di Marilù Oliva
AA.VV., Donne a perdere. Tre romanzi Sabot, a cura di M. Carlotto, E/O, 2010, pp. 435, € 18,00.
Donne a perdere, appena uscito per edizioni e/o, è un’esperienza editoriale di estremo interesse sotto diversi aspetti. Innanzitutto è un volume costituito da tre romanzi sabot redatti da quattro autori (Soluzioni finanziarie di Michele Ledda, Sette giorni di maestrale di Ciro Auriemma e Renato Troffa, Un amore sporco di Piergiorgio Pulixi), in secondo luogo è siglato da Massimo Carlotto il quale, già nella prefazione, propone alcuni spunti di riflessione sul metamorfismo del noir e sulla sua natura incline alla dissidenza: «Da qualche tempo il noir sta dando vita a esperienze che accentuano differenze e punti di vista spesso non conciliabili con la concezione classica del genere. Credo si possa affermare che ormai sia sfuggito a ogni possibilità di catalogazione e che la sua velocità di trasformazione sia tale da aver messo a soqquadro le certezze di molti critici, scrittori ed editori. D’altronde il noir è sovversione per eccellenza.»
Si tratta di un progetto non solo editoriale, ma anche formativo e impregnato di sfumature sociali. Un progetto, quindi, e per spiegarlo parto dal significato etimologico del termine, dal latino “proicio” (deriv. pro+iacere, un verbo che implica un tragitto cominciato e quindi un disegno proiettato nel tempo, un proiectum appunto), un percorso costruttivo in cui, in questo caso, si mescolano l’attenzione di un autore affermato, la volontà di quattro artisti riuniti attorno alla scrittura collettiva di Perdas de Fogu (sempre avviata da Carlotto), l’acribia nella documentazione, l’attenzione verso tematiche scottanti, scomode, petrose.
Il tutto gravita attorno a donne a perdere, donne che si perdono e fanno perdere la testa, che hanno perso molto di sé, ma soprattutto donne perse in meccanismi consumistici, negli antichissimi giochi che da sempre soggiogano gli uomini: sete di potere e avidità di denaro, donne sconfitte dalle bramosie altrui, dagli inganni, dallo sfruttamento. Ogni romanzo affronta un fenomeno criminale diffuso, affonda nei suoi gangli pervasivi, ne svela i meccanismi perversi stampandolo su uno sfondo sociale che abbraccia differenti ceti.
Michele Ledda, in Soluzioni finanziarie, ha affrontato il tema dell’usura attraverso fonti documentali costituite da testi giuridici e sociologici, rapporti annualmente redatti da associazioni come SOS Impresa e da quelle antiracket e anti-usura, da cronaca giudiziaria a livello italiano, da interviste ad associazioni e allo sportello antiracket e antiusura della polizia di Stato e da testimonianze di imprenditori incappati nell’usura bancaria. Così spiega Ledda: «Da circa quattro anni sto seguendo il fenomeno dell’usura perché dalle statistiche formulate circa il bilancio di Mafia SpA è sempre risultata una voce in forte crescita. Allo stato attuale contribuirebbe per circa 30 miliardi sugli oltre 130 complessivi stimati. Non mi interessava il fenomeno dell’usuraio di quartiere o dell’amico di famiglia, quanto quello perpetrato dalla criminalità organizzata, che ha finalità ben diverse. Questa infatti mira a entrare nei patrimoni delle imprese, a impossessarsene per poter controllare il territorio dal punto di vista economico e poter riciclare il denaro sporco. Volevo capire i confini tra l’economia legale e quella organizzata. Esistono casi in cui sono gli stessi bancari che rifiutano i prestiti e segnalano a finanziarie, dietro le quali c’è la criminalità, gli imprenditori in difficoltà economiche. In tempi di crisi le banche hanno ristretto in maniera più forte le possibilità di credito e questo per le organizzazioni criminali è un’opportunità grandissima. Sanno quali sono le imprese in difficoltà, aspettano gli imprenditori fuori dalle banche dove magari gli è appena stato revocato o non concesso un fido. Colletti bianchi insospettabili dietro i quali vi sono strutture criminali organizzate come holding finanziarie. Volevo capire il perché l’usura è un vero e proprio allarme sociale che strozza oltre 200 mila imprese in Italia e il perché nonostante vi sia dal 1996 una legge che ha di fatto trasformato il reato di usura da contro il patrimonio a contro la persona, con in più la previsione di fondi di solidarietà e di prevenzione, le denunce risultino in costante calo. Le lungaggini burocratiche per ottenere il mutuo previsto dal fondo di solidarietà non permettono di aiutare chi si espone con una denuncia, anzi paradossalmente il nemico rischia di diventare lo stesso Stato che sulla carta ti dovrebbe aiutare. La più breve prescrizione in cui è ricaduta l’usura con altri reati, spesso porta chi ha denunciato a ritrovarsi davanti il proprio estorsore, magari dopo che si è aggiudicato una sua proprietà all’asta. Paradossalmente (uso le parole di Tano Grasso) a quella persona converrebbe sottostare al gioco della mafia. Continuare a fare l’imprenditore solo in apparenza stipendiato dall’organizzazione. Alla mafia conviene perché lo tratta come un commesso ma di fatto è lei la proprietaria dell’impresa e ne dispone per i propri affari. L’imprenditore smette di avere problemi, niente più interessi esosi da pagare, anzi… finisce per essere pagato per fare quello che meglio sa fare…»
Ciro Auriemma e Renato Troffa raccontano come sono approdati alla vicenda di Sette giorni di maestrale, dopo essersi a lungo documentati sulla prostituzione invisibile attraverso la cronaca e il web: «Il primo passo lo abbiamo fatto nel momento in cui abbiamo “accidentalmente” saputo che in alcuni locali la nazionalità, il genere e l’età dei dipendenti sembrava suggerire qualcosa di diverso rispetto a una semplice attività di ristoro. La cosa ci ha incuriositi, perché combaciava fin troppo bene con ciò che sapevamo dalla cronaca riguardo alle evoluzioni del fenomeno della prostituzione, e della prostituzione invisibile. Il tema ci interessa particolarmente anche dato il contesto in cui viviamo. L’Italia, in questo momento, attraversa evidentemente un problema di genere che, purtroppo, affligge ambiti diversi, come è sotto gli occhi di tutti. Una volta scoperchiata la mole di documenti che siamo riusciti a raccogliere, l’interesse è andato addirittura aumentando. Questo tema generale si declina però in una dimensione territoriale che non potevamo e non volevamo trascurare. Ed è lì che questi argomenti si sono incrociati strettamente con le dinamiche legate ai traffici illegali e al riciclaggio: contrariamente a quanto si pensi, infatti, la società sarda non è impermeabile agli insediamenti della criminalità organizzata che vede nello sviluppo turistico – prevalentemente di lusso – una grossa opportunità per il riciclaggio dei propri capitali.»
