di Marilù Oliva
C’era un isolotto nel verde cristallo del Mar dei Caraibi.
C’era un’audience che seguiva le disavventure dei naufraghi ridotti a sei, dopo le ultime settimane di eliminazione: l’Opinionista, la Svampita, il Tronista, la Vegliarda e due gemelle siamesi attaccate per la spalla. Andiamo in ordine di fama, giacché l’idea della produzione era di concentrare lì solo chi potesse annoverarsi tra i Vip. Eccoli, i sei concorrenti:
L’Opinionista: divenuto famoso dopo un’animata querelle con una presentatrice, l’Opinionista era un signore sulla cinquantina che si spacciava per tuttologo. Cavalcava una mera illusione: sembrava che sapesse un po’ di tutto perché lambiva con sarcasmo ogni argomento proposto, in realtà non era in grado di approfondirne nessuno, era tutto fumo e niente arrosto, ma la gente era assuefatta a vederlo sugli schermi di svariate emittenti, dove dispensava il suo parere su scandali, catastrofi, ricette. Sulla sua formazione pendeva il buio assoluto ma, allo stato delle cose, si sapeva che non si perdeva un appuntamento della movida milanese, sua città d’elezione.
Il Tronista: damino di compagnia di un famoso talent-scout vizioso da cui era stato nominato “il massaggiatore preferito di piedi”, il Tronista rappresentava il vuoto totale di una certa gioventù di oggi: non sapeva pescare, non faceva domande e non sapeva dare risposte. Però aveva la tartaruga sulla pancia e un allevamento di lumache nel cervello.
La Svampita: dopo diversi tentativi catastrofici di intraprendere una carriera da show girl, aveva capito che l’unico modo per conquistare un po’ di fama era sposarsi un cantante démodé da cui si era — a ragione – liberata al più presto. Camminava con le punte dei piedi sollevate anche quando era scalza e trascorreva le sue giornate in capanna a lisciarsi i capelli.
La Vegliarda: nessuno sapeva quanti anni avesse ma, facendo un breve calcolo sulle sue prime apparizioni televisive, poteva celebrare almeno una scorza ottuagenaria. Assurta alle cronache dello spettacolo per essere andata in deliquio in diretta dopo il falso annuncio della morte del suo yorkshire, vantava una voce da trombone strozzato e un flirt con un celeberrimo regista deceduto vent’anni prima.
Le due siamesi: si chiamavano Mente e Catta. Erano due gemelle monozigote identiche nate separate. Avevano tentato, anni prima, di catturare l’attenzione con una mastoplastica additiva che aveva fatto conquistare loro cinque taglie di seno: erano passate dalla prima alla sesta. Ma dal momento che questa pratica non faceva più scalpore perché abusata anche da parte di giovanissime, erano passate al contrattacco. L’idea, secono loro, rasentava la genialità. Mente aveva lanciato la grande proposta: perché non ci facciamo attaccare per la spalla? Così avevano contattato lo stesso chirurgo che aveva loro gonfiato le tette e gli avevano chiesto questo intervento speciale. Ora qualunque cosa facessero erano spalla cucita a spalla, quindici punti di attaccatura ad oltranza: una doveva partecipare alla vita dell’altra anche solo con la presenza. Mangiavano insieme, si piegavano insieme, se cadevano una trascinava l’altra, si rialzavano insieme, facevano la cacca insieme e dovevano dormire per forza pancia all’insù.
Cosa facevano questi individui in questo sputo di terra e palme? Semplice: assolutamente niente. Non avevano il problema del cibo perché la produzione li aveva forniti di quintalate di alimenti in scatola, con predominanza di fagioli. A parte qualche scarica di dissenteria, i problemi di sopravvivenza si limitavano a ripararsi quando pioveva.
Trascorrevano le giornate a guardare il mare e a lamentarsi del tempo che non passava mai.
Non nascevano flirt, perché gli unici due uomini dell’isola erano disinteressati al gentil sesso.
Non litigavano neppure, una noia inaudita.
