viene offerta, senza essere affatto in grado di stabilire una durata propria. Trovare un punto significa trovare la possibilità di ammettervi una durata differente. Non essere topi né depressi significa costruire un tempo altro rispetto a quello che ci assegna lo Stato o lo stato della situazione. Un tempo impossibile, ma che sia il nostro tempo.
– Estratto da: Alain Badiou, Sarkozy: di che cosa è il nome?, Cronopio, Napoli 2008.


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