di Marilù Oliva
“I discepoli del fuoco” è il secondo romanzo storico (dopo “Cuore di ferro”, sempre edito da Piemme) di Alfredo Colitto ambientato in una Bologna trecentesca. Ritroviamo Mondino de’ Liuzzi, il Magister anatomista coadiuvato da Gerardo da Castelbretone, suo ex allievo ed ex Templare. Il podestà ha incaricato Mondino di far luce su una morte terrificante su cui pende già il sospetto di maleficio satanico: Bertrando Lamberti, membro del Consiglio degli Anziani e padre di Azzone, nemico giurato di Mondino, è stato ritrovato carbonizzato in casa sua.
Parto subito dai dati tecnici. Come hai proceduto metodologicamente, nel momento documentativo e nella stesura?
Ho seguito la stessa procedura usata con Cuore di Ferro. Un mesetto di ricerche preliminari, in modo da far prendere corpo alla storia, calando la trama nei luoghi e nei momenti in cui doveva svolgersi. Poi ho cominciato a scrivere, anche se la ricerca non era finita. Faccio sempre così, perché a un certo punto ho bisogno di cominciare a “sentire” la storia, di lasciar vivere i personaggi. Quindi, man mano che andavo avanti a scrivere, continuavo a fare un po’ di ricerche specifiche. Per esempio, all’inizio non avevo previsto una scena con la vista di Bologna dall’alto di una torre, né avevo individuato il Chrismon, il Monogramma di Cristo, come un particolare importante. Quando la storia ha preso quella direzione, ho acquisito la documentazione relativa, senza però interrompere la scrittura per più di qualche giorno.
Il fuoco e il suo significato esoterico è il grande co-protagonista che brucia queste pagine. Il fuoco come minaccia, il fuoco come purificazione, il fuoco come metafora. Approfondiamo la sua molteplice valenza?
Il fuoco è uno dei pilastri della storia umana. Senza fuoco non ci sarebbe la civiltà. Il mito di Prometeo appare in varie versioni in moltissime culture. Il fuoco è uno dei quattro elementi che costituiscono il mondo visibile e anche quello invisibile, secondo alcuni. Nel romanzo appare dappertutto, nelle valenze che hai citato e anche in altre, come per esempio il focolare domestico.
Ma come tutti i simboli, non viene mai messo a nudo, altrimenti perderebbe il suo potere e il suo fascino.
Hai inserito il culto di Mitra come elemento nodale del romanzo. Era davvero un culto così importante?
Negli ultimi secoli dell’impero romano, mitraismo e cristianesimo si contendevano il primato come religione più importante. Tra esse ci sono somiglianze innegabili. Entrambe adorano un Dio nato in una grotta il 25 dicembre, tanto per dirne una. La parola “paradiso” sembra derivare dal termine “pairidaeza” presente nel libro sacro dell’Avesta. Eccetera. Poi il cristianesimo ha vinto e ha soppiantato la religione perdente, estirpandone ogni traccia. Io mi sono chiesto: “Cosa succederebbe se in pieno medioevo cristiano riapparisse una setta che si dedica al culto di Mithra, una setta per di più in possesso di un segreto molto pericoloso ?” Così è nato “I discepoli del fuoco”.
Quali sono le differenze tra fondamentalismo religioso cristiano medievale e fondamentalismo del culto persiano di Mitra?
Nessuna. Ci sono ovviamente profonde differenze tra le varie religioni, ma il fondamentalismo per me è sempre uno solo, uguale per tutti. Nasce spesso in un momento di crisi, quando alcune forze religiose o politiche si sentono minacciate dalla necessità di cambiare, e reagiscono arroccandosi in una interpretazione restrittiva dei dogmi propri di una determinata religione. I risultati sono sempre drammatici. Nei secoli passati come nel presente.
Il decesso su cui deve indagare Mondino de’ Liuzzi è inquietante perché sembra che l’uomo sia bruciato dall’interno: «Il braccio destro, intero fino alla spalla ma bruciato come un arrosto dimenticato sulla brace, era poggiato su un bracciolo. I piedi calzati in un paio di stivaletti bassi sembravano illesi, ma le gambe bianche e flaccide da vecchio terminavano sotto il ginocchio in due spuntoni carbonizzati, appiccicati al cuoio, che si era fuso nei punti in cui toccava il cadavere…». Già in “Cuore di ferro” presentavi morti insolite che trovavano infine una spiegazione nell’alchimia. Come hai ideato queste modalità di morte?
In questo romanzo ha un ruolo importante la religione mitraica. Mithra è un dio del Sole e del Fuoco, quindi il modo in cui morivano alcuni personaggi doveva essere attinente. Spesso sono influenzato da cose o immagini che ho visto, e che hanno lasciato una traccia dentro di me. Per Cuore di Ferro si trattava delle “macchine anatomiche” di Raimondo di Sangro, conservate a Napoli. Per “I discepoli del fuoco” la mia immaginazione si è nutrita, tra le altre cose, anche di foto e immagini relative ai cosiddetti casi di “autocombustione”. Che io poi ho calato nella realtà medievale.
Sulla pelle bruciata del braccio del cadavere vengono scoperti i resti di un tatuaggio: un mostro alato, con la testa di leone e il corpo avvolto nelle spire di un serpente. Quanto, durante gli studi, ti sei calato nella simbologia e nei significati medievali?
Nel medioevo il pensiero simbolico era predominante, ogni cosa era simbolo di qualcos’altro. Questi continui rimandi che sfuggono a spiegazioni troppo precise, consentendo al mistero di annidarsi tra le pieghe dei simboli, costituiscono il fascino principale dell’epoca. Ne “I discepoli del fuoco”, niente è come appare. E ovviamente, dietro l’uso dei simboli che faccio nel romanzo c’è un bel po’ di studio appassionante.
Studiando la Bologna del ‘300, qual è la più grande acquisizione cui sei giunto? C’era qualche luogo comune sul medioevo che ti apparteneva e che hai sfatato?
Ho scoperto che i primi decenni del ‘300 presentano molte somiglianze con l’epoca attuale. Il “secolo d’oro” di Bologna è alle spalle, avanza la crisi economica e politica, il libero comune arranca, e si prepara la strada alle Signorie.
Un aneddoto sulla Bologna medievale?
Il romanzo prevede un incendio in cui qualcuno vuole distruggere l’intera città la notte di natale del 1311. mentre scrivevo ho scoperto che un incendio del genere, in cui bruciarono gran parte dei documenti del comune, c’è stato davvero, nel gennaio del 1312, pochissimo tempo dopo la data in cui l’avevo previsto io…
Giocando col titolo, tu di chi sei discepolo?
Come ripeto spesso, sono troppi per citarli tutti. Considero mio maestro quasi ogni scrittore che ho letto, persino quelli che non ho amato, perché mi hanno insegnato quali strade non volevo prendere. Comunque, se proprio devo fare dei nomi, Emilio Salgari, che ho letto da piccolo e che ha fatto nascere in me l’amore per la lettura, e il Gabriel Garcia Màrquez di “Cent’anni di solitudine”.