di Marilù Oliva
Il Portavoce era imbarazzato. Non si era mai trovato in una situazione del genere in tutte le sue udienze. La signora Gabbata non si conteneva, inveiva contro la Chiesa, diceva che le avevano rovinato la vita, pretendeva di parlare col Grande Vescovo che, nella stanza attigua, stava in ascolto, orecchio come una ventosa sulla porta serrata. Per questo il Portavoce si sentiva ancor più ansioso: c’era il suo capo, dall’altra parte del muro, e ci teneva a fare bella figura.
«Il parroco del paese ha abusato di mio figlio e il Grande Vescovo non mi riceve neanche?»
«Porti pazienza, signora Gabbata. Non deve ostinarsi contro la Chiesa, abbiamo tante brave persone tra i nostri pastori.»
«Avrete anche dei bravi pastori, ma ce ne sono alcuni marci e voi… voi cosa state facendo? Niente!»
Il Portavoce deglutì e si lisciò la tunica viola:
«Beh, il Papa ha espresso la sua condanna….»
«Sì, a parole! Poi si è scagliato contro l’aborto per distogliere l’attenzione!»
«Ma l’aborto… è un omicidio, signora, mi meraviglio che lei parli così. C’è una creatura, nel ventre, già al momento del concepimento!»
Lei lo guardò torva:
«Perché siete tanto preoccupati per i bambini quando sono a livello embrionale e ve ne infischiate, invece, quando sono nati e stanno crescendo, proprio nel momento più importante?»
Il Portavoce restò di stucco, lei insistette: «Io voglio parlare col Grande Vescovo!»
L’altro appoggiò con lentezza le punte delle dita di una mano a quelle dell’altra:
«Ora il Grande Vescovo è molto impegnato.»
«Ah si? Cosa c’è di più importante di un ragazzino di 10 anni che ha subìto violenze sessuali dal suo prete?»
Il Portavoce era disperato: stava facendo una pessima figura col suo superiore.
«Sssh! Non dica queste cose!»
«Certo, dobbiamo tacere! Silenzio, silenzio e omertà, questa è la vostra tattica! Così avete conservato per diciassette anni il cadavere di una povera ragazza nel sottotetto di una vostra chiesa! Così avete ospitato nelle vostre cappelle le tombe dei criminali! Così coprite i vostri misfatti restando sempre impuniti!»
Il Portavoce si immaginò l’ira del Grande Vescovo, a pochi metri da loro. Avrebbe voluto scappare, non sapeva proprio come cavarsi fuori da quella situazione. Di solito, quando qualcuno gli poneva diplomaticamente domande scomode, lui diplomaticamente non rispondeva. Era sempre tutto molto facile ma ora… trovarsi di fronte a una madre forsennata che esigeva risposte, replicava senza ritegno e lanciava perfino accuse, questo era troppo.
Il Grande Vescovo percepì, oltre la porta, il blocco del suo segretario e pensò che la differenza tra chi comanda e chi obbedisce stava tutta lì. Nella capacità di raggiro.
Era giunto il momento di intervenire. Staccò l’orecchio dalla porta in legno nero intarsiata d’avorio e la spalancò. Apparve alla donna in tutta la sua maestà, la stola porpora che dal collo cadeva ai due lati, il copricapo puntuto in testa con una croce argentea in bassorilievo.
Il Portavoce fece un inchino e si ritirò rapido con la coda tra le gambe. La signora Gabbata stava per parlare, ma lui pose in avanti la mano, sfavillò per ogni dito, pollice escluso, un anellone con gemme incastonate nell’oro zecchino. Poi tese con grazia la mano, un invito affinché la donna gli allungasse la sua.
Ma lei indietreggiò.
«Signora carissima, la ringrazio per questa visita.»
«Grande Vescovo, è successo un fatto orribile, lei deve intervenire, le devo spiegare…»
Lui scosse il capo, la mitria d’argento altalenò da una parte all’altra:
«So tutto, so tutto. A noi arrivano le voci delle pecorelle sofferenti… lei è cattolica, signora Gabbata?»
Gli occhi di lei divennero lucidi mentre la testa annuiva, lui proseguì:
«Sono afflitto per quello che è successo a suo figlio, signora Gabbata. Ma non serve prendersela con la Chiesa. Quello che è accaduto è più grande di noi.» aprì le braccia e alzò gli occhi al soffitto.
«É Lucifero. I nostri preti pedofili sono solo uno strumento del Male. Se noi prendiamo provvedimenti contro di loro o reclamizziamo la cosa, diamo al Diavolo esattamente quello che lui vuole: la discordia.»
Le puntò l’indice al naso: «E lei ora sta facendo il gioco di Satana.»
La donna spalancò gli occhi, lui si avvicinò:
«Se Iddio ha deciso di sottoporla a questa prova, significa che lei è un’eletta. Il Male non arriva mai a caso… Il Signore ha deciso che lei è strumento del Maligno perché lei è abbastanza forte per contrastarlo… capisce? Per non cedere alla sua tentazione. É come se la Grazia l’avesse additata, questo è un grande privilegio, per lei e per suo figlio… suvvia, signora Gabbata…» e nell’esortativo alzò la voce «…Sopporti in silenzio questa prova! Non semini altra zizzania e dimostri che lei è degna di questo compito!»
Il Grande Vescovo le carezzò la guancia col dorso della mano e lei, che già si era raggelata per le parole appena ascoltate, si fece una statua di ghiaccio. Lo assecondò con passo robotico quando lui la indirizzò verso l’uscita.
Aveva capito che ogni sforzo sarebbe stato vano, che il muro di gomma contro cui rimbalzavano logica ed etica era incrollabile, costruito ad arte secolo dopo secolo, esegesi su esegesi, lei poteva solo fracassarvici la testa contro.
Quindi si fece accompagnare alle scale senza proferir parola e, quando voltò le spalle, neppure le arrivò alle orecchie il commiato vescovile:
«Coraggio, Signora! E ricordi: mai cadere in tentazione!»