di Marilù Oliva
Sabato 2 agosto 1980, alle ore 10.25, è scoppiata una bomba nella sala d’attesa di seconda classe della stazione di Bologna. L’esplosione ha investito a tuttotondo le strutture sovrastanti, sottostanti, limitrofe e il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il bilancio finale è stato di 85 morti e 200 feriti. Valerio Fioravanti, condannato a 8 ergastoli e a complessivi 134 anni di prigione, dopo 26 anni di carcere per la strage di Bologna e per aver ucciso altre 93 persone, è oggi un uomo libero. Così Francesca Mambro, sua moglie: ha trascorso circa 26 anni in carcere dopo essere stata condannata come assassina di estrema destra ad 8 ergastoli ed altri 84 anni di prigione.
Daniele Mastrogiacomo, in un articolo del 1985, quando la coppia accusata di aver messo l’esplosivo alla stazione di Bologna è stata interrogata, ha fotografato uno spaccato del loro atteggiamento: “Non ho nulla da dire. La frase, secca e monotona, per tre volte è echeggiata in una stanza del carcere di Rebibbia… Per primo è toccato a Francesca Mambro, giovane moglie di Valerio “Giusva” Fioravanti, legati da una tragica esperienza politica nelle file dell’estremismo nero. Entrambi sono accusati di banda armata, associazione sovversiva e strage… Un detenuto loro amico, Sparti… afferma che Fioravanti gli accennò al “botto” alla stazione, dicendogli che si erano travestiti da turisti tedeschi per mescolarsi tra la folla che si apprestava a partire per le vacanze. Sia Fioravanti che la Mambro hanno sempre negato questa circostanza, fornendo un alibi: il giorno della strage erano a Treviso, in compagnia di Cavallini e Ciavardini, altri due estremisti di destra. Francesca Mambro, inoltre, come ulteriore prova, ha sostenuto di aver dormito a casa della madre. L’alibi, secondo gli accertamenti svolti dai magistrati, è caduto… Valerio Fioravanti, anche lui… ha negato ogni responsabilità rifiutando di aggiungere altro.”
(Daniele Mastrogiacomo, Muro di silenzio sulla strage, “la Repubblica”, 15 dicembre 1985, p. 5.)
Alle manomissioni dirette all’informazione, si aggiunga che nelle stragi di questo tipo le indagini, per mancanza di prove, non sono riuscite ad incolpare i mandanti e forse neppure tutti gli esecutori. Tuttavia il processo per la strage di Bologna ha individuato una parte del basamento di una tetra piramide e questa è l’unica strage nera in cui sono stati accertati alcuni responsabili. L’iter processuale è stato lungo e complicato. Alla fine è stata emessa la condanna di ergastolo per Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (Sono stati condannati come esecutori materiali. Il 13 dicembre 2004 la Corte d’Appello sezione minorenni del Tribunale di Bologna ha condannato a 30 anni anche Luigi Ciavardini, ex militante dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) che all’epoca dell’attentato aveva 17 anni. Le accuse sono di strage, omicidio plurimo aggravato, distruzione e danneggiamento. Il giorno 11 aprile 2007 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d’appello), oltre a dieci anni di detenzione (mai scontati del tutto) per Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte per depistaggio alle indagini e per calunnia aggravata da finalità di terrorismo. Il 23 novembre 1995 la Cassazione ha confermato la sostanza del secondo processo d’appello, chiudendo, almeno in ambito giudiziario, le responsabilità degli imputati incriminati.
Mambro e Fioravanti si sono sempre dichiarati innocenti e non hanno aiutato in alcun modo le indagini. Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage, ha denunciato il ruolo negativo assunto dalla stampa a favore della loro incolpevolezza: “È sempre stata messa più in luce, dall’intera stampa, la loro proclamazione di innocenza piuttosto che la loro condanna. Viviamo in un’epoca in cui, se si dice una menzogna per quattro volte di seguito, diventa una verità conclamata” .
