di Alessandra Daniele
Dopo le fucilazioni di fine stagione, i comunisti rimasti nel paese erano solo in tre. Provenivano tutti dallo stesso piccolo partito, I Comunisti Veri, nato da una scissione interna a I Comunisti Più Comunisti di Tutti.
Poco tempo dopo la scissione però, fra due di loro era scoppiata una disputa sul nome del partito: il primo aveva proposto di renderlo più esplicitamente conflittuale, cambiandolo in I Comunisti Veri Siamo Noi, Quelli Lì Fan Cagare. Il secondo s’era opposto, denunciando un inflessione ambiguamente nordista nella seconda parte del nome. Il primo l’aveva difesa, rivendicandola come tentativo di recuperare radicamento nel territorio. Il secondo l’aveva accusato di criptoleghismo. La disputa conseguente aveva portato a un’altra scissione fra I Comunisti Veri e il neo partito I Comunisti Veri Siamo Noi, Quelli Lì Fan Cagare, che contava due appartenenti fra i tre superstiti.
La sera del 24 Aprile Due, data che da qualche anno per decreto aveva sostituito il 25 Aprile, gli ultimi tre comunisti rimasti s’erano dati appuntamento nel garage del primo. Scopo della riunione segreta era tentare una federazione fra i due partiti.
La discussione si accese subito sul primo dei punti all’ordine del giorno, il nome da dare all’eventuale federazione, e presto sfociò in un conflitto fra i due membri de I Comunisti Veri Siamo Noi, Quelli Lì Fan Cagare. Uno fece notare che anche il nome del loro partito sarebbe stato da cambiare, perché la frase Quelli Lì Fan Cagare, esprimendo contrapposizione verso un partito composto da una sola persona, non aveva più senso.
L’altro lo accusò di volere tradire l’impegno antagonista del loro partito. Ne derivò un violento litigio che causò una nuova scissione. Quello che aveva proposto il cambiamento di nome fondò un suo nuovo partito, I Comunisti Di Cui Si Sentiva Il Bisogno, e lasciò il garage in segno di protesta.
Disturbati dal trambusto, i vicini della raffineria di crack all’angolo chiamarono la polizia, che li ringraziò accreditandogli dieci punti Fedeltà allo Stato, e circondò il garage. I due comunisti rimasti si prepararono a resistere all’arresto. Il primo di loro aveva una pistola d’epoca, acquistata insieme agli alti due prima delle scissioni. Il secondo aveva le pallottole.
Il percussore però ce l’aveva il terzo.
I due comunisti rimasti furono arrestati, e pestati a sangue secondo la procedura prevista dal Codice.
La loro fucilazione, ritenuta poco interessante dagli sponsor, non fu trasmessa nella fascia preserale come le altre, ma alle due di notte, dopo la replica di Heroes.
Quella notte l’ultimo comunista superstite organizzò da solo un sit-in di protesta in piazza. Verso l’alba si addormentò. Fu bruciato vivo per accattonaggio dalla polizia.
La portinaia del palazzo dove abitava spedì una lavorante senegalese a sgomberare il piccolo appartamento. Tra le poche cianfrusaglie appartenute all’ultimo comunista, la ragazza trovo il percussore.
E se lo conservò.