Sempre di prostituzione, ma nella forma di schiavitù sessuale, tratta Un amore sporco di Piergiorgio Pulixi, il terzo romanzo di Donne a perdere.
Una realtà che fatica a trovare spazio sui giornali e quindi a suscitare l’interesse e la rabbia della gente, come spiega l’autore stesso: «Il fatto che molte persone non riescano a vedere la differenza tra una prostituta e una schiava sessuale è indicativo della poca attenzione attorno a questo argomento. Il centro interuniversitario Transcrime, che si occupa di criminalità transnazionale, dell’Università degli studi di Trento, che tra l’altro collabora col Parlamento Europeo sul fenomeno della tratta delle schiave, ha stimato che tra il 2004 e il 2005 siano state trafficate in Italia dalle 18.000 alle 36.000 schiave – di cui almeno il 30% minorenni -, per un introito annuale di circa sei miliardi di euro. Soldi che son finiti in gran parte nelle tasche degli schiavisti. Per avere un’idea del quadro internazionale, invece, l’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, stima che al mondo si trovino in condizioni di schiavitù 28,4 milioni di persone, 1,4 milioni di questi sono ragazze e bambine costrette al mercato sessuale. Sono stime tra l’altro per difetto, perché il fenomeno sotterraneo e mutevole della tratta è assai difficile da monitorare. Sono comunque cifre che fanno inorridire. Eppure non esiste un coordinamento legislativo e operativo tra le varie forze di polizia europee e tantomeno internazionali. E in più, a rendere difficile il compito degli investigatori, c’è il fatto che la prostituzione sta divenendo sempre più “invisibile”, spostando il teatro dello spietato destino di queste ragazze dalla strada ad appartamenti, centri benessere, e altri luoghi chiusi. Questo, aggiunto al fatto che spesso i paesi di origine delle schiave (per lo più paesi dell’est come Albania, Romania, Russia, Bielorussia, Moldavia, ma anche da luoghi del sud del mondo come Nigeria, ecc.) non hanno una legislazione adeguata su questi crimini, e spesso sono infetti da una corruzione istituzionale a tutti i livelli che li vede talvolta collaborare con gli schiavisti, come è stato più volte documentato e denunciato in Albania e Moldavia, rende arduo il lavoro delle forze di polizia e delle ONG che si occupano di tratta. In particolare nel romanzo ho analizzato il ruolo che ha avuto la mafia albanese in questo fenomeno soprattutto negli anni novanta e nei primi anni del duemila. Ora la mafia albanese ha fatto un “salto di qualità” e demanda a consorzi criminali minori il traffico e lo sfruttamento delle schiave, ma ho voluto descrivere i loro metodi di sfruttamento per mostrare dall’interno cosa vuol dire essere vittima di un inferno del genere: le ragazze vengono comprate, vendute e noleggiate come una merce. La loro volontà viene azzerata con continui supplizi e torture fisiche e psicologiche, e in più il fatto che dal nostro sistema giudiziario vengano viste come clandestine, rende il tutto ancora più tremendo e senza via d’uscita.»
La legge complica le cose, continua l’autore: «Se si riuscisse a livello legislativo a colpire in modo massiccio i patrimoni derivanti dal traffico di schiave, queste organizzazioni criminali perderebbero il loro potere, rendendo più semplice il lavoro delle autorità. É difficile. Basti pensare che fino al 2003 non esisteva in Italia una legge precisa contro il reato di tratta, e la pena attuale, dagli otto ai vent’anni di carcere, non prevede pene patrimoniali. Però questo è necessario. Nel romanzo il protagonista si innamora di una schiava albanese, Miriana, e cerca di salvarla dai suoi aguzzini, e questo lo farà incorrere nella furia della mafia albanese che si vendicherà in modo tremendo; ma la storia romanzata di Miriana e di Marcello, il ragazzo innamorato che vuole salvarla, si basa su fondamenta reali, su dati e situazioni oggettive che ogni lettore può verificare. Perché le “Miriana” in questo paese sono tante, tutte accomunate da un destino infernale, e a mio avviso è necessario che si parli di questo fenomeno che nei quotidiani della “civilissima” Italia che è sempre pronta per missioni umanitarie a battersi in ogni angolo del mondo, quando invece chiude gli occhi di fronte a 36.000 donne a perdere che non hanno voce e tantomeno la possibilità di ribellarsi a un destino terrificante che le fagocita nel silenzio generale.»