di Alessandra Daniele
[Avvertenza: il titolo non è spoiler, significa necrologio di Lost. La foto non è spoiler, risale alla quarta stagione. Il mio nome non è spoiler, non sono un incrocio fra le Rousseau. L’incipit non è spoiler, è generico. L’articolo invece è spoiler. Almeno quello, e che cazzo]
Sette giorni fa, dopo una lunga e straziante agonia, s’è spento Lost.
Il metaforico ouroboros che si mordeva la coda, un morso alla volta è arrivato alla testa e s’è mangiato anche quella, sparendo con un rutto.
La fine di Lost lascia un vuoto di senso del tutto incolmabile.
Ne danno il triste annuncio milioni di fans per anni devoti, e oggi incazzati come dei metaforici cobra.
SEGUE SPOILER
La prima volta che me ne sono occupata su Carmilla, Lost era ancora una serie di fantascienza in possesso delle sue facoltà. Si notavano già momenti d’assenza, vuoti di logica, sbalzi di trama, ma quale serie non ne ha? Di solito si dà la colpa allo stress, o allo sciopero degli sceneggiatori.
Era appena terminata la quarta stagione, e tutto pareva finalmente avviato verso una soluzione immaginosa ma sensata: anomalie temporali, una ragnatela di crepe nel continuum. A sfidarsi per il controllo sull’epicentro del cronosisma i due volti del potere: quello economico-militare – Widmore – e quello basato sulla manipolazione delle informazioni e dell’immaginario – Ben – a quel punto uno dei migliori villain mai visti in tv.
Già dall’inizio della quinta stagione però, l’esplosione dei sintomi più devastanti: le sottili anomalie temporali di colpo degenerate in una sgangherata giostra di lampi e zompi, il continuum narrativo disarticolato, i due personaggi cardine distrutti.
La sorte migliore è toccata a Locke, strangolato da Ben nella scena che può essere considerata il canto del cigno di Lost. A Ben è toccata la sorte peggiore, metaforicamente eviscerato sull’altare d’una redenzione umiliante e assurda, svuotato dell’essenza stessa del suo personaggio, la conoscenza, mentre Michael Emerson veniva così punito per il suo talento con la retrocessione al ruolo di spalla.
La rovina definitiva, la demenza, è arrivata alla fine della quinta stagione, con l’improvvisa e ridicola materializzazione di Ottusangolo Jacob, e Fumo Cattivo, promosso da antifurto dell’isola a ”demoniaco” antagonista principale.
L’inizio della tragica involuzione da fantascienza a pessima religious fantasy, e d’un grottesco infinito regresso di Porcodeus Ex Machina incastrati a scapocchia nei buchi di trama che ha ridotto tutti i personaggi, vivi e morti, a patetiche marionette.
Per tutta la sesta stagione, Lost s’è trascinato in stato confusionale da una stronzata all’altra, in attesa della fine. Pochissimi i momenti salvabili, dovuti esclusivamente allo sforzo sovrumano compiuto da Michael Emerson e Terry O’Quinn per tirare fuori qualcosa di decente dallo squinternato copione toccatogli.
Il resto, solo un’avvilente brodazza di autoparodie involontarie, bave di telenovela, rigurgiti di peplum mitologico, ridicolo fantasy da Melevisione, deliri da telepredicatore cristianoide.
Fino all’implosione terminale, uno sbracata esaltazione della fede cieca e dell’obbedienza decerebrata, con Jack che s’immola a rificcare il Magico Butt-plug in culo all’isola, e ascende al Paradiso della Luce Smarmellata, lasciando i fans superstiti a dibattere inutilmente su quante delle cazzate inspiegabili viste in questi anni siano state solo una sua allucinazione pre-mortem. Entrambe le (presunte) realtà parallele, o solo la più idiota?
La versione ufficiale è la meno sensata. Questo finale a cazzo di cane sembra piuttosto accreditare la popolare teoria che tutto sia stato solo un sogno di Vincent, il labrador retriever.
In realtà, l’unico a svelarci l’autentica natura del mondo di Lost era stato Henry Gale: “This place is a joke”.
Ci serva di monito.
Qualsiasi serie che cerchi di fidelizzare l’audience accatastando misteri e domande senza risposta va considerata una truffa in larga scala sul modello dei famigerati investimenti piramidali, uno schema di Ponzi, e immediatamente respinta come tale. Nessuno avrà mai le risposte alle domande di Lost, semplicemente perché quelle risposte non sono mai esistite. Il costante accumulo di misteri insoluti e insolubili non era che un artificio narrativo per continuare a espandere la bolla speculativa, fino all’inevitabile, rovinosa bancarotta finale.
La decerebrata involuzione dei personaggi quest’anno ha poi smascherato come ennesima scusa truffaldina anche la tanto millantata dedizione al loro ”sviluppo”, e tutta la sgangherata architettura narrativa è così collassata in un desolante mucchio di macerie.
Ai fans attivi da anni su centinaia di forum resta solo la beffarda consapevolezza che ognuna delle loro teorie, anche la più demenziale, sarebbe stata in grado di fornire a Lost un finale migliore di questa patacca rifilatagli dalla ditta Lindelof & Cuse.