Finché un giorno, poco prima che tramontasse il sole, l’Opinionista li radunò tutti a riva e propose un gioco. L’unico cameraman rimasto era curioso di riprendere finalmente qualcosa di diverso, ma l’Opinionista volle coinvolgere anche lui:
«Devi assolutamente partecipare! Non ti preoccupare per la telecamera, posizionala sul cavalletto di modo che riprenda tutto.» poi si volse agli altri entusiasta: «Ragazzi! Sentite… ho un’idea meravigliosa, smetteremo di annoiarci! Vi darò le istruzioni un po’ alla volta… allora, il gioco è questo: per prima cosa ciascuno di voi scaverà una buca profonda poco meno della sua altezza, di modo che, in fila, siate tutti allineati al mare.»
La Vegliarda non aveva sentito perché era un po’ sorda.
La Svampita non aveva capito perché era tra le nuvole.
Le due siamesi fecero di sì con la testa, contemporaneamente.
Il Tronista brontolò che lui non sapeva come si faceva una buca.
Alla fine il cameraman scavò sei buche per tutti.
L’Opinionista acclamò gioioso:
«Bene! Adesso dovete entrare nella buca, faccia rivolta al mare. Poi sarete coperti di sabbia, vi lascerò fuori solo la testa.»
La Vegliarda annuì.
La Svampita divaricò una doppia punta tra i capelli.
Le due siamesi avanzarono di un passo verso la loro cavità, ovviamente doppia.
Il Tronista brontolò che lui non sapeva entrare in una buca.
Alla fine il cameraman lo prese in braccio e lo calò giù. Incoraggiato dall’Opinionista, ricoprì tutti di sabbia, poi si infilò nella sua fossa e se la fece riempire.
Ora tutti e sei erano seppelliti fino al collo. Immobilizzati.
L’Opinionista passò sopra ciascuno di essi e battè coi piedi per pressare bene la sabbia. Poi li guardò soddisfatti e raccolse un sasso di media grandezza:
«Dunque… ora vi utilizzerò come tiro al bersaglio. Ecco, mi metto qui a quattro metri di distanza, vedete?» e tracciò un solco col piede «Non posso oltrepassare questa linea, le regole vanno rispettate. La Vegliarda, che è la prima, vale cinque punti, la Svampita dieci e via via che vi allontanate si aumenta di cinque punti. L’ultimo, più ambito, è l’operatore della camera.»
Il cameraman sbarrò gli occhi e implorò di liberarli.
La Vegliarda non aveva sentito ma cominciava a sospettare.
La Svampita tirava dei potenti sbuffi per spostarsi i capelli dagli occhi.
Mente urlò «Facci» e Catta «uscire!» , chiaramente in perfetta successione.
Il Tronista non sapeva protestare.
L’Opinionista si assentò per mezz’ora e tornò con un secchio pieno di sassi e bastoni.
Si piazzò dietro alla linea e cominciò a scagliare con violenza i pezzi di legno.
Gli altri —tutti tranne il Tronista— urlacchiavano di smetterla.
Il primo tiro andò a vuoto, l’Opinionista era scarsissimo quanto a mira.
Tentò di nuovo e di nuovo ancora. Niente, non beccò neppure la Vegliarda.
Terminò i bastoni e passò alle pietre. Studiò le distanze grattandosi il mento.
Di nuovo lanciò con forza ma inutilmente. Uno, due, tre, quasi tutti i sassi. Giusto con l’ultimo colpì il Tronista al naso, che cominciò a sanguinare.
L’Opinionista si sedette sulla battigia spossato. Gli doleva un po’ il braccio e aveva il fiatone.
Non pensava che fosse così difficile e faticoso, lui era allenatissimo a elargire opinioni, ma quanto ad attività fisiche era un disastro. E, soprattutto, non pensava che fosse così noioso.
Nel frattempo il sole stava tramontando e lui si incamminò verso la capanna.
«Aspetti, signor Opinionista! É freddo di notte sotto la sabbia!» implorò il cameraman.
