di Danilo Arona
Ecco come Il Re Stephen King definisce lo Shining nel libro omonimo:
“Sembra che di tutte le brutte cose che sono accadute qui in varie occasioni ne sia rimasto in giro qualche frammento, come ritagli di unghie o la lanugine che qualche persona poco scrupolosa si è accontentata di spazzare sotto una sedia”. Tre righe che Kubrick condensò così nel suo celeberrimo film ispirato a Una splendida festa di morte in questo modo: “Sai, è come quando restano nella macchina dei toast delle tracce bruciacchiate”.
Proviamo allora a pensare non a una Casa-Cosa-Albergo in cui lo Shining si raggruma, si regala una forma e fa danni, ma piuttosto a una Casa-Cosa-Pianeta in qualche modo regolata secondo le teorie (Cwaddingtron e Sheldrake) dei campi morfogenetici che, riducendo all’osso, sostengono l’esistenza di una memoria della natura e che i sistemi della medesima siano organizzati non solo dalle leggi conosciute della fisica, ma appunto da sistemi invisibili detti “morfogenetici”.
Il biologo inglese Rupert Sheldrake propose l’idea dei campi morfogenetici (dai termini “morphè, forma, e “génesis”, processo del generare) nel libro A New Science of Life, campi “informativi” che in altri ambiti sono detti anche Matrix, Reticolo di Akasha, Anima Mundi, Anima collettiva e Inconscio collettivo (con estensioni concettuali anche al noto concetto junghiano di Sincronicità).
Così dal sito www.riflessioni.it:
«Sulla base delle ricerche di Douglas Mac Dougall dell’università di Harvard, Sheldrake sostenne l’ipotesi di forze immateriali che sarebbero generatrici della forma in seno alla materia. L’ipotesi morfogenetica, provata scientificamente nel 1998, presuppone l’esistenza di una memoria collettiva diffusa in tutto l’universo, indipendente dal supporto cerebrale e tale, quindi, da sopravvivere alla morte. Per questa loro natura i campi di risonanza morfica, portatori di memoria, sono retti da leggi che si sottraggono allo spazio-tempo, richiamando piuttosto quelle dell’affinità e delle corrispondenze: “tra organismi esiste un misterioso collegamento di tipo telepatico, oltre la dimensione spazio-temporale”. I campi possiedono una memoria intrinseca (individuale e collettiva), si basano su ciò che è accaduto in precedenza e sono portatori di abitudini e caratteri ereditari. Ogni livello di organizzazione possiede un proprio campo morfico: la collettività, i singoli esseri viventi, gli organi. Sheldrake ritiene anche che i campi morfici di ciascun individuo sono in collegamento con quelli di tutti gli altri individui. Ogni pensiero è energia e come tale viene ancorato in questi campi elettromagnetici di memorizzazione. Così avviene anche per qualsiasi “azione” o “avvenimento”. Ciò significa che in essi si trova ancorato e memorizzato tutto il sapere dell’umanità fin dalle origini e che caratterizzano e influenzano tutte le forme fisiche e persino il nostro comportamento. Le cose che impariamo, pensiamo e diciamo influenzano anche gli altri per mezzo della risonanza morfica. Le più recenti scoperte della biologia sembrano convalidare l’ipotesi di un meccanismo per cui energie “ordinatrici” ancora sconosciute operano sulla materia organica, organizzandola e promuovendo gradualmente in essa la Coscienza. Quest’ultima è presente, a diversi livelli, in tutta la sostanza dell’universo; si sviluppa gradualmente nel corso dell’evoluzione, nei passaggi attraverso il regno minerale, vegetale, animale; nell’uomo, sintesi di tale lungo processo evolutivo, raggiunge, nel nostro Pianeta, il suo livello più avanzato. Il che riporta all’equivalenza tra energia e materia; ogni sostanza visibile è energia condensata, ossia energia a stadi vibrazionali più bassi rispetto allo “spirito”; solo a queste condizioni tale energia può manifestarsi concretamente nello spazio e nel tempo e permettere l’esistenza di forme di vita percettibili così come noi le conosciamo. Tra materia e spirito vi è quindi solo una differenza di vibrazione; sta all’uomo “spiritualizzare il piano fisico”.»
Tutto questo comporta ovviamente una duplice ricaduta. L’una in positivo, che sembrerebbe far capo al succitato progetto globale di spiritualizzazione del piano fisico. L’altra, di segno contrario, che si rifà all’esistente e che si presenta come la concretizzazione materiale di una teorizzazione metafisica che proposi qualche tempo fa in un’intervista a Thriller Magazine, ovvero: “… la gigantesca, immane cupola energetica di paura (intossicante spazzatura in forma larvale) che abbiamo creato addosso al pianeta e che a sua volta ricicla l’angoscia di chiunque…”. Un’ottima ri-definizione di questo nebuloso concetto l’ho trovata all’interno del blog Zret.blogspot.com alla voce “Tanatosfera” e val la pena di riportarla per intero:
«La biosfera è quel sottile involucro, comprendente parte della litosfera, dell’idrosfera e dell’atmosfera del nostro pianeta, in cui nascono e si sviluppano le varie forme di vita vegetale ed animale. Tuttavia, mai termine mi è sembrato meno appropriato per indicare una realtà diametralmente opposta. Infatti, anche se prescindiamo dalle carneficine, dalle guerre, dai massacri che insanguinano e insanguinano la Terra, dai milioni di animali sacrificati un tempo sugli altari degli dei, oggi sulle mense di un’umanità vorace, anche se cerchiamo di dimenticare che la vita, pure quella di un semplice filo d’erba, si alimenta della morte, anche se chiudiamo gli occhi per non vedere che le splendide meraviglie della natura sono soltanto un sembiante su un volto putrefatto, come non avvertire che, come disse qualcuno, la Terra è l’inferno di un altro mondo? Siamo invischiati in una ragnatela magnetica. Energie invisibili, ma negative ci compenetrano. Il cielo è opaco, il sole pallido ed esangue, l’acqua è amara, il suolo avvelenato. Spesso sono sensazioni indefinibili, sfuggenti, ma che ci lasciano con uno strano, immedicabile malessere. Qualcosa non quadra: si ha l’impressione di vivere in una discarica da cui esalano miasmi di pensieri ammorbanti. I salmi biblici che celebrano la divina bellezza del creato, sono un’eco lontanissima. Questa non è la biosfera, l’ambiente della vita, ma la Tanatosfera, lo spazio della morte.»
