di Vittorio Sergi
“Oso citarvi colui che era ritenuto un grande dittatore, Benito Mussolini. Nei suoi diari ho letto recentemente questa frase: sostengono che ho potere, non è vero.
Forse ce l’hanno i gerarchi, ma non lo so. Io so solo che posso ordinare al cavallo vai a destra o vai a sinistra, e di questo posso essere contento.”
Silvio Berlusconi — “La Stampa”, 28 maggio 2010.
“Non ho il benché minimo dubbio che Berlusconi voglia restaurare il fascismo in Italia. Non è un fascismo come quello degli anni trenta, fatto di gesti ridicoli come l’alzare il braccio teso. Ne ha altri, ugualmente ridicoli. Non sarà un fascismo in camicia nera, ma in cravatta di Armani.”
José Saramago — “El Pais”, 14 ottobre 2009.
In Italia il fantasma e l’aura nefasta del fascismo periodicamente ritornano ad accompagnare i potenti nei momenti di scontro più duro con le forze progressiste e rivoluzionarie. Nella società italiana ma anche in altre società che hanno conosciuto il fascismo storico, l’imposizione del neoliberalismo è stata accompagnata da un ritorno sulla scena pubblica di gruppi e formazioni che si rifanno apertamente al repertorio politico e mitologico del fascismo e che in non poche occasioni si mantengono in un’area di continuità anche biografica con il fascismo storico e la sua declinazione terrorista e para-statale che l’Italia ha conosciuto spesso dal 1968 in poi.
Certamente l’ipotesi di un ritorno del fascismo in camicia nera e con il passo dell’oca, già evocata più volte fin dalla prima legislatura dei triumviri Berlusconi-Bossi e Fini (Chi si ricorda della copertina della “Voce” di Montanelli, di certo non un antifascista, con i tre che fanno il passo dell’oca nel 1994?) serve più che altro a rafforzare altre posizioni autoritarie e populiste, come quelle del partito neo-peronista di Di Pietro e soci, che non a descrivere le caratteristiche politiche, culturali ed antropologiche della destra di governo. Sono in continuo aumento invece i comportamenti e i soggetti fascisti che possiamo ritrovare senza troppo sforzo nella cronaca e nella vita quotidiana, in una diffusione proliferante di quelli che Deleuze e Guattari descrissero come “micro-fascismi”: forme di vita violenta, sadica e risentita nella quotidianità dei rapporti sociali.
Su questo sostrato di rancore e desiderio di nuove gerarchie e barriere, hanno proliferato partiti come la Lega Nord, che ospitano al loro interno correnti o fiancheggiano gruppi che si rifanno apertamente ad una ri-attualizzazione del fascismo storico sconfitto nella seconda guerra mondiale, ma anche potentati legati alla sinistra storica, condotti da assessori alla sicurezza, deputati rampanti o bamboccioni armati di ordinanze e polizie locali. Alla corte dei miracoli di Berlusconi godono di grande fortuna faccendieri e mazzieri legati storicamente al neofascismo terrorista, protagonisti impuniti di una guerra civile strisciante mai conclusa, e infine il “warfare” neoliberista ha riaperto grandi spazi ai nostalgici del militarismo e dello squadrismo come i fratelli La Russa o il leghista Roberto Cota. Quello che è certo è che il fantasma del totalitarismo fascista, della sua mitologia e soprattutto della sua forma di vita, continua ad essere una parte fondamentale della storia e del presente del nostro paese.
La raccolta di saggi L’uniforme e l’anima. Indagine sul vecchio e nuovo fascismo del collettivo Action30 (ed. Actuel, 2009, pp. 320, € 16,00) parte dalla premessa metodologica e dalla assunzione della responsabilità politica e sociale dell’antifascismo come pratica concreta di liberazione individuale e collettiva. In questo senso la ricerca nei campi della filosofia, delle culture e dell’estetica è un lavoro fuori dai canoni delle culture antifasciste classiche e dai cliché retorici che a volte la pratica militante tende a riprodurre. Il testo si svolge secondo due linee narrative intrecciate, quella degli autori dei saggi e quella delle citazioni, che vengono inserite con caratteri e corpo propri nel testo, lasciando spazio a un dialogo esplicito con gli autori citati: Bataille, Littel e Theweleit, Jackson e Pasolini, Foucault, Deleuze e Guattari, Agamben, Eco e Ballard.