«Non ci vorrai mica lasciare qui?» domandò la Vegliarda contrariata.
«Almeno mi puoi pettinare prima di andartene? » chiese la Svampita.
Il Tronista non sapeva cosa dire ma sentiva le lumache che gli friggevano nel cervello.
«La prego, ci sono i paguri di notte!» esclamarono Mente e Catta in sincrono.
L’Opinionista si ritirò verso la capanna fingendo di non sentirli.
Il buio calò in un battibaleno e lui si addormentò rinfrancato.
Si svegliò con le prime luci dell’alba: era bramoso di tornare dai suoi naufraghi e di proporre loro un nuovo gioco. Ma quando si alzò e si diresse verso la riva, da lontano si accorse che c’era qualcosa di strano nelle sei teste allineate.
Qualcosa di molto strano.
Tutte pendevano, chi a est, chi a ovest, chi a nord, chi a sud.
Gli stavano facendo uno scherzo, quei birboni?
Stavano forse ancora dormendo?
Non era possibile, il rumore del mare, il giallo arancio dell’aurora erano una sveglia implacabile…
Si avvicinò confuso.
Le sei teste erano delle statue.
Quando arrivò di fronte a loro e bagnò i piedi nelle acque, capì che non stavano dormendo. Alcuni avevano gli occhi chiusi, altri socchiusi, il cameraman sbarrati.
Li toccò uno ad uno per controllare se uscisse l’aria, passò con le dita sotto il naso, sulla bocca aperta, ed ebbe la conferma: non respiravano.
Tentò di drizzare la testa del Tronista, ma questa ricadeva sempre a destra.
Mente era appoggiata con la tempia a quella della gemella, la Vegliarda era tutta protesa in avanti, viso quasi schiacciato sulla sabbia.
La Svampita era sommersa dai suoi capelli, non si distingueva più la parte frontale e l’Opinionista ci mise un po’ ad individuare gli occhi.
Cos’era successo? Corse alla telecamera a infrarossi, che era ancora accesa. Interruppe il REC e mandò indietro per rivedere la registrazione. Quando spinse PLAY ebbe la rivelazione di quello che mai, mai e poi mai avrebbe potuto immaginare.
Di paguri non se n’erano visti. Il problema era che, verso mezzanotte, la marea si era alzata. L’Opinionista vide passo per passo la loro agonia, le onde si infrangevano contro i loro volti atterriti, e loro che scuotevano la testa, si agitavano, sbraitavano il suo nome ma le voci venivano coperte dal fragore del mare, tossivano, sputavano acqua dalla bocca e dal naso, prendevano un respirone prima che li attaccasse l’onda successiva.
La marea si alzava, lentamente, loro sollevavano il mento più che potevano, all’inverosimile. Sforzi vani perché la marea cresceva e li sommergeva del tutto.
Poi, verso le tre di notte, si ritirava silenziosa.
L’Opinionista non provò pietà, solo un’immensa perplessità.
Si sedette di fianco a loro, sul bagnasciuga.
Pensò subito ad autoscagionarsi. Quest’epilogo proprio non poteva prevederlo. Insomma, lui voleva solo giocare, voleva mobilitare quel soggiorno uggioso…
A giorni sarebbe arrivato qualcuno della produzione.
Chissà cos’avrebbero deciso? Rimpiazzarli o sospendere il gioco?
Un bel guaio, quasi tutti i concorrenti eliminati.
E a lui avrebbero semplicemento chiesto la sua opinione?
Questa volta avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di molto interessante, con paroloni ad effetto e grandi giustificazioni per se stesso.
O sarebbe stato squalificato?
Sì sentì offeso dall’ingiustizia e per la prima volta provò un po’ di solitudine: nessuno che ascoltasse le sue opinioni, nessuno a cui magnificare la propria tuttologia.
Passò le ore seguenti guardando il mare, in uno stato catatonico.
Ma tutto era così noioso che nell’arco della notte successiva morì anche lui.
Di noia, naturalmente.