L’intuizione di chi ha scritto queste righe preziose è notevole. Il pianeta è infestato, non soltanto a livello fisico (ovvero inquinato). Ma soprattutto sul piano sottile. Come accade, appunto, per le haunted house, ovvio per chi ci crede. Tentiamo di proseguire per accostamenti analogici.
Nella cultura sciamanica degli Shuar, popolo nativo dell’Amazzonia occidentale dedito a una religione animista che pratica la stregoneria e attende il diluvio universale (per paradosso non così lontana da noi…), oltre all’anima ordinaria, chiamata nekàs wakàn (anima vera), che ci accompagna fin dal principio e con cui ci si identifica, ce ne sono altre due che si creano in determinati momenti della vita. Una è chiamata arùtma wakan e la si crea durante un rituale, e ne parleremo in altro momento. Quella che qui c’interessa è la muisak, l’anima-ombra-immagine, che si genera poco dopo la morte, se la persona è stata uccisa in modo diretto, indiretto o colposo. E’ un’anima di vendetta, una forma-pensiero energetica che ha sete di sangue e vaga in cerca di compensazione e tenta di uccidere a sua volta. Questo tipo di spettro vendicatore è noto in tutte le culture sciamaniche ed è uno spirito “infestatore” ad esempio dei luoghi in cui sono avvenuti crimini solitari o massacri di massa. Come ci ricorda Elisabetta Conti (Viaggio sciamanico, Biolcalenda n. 8, Padova. 2009), “non si tratta di anime complete, ma di entità che non possiedono ricordi oltre quello della morte e che sono gravide di sofferenza e di odio, con quasi nulla in comune con l’indole e l’anima vera del morto”.
Scordiamoci intanto di trovarci dalle parti di qualche horror giapponese, laddove spettri furiosi del genere chiamansi “Onryo”. Qui non cavalchiamo la fiction (per quanto in questi casi la fiction attinga generosamente da scienza e parascienza), ma piuttosto tentiamo di muoverci tra fisica e antropologia, in territori borderline in cui può essere logico sospendere la definizione sulla zona di competenza (un mio grande amico, scrittore altrettanto grande, la chiamerebbe Zona Zero…). Però le collisioni e gli accostamenti, mi pare, si manifestano con chiarezza agli occhi di chi vuol vedere. Se nella “Tanatosfera” persistono tracce energetiche di morte, in che razza di posto stiamo tentando di vivere? “Cosa” percepiscono migliaia e migliaia di Renfield-sensitivi da mesi e mesi a questa parte? Cosa significano — o meglio, comunicano — centinaia di sogni condivisi che si basano tutti su poche immagini che ritornano puntuali (potrei evitare di citare l’Onda, ma ci stanno pensando peraltro i Telegiornali…)? Quanti Danny Torrance stanno camminando per le leys del pianeta e captano immagini emotivamente destabilizzanti?
Termino con un fatto di cronaca, uno dei tanti del genere, poco noto ma che “parla”. La scorsa estate, in provincia di Gorizia. In un paese dal nome strano, Doberdò. Il 4 luglio l’infermiera Annamaria Ferletic di 51 anni accoltella il figlio Christian e poi si suicida, tagliandosi l’arteria femorale. Tredici giorni dopo Kevin Ponzetta, 17 anni, corre in moto con l’amico Michele Visintin sulla provinciale 15. Di colpo uno schianto: Kevin muore e, da lì, a qualche giorno, lo zio di Michele si suicida. Troppe tragedie per un posto tanto piccolo e in un lasso temporale così ristretto. Però, in quel paese di 1400 abitanti, è impossibile non annotare che tutte le persone coinvolte in questa catena avevano a che fare con la stessa casa: una palazzina di due piani, accanto a una chiesa, in piazza San Martino 9. Coincidenze, naturalmente. Casi del genere, personalmente, ne ho seguiti almeno una dozzina. E di qualcuno ho anche parlato qui su “Carmilla”. Ma, nei territori della Luce Oscura, non può passare inosservato che esistono frammenti di Tanatosfera infetta. Laddove tracce bruciacchiate o raggrumate all’improvviso acquisiscono il potere di aggredire e di scardinare esistenze che gravitano in certe zone.
Zone Zero?