Aldo Balzanelli, che ha seguito la vicenda per la Repubblica fin dagli anni della strage ed ha avuto modo di intervistare i due ergastolani nelle pause del processo, ha dichiarato a proposito della coppia: “Durante il processo avevano un atteggiamento molto aggressivo, sibillino e minaccioso. L’impressione era che fossero persone completamente prive di morale. Che non avessero consapevolezza della gravità delle loro azioni. Le legittimavano appellandosi alla giustificazione della giovane età e del periodo storico, ma è una scusante che non regge: fortunatamente milioni di loro coetanei hanno fatto scelte diverse. Avevo la sensazione che vivessero ed agissero seguendo dei canoni morali particolari.” In merito alla loro proclamazione d’innocenza, ancora Balzanelli ha aggiunto: “Credo si gridino innocenti perché la strage è un atto talmente orribile che non è rivendicabile, anche perché sono convinto che la strage di Bologna non dovesse essere di tale portata. Chi l’ha programmata non ha valutato ad esempio il possibile crollo dell’intera palazzina. Ho avuto anch’io, durante l’inchiesta, il dubbio che fssero innocenti e mi sono convinto che siano colpevoli per un motivo molto semplice: qualunque italiano, se interrogato su dove fosse quel giorno, lo ricorda. Loro hanno raccontato tre versioni diverse. Non c’è nulla di più grave da nascondere che una strage che ha provocato un numero così elevato di vittime.”
C’è un filone culturale che tende a voler chiudere gli anni di piombo, che sembra voglia accondiscendere con chi dimostra di essersi redento, concedendogli il diritto di ricominciare la propria vita. Ma al di là di questo si delinea anche una corrente politica che tende a riplasmare dei due più un’immagine di innocenza e contrizione, come Il Giornale del primo agosto 2000, che a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti ha lasciato la parola: “Ci hanno condannato alcuni magistrati in un clima di ‘distrazione’ generale… Il processo è stato fatto male… Si è cercata una verità di Stato, ma un giorno la politica capirà che non può continuare all’infinito a prendere in giro il paese, così come ha fatto con i parenti delle vittime”.
All’interno de la Repubblica si contrastano varie correnti, ad esempio sia Silvana Mazzocchi che Furio Colombo, quando ancora vi scriveva, difendevano le posizioni dei due condannati. Chi li assolve, si appella alla teoria per la quale, dal momento che i due hanno confessato tanti crimini e hanno ricevuto l’ergastolo per tanti omicidi, non c’è motivo per non aggiungervi anche questo. “È una teoria rispettabile” aggiunge Balzanelli “ma spesso fondata sull’ignoranza dei fatti, un’ignoranza giustificata perché la vicenda della strage è di una complessità tale che chi vi si avvicina da lontano dovrebbe dedicarvi almeno un anno di studio. In realtà le prove ci sono, basta avere la pazienza e la voglia di leggersi le inchieste. Anche perché nei confronti di altri sono state pronunciate sentenze di assoluzione, quando non c’erano prove.” Nel corso degli anni sono state analizzate altre facciate della coppia nera: la notorietà l’ha proiettata in dimensioni quotidiane inedite e se questo da un lato ha contribuito a sfumarne l’alone terribile in cui era isolata, dall’altro ha provocato, nelle percezioni altrui, un fatale distacco dalle responsabilità. L’argomentazione più frequente degli innocentisti diventa appunto: “Ma perché non dovrebbero confessarlo, se fossero stati loro, arrivati a questo punto?”
La natura stessa del crimine esclude che possa essere confessato, infatti, se la finalità della strage è destabilizzare l’opinione pubblica attraverso un eccidio indiscriminato e casuale perché essa chini più facilmente la testa di fronte a istanze autoritarie, questo effetto politico può essere ottenuto solo se gli autori non vengono né individuati né puniti (Giuseppe De Lutiis, (a cura di), La strage, L’atto di accusa dei giudici di Bologna, Roma, Editori Riuniti, 1986, p. 9). L’esigenza di coprire gli artefici diviene la logica conseguenza di tale sistema, elemento che ha ripresentato in questo processo, come negli altri di stragismo, il problema dell’interconnessione tra criminalità, istituzioni e personaggi dai profili torbidi, P2 e servizi segreti. L’ideologia che aveva portato all’eccidio doveva essere -nel progetto di mandanti ed esecutori- messa in pratica poi protetta. Perché, come sottolineato dalla Commissione Parlamentare sul Terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi: “…in genere gli autori della strage si propongono l’obiettivo di rendere attribuibile la responsabilità ad altri e cioè o a settori degli apparati che combattono o a formazioni eversive di segno politico opposto. Tutto ciò serve non solo ad individuare la specifica diversità del fatto di strage, ma anche a comprendere perché in ordine ad indagini giudiziarie su fatti di strage non si siano ancora sviluppate le collaborazioni processuali, che invece hanno caratterizzato ormai da tempo le indagini sugli altri episodi di terrorismo. Ed infatti la collaborazione processuale per un fatto di strage presuppone il riconoscimento di una responsabilità che a livello individuale appare difficilissimo sopportare” .
Tratto da “Quel che resta di un giorno”, di Marilù Oliva, all’interno de “I neri e i rossi”, Mirco Dondi (a cura di), Controluce, 2008.