di Marco Philopat
Nel 2005 era passato nel centro sociale Cox 18 durante la mostra “Beat, Hippie, Autonomi Punk”. Per me lui era ancora il venditore di macchine usate che s’era incassato il grano della commercializzazione del punk. Io ero sempre stato dalla parte di Johnny Rotten, anche durante il lungo processo che si sviluppò attorno allo scontro mitico tra il ruolo del musicista e quello del manager. Eppure Malcolm MacLaren in quel momento era lì a guardarsi i pannelli della mostra, a farsi tradurre i testi che raccontavano anche parte della sua vita. Si era emozionato soprattutto davanti alle foto delle copertine di riviste e libri dell’Internazionale Situazionista e con mio grande stupore si mise a chiacchierare con il mio socio Giancarlo Mattia, soprannominato anche l’avvocato psichedelico, uno dei seguaci più autorevoli del pensiero di Debord e co. Parlarono per più di due ore di mondo-karaoke, di oscillazioni e autenticità. Giancarlo che assomiglia quasi perfettamente a Mr Natural, il personaggio dei fumetti di Robert Crumb, mi chiamò quando arrivarono ai pannelli dedicati al punk che io avevo curato. “È davvero un tipo in gamba il tuo amico!” mi disse Giancarlo toccandosi la sua lunga barba bianca. Mio amico? Non sapevo come comportarmi. Ero finito in uno spazio temporale dominato dalla contraddizione. Fui costretto a parlare di quando da ragazzino vidi per la prima volta i Sex Pistols alla tv che navigavano contro la regina sul Tamigi. Mi lasciai trasportare dal ricordo di me stesso seduto davanti alla televisione nel triste salotto dei miei genitori. Più volte ho affermato che quello fu uno dei momenti fondamentali della mia vita credendo di essere persino originale, per poi piano piano scoprire che a un mucchio di miei coetanei era successa la stessa cosa. Adesso che McLaren è morto mi sono sentito di scrivere per lui una lettera, una sua ultima missiva dalla tomba in cui immagino cosa stia pensando ora dall’inferno o dall’infinito universo, fate un po’ voi.
Fuckin’ hell! Alla fine sono crepato senza riuscire a vendere bene gli ultimi mesi della mia vita. Tim Leary ce l’aveva fatta, s’era accerchiato di amici che gli portavano ogni droga possibile mentre le telecamere spedivano in rete tutto quanto. Lo potete vedere ancora da qualche parte sul web. E di me? Malcolm McLaren, l’inventore del punk, colui che ha fatto diventare gli stili di vita rock la cosa più eccitante in assoluto! Non ci sarà più traccia di me? Vabbè, Tim Leary era già bello vecchiotto e il suo era un cancretto che andava lento. Fuckin’ Hell! Il mio non mi ha lasciato spazio, un fottuto mesotelioma, quello che si prende con l’amianto. Chissà mai dove l’avrò aspirato? Forse me lo metteva a mazzi sotto il letto John Lydon o qualcuno dei suoi sfegatati fan del karaoke. Ma poi che cosa voleva da me quel ex reietto dei bassifondi, dove sarebbe andato quella sottospecie di topo di fogna? Sono stato io a tirarlo fuori dal cesso della storia! Cazzo vuole! D’accordo, era il solito genio della strada come ce ne sono a migliaia in giro per il mondo, ma una buona idea non basta, bisogna anche saperla vendere. Perciò me lo sono preso io l’incarico di essere lo squallido impresario, il manager che si sporca le mani parlando di soldi. D’altronde il Dna del commerciante ebreo ce l’avevo nel sangue grazie a mia nonna che mi ha tirato su, cosa che peraltro mi è stata rinfacciata fino alla nausea. Eppure pochi ricordano la mia prima vita: il glorioso King Mob e l’ambiente situazionista in cui sono cresciuto da adolescente. Studiate un po’ Debord e suoi amici, forse capirete quello che ho tentato di fare fuori dal karaoke in cui io vi ci ho ficcati tutti quanti. Tattiche sovversive per la mobilità sociale, ho portato i più ignoranti ragazzi di strada sul tetto del mondo, li ho fatti sfilare sulle passerelle dei salotti cittadini. Fuckin’ hell! Io, Vivienne e i Pistols eravamo il vertice di un cuneo che si è infilato nel cuore dell’establishment e lo ha spaccato in quattro dando la possibilità al resto dell’enorme triangolo alle nostre spalle di infilarsi nelle vene della buona società come veleno. Una grande truffa che ha aperto i cancelli delle gabbie di periferia. Gli anni Settanta sono stati dovunque un momento magico, irripetibile, in questi trent’anni quelle gabbie si sono richiuse e sono pochissimi coloro che hanno il coraggio di guardare oltre le sbarre. Quelli che avevano la potenzialità per ribellarsi sono stati sedati dalle pubblicità. Io sono diventato il capro espiatorio di tutti i rancori e le frustrazioni che questa chiusura ha generato. Ho tentato di vivere senza quasi mai rispondere alle accuse lavorando costantemente con la musica, i film, l’arte e anche con la televisione, portando il mio contributo alla causa, e credetemi non ho mai indossato l’abito di quel laido personaggio descritto in milioni di commenti.
Ma non mi lamento, sono morto abbracciato alla mia giovane compagna e con i miei due figli accanto. Appena ho saputo del cancro, sono andato in Svizzera a godermela. Dove altro avrei potuto andare? Qui ci vengono tutte le più grandi star dello showbiz. Hanno le migliori droghe per il trapasso, prima la cannabis poi la morfina che ti somministrano in abbondanza. Ma non c’è stato niente da fare, sono crepato lo stesso senza fare il botto. Fuckin’ hell! Ma un’ultima cosa ve la voglio dire. Oggi non si può prescindere da due concetti fondamentali: autenticità e karaoke. Il mondo in cui viviamo non è più reale ma un mondo-karaoke, quindi finto, che per contrasto porta dentro sé un costante e inesauribile desiderio di autenticità. Una volta i centri commerciali avevano sostituito le chiese, adesso l’unica tribù significativa è quella che unisce tutti i 14-24enni. Con la crisi sono la prima generazione non legata allo shopping e dunque impossibile da controllare attraverso il consumo. I loro idoli sono gli hacker, non le popstar. Scaricano la musica dalla rete e modificano i GameBoy per produrre techno a bassa fedeltà. Ecco quale sarà il futuro! Evviva la nuova internazionale situ degli anni dieci!
Basta! Ho finito, magari riuscirò a mandarvi altri messaggi come questo, altrimenti andatevi a sentire una mia canzone, “About Her” che Tarantino ha utilizzato per la scena dello scontro finale di Kill Bill 2, se sarete abbastanza cool e anche un po’ folli potremmo entrare in contatto via subliminale. Addio miei cari antifan!
Ah! Dimenticavo. Ricordatevi che la morte, sì proprio la morte, anche lei è una Grande Truffa del Rock ‘n’ Roll. Fuckin’ hell!