L’uniforme e l’anima non è dunque un’inchiesta classica, con nomi, cognomi e indirizzi, lascia questo necessario lavoro di documentazione alla pratica dei militanti sul territorio, mentre il collettivo Action30 si impegna nella verifica di un’ipotesi volutamente paranoica:
“E se stessimo vivendo una strana riedizione degli anni ’20-’30 del secolo scorso? E se ancora una volta, nel processo di sgretolamento della democrazia, l’Italia si ritrovasse in qualche modo all’avanguardia?”. Attraverso un uso sistematico, metodologico, dell’analogia, gli autori cercano l’attualità del termine fascismo per riuscire a decodificare la genealogia delle forme di potere e repressione nel presente.
Le linee di ricerca che convergono su questo punto sono quattro, tante quanti gli autori di questa ricerca. Una lettura delle trasformazioni e dell’attualità dei modelli culturali della soggettività fascista, attraverso un confronto con la letteratura e la critica, svolta da Pierangelo Di Vittorio, una lettura del legame tra fascismo e soggettivazione, tra psiche e collettività che coinvolge Alessandro Manna in un confronto serrato con il fascismo storico attraverso Pasolini, Littell e Theweleit, un’incursione nel terreno della “coppia tremenda” di Deleuze e Guattari per riattizzare il pungolo della critica al micro-fascismo e un ritorno all’imperativo etico dell’anti-fascismo, a partire dal documento esemplare dell’introduzione all’edizione USA del 1977 dell’Anti-Edipo scritta da Foucault. Infine Andrea Russo tenta di riportare queste originali analisi sul fascismo nel calore degli interrogativi più urgenti che stanno oggi alla base dell’agire politico radicale: l’ipotesi sullo “stato d’eccezione” di Agamben e la pratica dell’autonomia come contropotere efficace a partire dall’esperienza delle Black Panthers di George Jackson.
Nel saggio Il Re è altrove: dal “fascismo archeologico” al “nuovo fascismo”, Alessandro Manna, attraverso lo sguardo attonito e penetrante di Pasolini, ritrova il fascismo come filo conduttore e negatività ricorrente e irrisolta della storia culturale e sociale italiana: “Quella del fascismo in fondo è una storia infinita, cominciata decenni addietro e destinata a giocare il ruolo di una costante indiscutibile e rischiosa della vita pubblica italiana. Una specie di essenza tutta nostrana, insomma, con cui non potremo mai sognare di non fare un giorno i conti”. E per questo rivolse anche la sua polemica a Fortini criticando la presunta continuità dello Stato fascista e di quello Democristiano. Pasolini affermava infatti che fascismo e organizzazione totalitaria dello Stato non vanno più necessariamente insieme, ma che un organizzazione politica formalmente democratica poteva essere costruita su basi concretamente fasciste. L’esperienza contemporanea della Lega Nord sembra dargli ragione. Pasolini nel tentativo di comprendere il nuovo fascismo scaglia una critica molto forte contro lo stesso antifascismo rituale, incapace, come gran parte dei comunisti dell’epoca, di capire come il veicolo delle forze reazionarie non fossero i nostalgici della dittatura, ma il nuovo totalitarismo della merce e del consumo.
La citazione di Pasolini arriva a riportare la durissima affermazione presente in Petrolio, secondo la quale: “Non c’è più dunque differenza apprezzabile […] tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili.” Ma questo passaggio oggi può provocare dei dubbi, la società dei consumi e i suoi modelli di omologazione sono entrati in crisi per via di una crescente scarsità di risorse materiali e simboliche e il mito del benessere si è infranto in un presente fatto invece di rischio e sicurizzazione. Nella nostra esperienza quotidiana, i fascisti del nuovo millennio e gli antifascisti sono invece diversi, prima di tutto nel guardare e nel parlare, ovvero nella propria forma di vita, e poi ovviamente nella pratica politica.
