di Marco Meneghelli
Lorenzo Calza, La commedia è finita, Robin Edizioni, Roma, 2009, pp. 323, ill., € 12,00.
La commedia è finita, opera prima di Lorenzo Calza, è romanzo che restituisce in modo semplice e altamente leggibile la costruzione di una trama complessa, fatta di fili che si intrecciano e di nodi che solo alla fine (della commedia) vengono al pettine. Il genere di riferimento è certamente il noir, di autori come McBain e il “nostro” Scerbanenco, ma il romanzo non rimane ancorato solo alla narrativa di genere, avendo una portata più “universale” che travalica i limiti imposti dal genere. Altri riferimenti, altri sottotesti, sono certamente un rinvio ai conflitti familiari tipici delle tragedie shakespeariane, e un respiro narrativo che ricorda uno scrittore come Raymond Carver.
Algo Lenzi, ex-reporter di guerra in pensione, si trova a indagare sulla misteriosa catena di delitti che insanguina una famiglia di ceceni immigrati in Italia. In questa indagine sarà affiancato dall’amico Zambo e dalla moglie Bea. A questa linea narrativa se ne aggiungerà presto una seconda, l’indagine contemporanea di Algo sulla morte del figlio Matteo, deceduto in circostanze non del tutto chiare sul suolo della guerra afgana. Verranno così a intrecciarsi almeno due storie, due indagini, a rendere il fitto intreccio un susseguirsi di delitti inspiegati. Fino alla risoluzione conclusiva.
L’universalità “ultragenere” della scrittura di Calza è data innanzitutto dal tema della sensazione. Calza, qui sta la novità della sua scrittura in uno con il suo stile, è scrittore di sensazioni, molto abile a conferire al testo e a far provare al lettore sensazioni dalle più alle meno intense, in una gamma che tocca pressoché tutti i toni e i colori del sentire. Calza non va letto con la testa ma con lo stomaco, con la pancia.
Una particolarità del romanzo, tipicamente mcbainiana, è l’assenza di un riferimento preciso, una descrizione definita univoca, o meglio un nome proprio, al luogo specifico in cui si svolge l’azione. La geografia è molto presente nel romanzo, ma la città nella quale si svolge prevalentemente l’azione non è mai nominata. Potrebbe essere Genova, città dove l’autore vive e risiede, ma anche no – comunque una città portuale, con tutta la carica evocativa di un tale tipo di città: la nebbia, il freddo, i loschi e luridi luoghi del porto. Mancando il nome proprio della città, mancando il riferimento preciso, tutte le coordinate topologiche interne al testo vengono a dipendere dalla descrizione senza riferimento univoco, dalla abilità descrittiva, dal nome generico (la città), aumentando così la carica evocativa del testo. E anche questa caratteristica contribuisce a universalizzare il carattere del testo romanzesco di Calza. Tale tecnica peraltro non gli è nuova e gli viene molto probabilmente dalla ormai pluriennale pratica di sceneggiatore del fumetto bonelliano Julia, in cui è da notare come la città in cui è ambientata l’azione sia data questa volta da un nome immaginario, Garden City.
Altro tratto che caratterizza la specificità di questo testo è la delineazione di un mondo in cui valori e disvalori sono nettamente tracciati, senza far perdere al romanzo in complessità, nei personaggi, nell’intreccio, nella trama. Si capisce da che parte sta il bene e da che parte sta il male, ma il male viene riguardato con sguardo atto a comprenderlo (la famiglia cecena e altamente criminale dei Noukhaev), e il bene non è mai scontato , è sempre piuttosto una conquista della fatica di vivere (esemplificata dal rapporto tra Algo e Bea Lenzi, i due protagonisti, marito e moglie, con un figlio perduto prematuramente).
Due famiglie, due storie completamente diverse che qui nel romanzo si incontrano e si intrecciano creando, appunto, l’intreccio. Da una parte l’investigatore Algo Lenzi, coadiuvato dalla moglie, lettrice onnivora di gialli e polizieschi, dall’altra i Noukhaev, colpiti da una serie di morti violente, e stavolta vittime e non carnefici, carnefici vittime di altri carnefici, di squali più grossi. Di nuovo fa così capolino il tema familiare del grande commediografo inglese.
La commedia è finita è un romanzo familiare in più sensi, non ultimo in quello di “aria di famiglia”, per il senso di familiarità che si prova nel leggerlo, e quindi di ritrovata dimora e riposo nella lettura: essere e ritrovarsi di nuovo a casa, in questo consiste l’esperienza del lettore.
E non manca neanche un altro senso, “la somiglianza di famiglia” di wittgensteiniana memoria, famiglie così diverse ma in fondo così simili, accomunate dalla sofferenza per la morte di familiari, morte che, essa, non è mai davvero famigliare, ma è irruzione della totale alterità del nulla in un contesto di famiglia. Familiare ma non familista, qui la famiglia è centrale senza essere però elevata a unico valore possibile. Piuttosto essa è luogo e intreccio di relazioni dentro e fuori.
Ottima opera prima, scritta con stile fluido e secco, anticipa, visto che è uscita circa un anno fa, le sensazioni e i temi di un film come Brothers, che le assomiglia per molti aspetti, a partire dal “familiarissimo” titolo. E se Calza sa anticipare sensazioni, trame, eventi (non ultimo, il recente attentato di matrice cecena a Mosca che è in qualche modo prefigurato nel romanzo), significa che c’è stoffa, per cui non possiamo che attendere serenamente e con un po’ di impazienza l’uscita del suo prossimo lavoro, sia esso una continuazione della storia e delle vicende di Algo e Bea o un’opera completamente nuova.