Le varie analisi del libro ci portano attraverso le celle della prigione di San Quintino da dove parla Jackson, ai campi di concentramento della Polonia di Littell fino ai manager e alla maschera di Mike Buongiorno, a leggere in maniera trasversale il rapporto tra individui, società e potere in Occidente. E ovviamente a un certo punto siamo condotti a fare i conti con l’egemonia del neoliberalismo: “gigantesca macchina di assoggettamento capitalistico che mette in opera una rete implacabile di sorveglianza collettiva e di auto-sorveglianza che impedisce ogni fuga da questo sistema e argina ogni tentativo di mettere in discussione la sua legittimità politica, giuridica e morale” affermano Negri e Guattari in Verità nomadi, nell’ormai lontano 1985.
Certo esistono sempre delle contro-condotte capaci di negare in un singolo punto o in maniera collettiva e “storica” la validità e la forza di un potere oppressivo:
“A questo fascismo del potere, noi opponiamo le linee di fuga attive e positive, perché queste linee conducono al desiderio, alle macchine del desiderio e all’organizzazione di un campo sociale di desiderio” afferma Guattari in Capitalismo e schizofrenia. Dunque l’antifascismo emerge come un compito storico e militante ma basato in una trasformazione soggettiva e collettiva profonda capace di strappare di dosso le uniformi che vestono i nuovi fascisti di oggi: “La società dei consumi impone una divisa ben diversa da quella dei regimi totalitari del passato […] le reclute del nuovo fascismo indossano liberamente una varietà sconfinata di divise (di modi di vestire e di comportarsi) corrispondenti all’infinito proliferare di miti e di eroi tipico della nostra epoca.” L’uniforme è innanzitutto l’insieme degli abiti e degli accessori che ciascuno di noi indossa, quotidianamente, imitando gli stili, le figure, ovvero i miti e i “modelli umani” dominanti in seno a quel che Barthes ha definito “il sistema della moda”.
L’uniforme e l’anima è un libro ricco ed utile, forse addirittura sovrabbondante per poter essere completamente compreso e utilizzato in modo proficuo da una scena politica antifascista purtroppo spesso bloccata nella ripetizione rituale di formule, slogan e pratiche di auto-rappresentazione. Da un lato la dismissione della retorica antifascista ha portato molte realtà della sinistra antagonista o di governo a sottovalutare e non contrastare efficacemente il consolidamento di bande e gruppi paramilitari di stampo fascista, dall’altra la pratica militante non ha saputo cogliere i cambiamenti laddove il fascismo più duro e più pericoloso aveva cominciato a eccedere i gruppi skinhead per inondare la società ed il senso comune.
Quasi un secolo dopo, L’uniforme e l’anima potrebbe essere messo a confronto con un testo come La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri che, nel 1923, si trovò a dover affrontare il fascismo allora nascente nel suo carattere di mutazione antropologica prima ancora che di strategia politica.
Fabbri lanciò il suo grido d’allarme quando era ancora possibile che la lotta, culturale, politica e militare dell’antifascismo italiano aprisse la strada a un futuro diverso. Oggi, dopo aver letto questa nuova inchiesta, non potremo utilizzare ancora le categorie di fascismo e antifascismo con superficialità e potremo capire che questa volta, aldilà del gioco di analogie, le nostre libertà collettive e la nostra stessa umanità sono in pericolo di fronte alla instaurazione di un nuovo regime di oppressione che si nutre delle radici purtroppo ancora vive del fascismo. Esistono dei segnali positivi, in sintonia con il tentativo del collettivo Action30 di riattualizzare l’antifascismo e calarlo nella profondità del soggetto e delle culture, come ad esempio il Festival delle Culture Antifasciste da poco conclusosi a Bologna, ma di certo anche quell’iniziativa, periferica tanto nello spazio fisico come nella risonanza tra le culture mainstream, ci indica come il percorso per sconfiggere l’egemonia della mentalità fascista nella nostra società sia ancora lungo. Come disse un tale che di fascismi se ne intendeva: “un mostro stava per governare il mondo, i popoli lo spensero, ma non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancora fecondo”. (Bertolt Brecht).