di Tommaso De Lorenzis (da L’Unità del 21 febbraio 2010)
Walter Tevis, Il colore dei soldi, Minimum Fax, 2010, pp. 332, € 13,00.
Un tempo Eddie Felson era il miglior giocatore di biliardo a buche d’America. Lo chiamavano Fast Eddie, lo Svelto. Non era stato semplice arrivare lassù, sulla “cima della piramide”. A Chicago aveva rimediato una sonora lezione dal mitico Minnesota Fats, il professionista obeso dallo stile impeccabile. In un localaccio aveva ripulito i gonzi sbagliati e l’eccesso di spocchia gli era costato entrambi i pollici.
Poi aveva saputo rialzarsi. S’era guardato il fondo dell’anima ed era tornato da Fats: questa volta per vincere. Giocavano forte. Anche per quaranta ore di fila. Cinquecento, mille, cinquemila bigliettoni a partita in un rilancio al massacro.
Erano le leggi dell’universo, epico e outsider, che lo scrittore Walter Tevis aveva immortalato nelle pagine di The Hustler (1959), plasmando Eddie come un novello confidence man in via di redenzione e alla disperata ricerca delle risposte giuste. Il regista Robert Rossen girò un film. Paul Newman ci mise la faccia. E da quel momento Felson entrò nella leggenda.
Adesso, lo Svelto è tornato. Dopo la ristampa de Lo spaccone, minimum fax ripubblica Il colore dei soldi, il sequel che Tevis diede alle stampe poco prima di morire e che Scorsese portò sul grande schermo in una versione tanto disinvolta quanto banale. Siamo nel 1983, agli inizi dell’era reaganiana. Gli strascichi della crisi economica si percepiscono ancora. A Lexington, nel Kentucky, un cinquantenne sta per cambiare vita. Per vent’anni ha gestito un’anonima sala biliardi, imprigionato in un matrimonio senza amore e in una routine piccolo-borghese. Se n’è rimasto seduto sul suo talento, rinunciando a fare l’unica cosa che sa fare davvero. Giocare a biliardo, ovviamente. E dunque ecco Eddie che si rimette in pista. In fondo non è cambiato. Un cuore traboccante di dubbi continua a battere sotto la ruvida scorza del duro. Vorrebbe vivere come quando aveva trent’anni, come in una partita a biliardo, imbucando e passando da una donna all’altra.
Ma non è facile. E infatti, come ricorda Gian Luca Favetto nella bella introduzione al volume, si tratta di «una questione di vita o di morte». Quindi c’è un unico luogo per risolverla: su quel rettangolo verde che ha lo stesso colore dei soldi. Felson ricomincia per caso, coinvolgendo il vecchio Minnesota in una tournée televisiva dedicata ai campioni del passato. Fast Eddie e Fats di nuovo insieme. Lo Svelto e il Ciccione, i cui soprannomi sono legati dall’inversione di una consonante. Forse sono le due facce della stessa medaglia. O gli angoli opposti d’un biliardo. E proprio l’avversario di un tempo gli ricorderà quant’è importante crederci sempre.
Le cose, però, sono cambiate. Ora si gioca “alla nove”. Ora, è una leva emergente di giovinastri, imbottiti di coca e pasticche, a mandare in buca tutte le palle. Per vincere l’ennesima sfida, Eddie dovrà attingere all’inesauribile forza che gli ha permesso di tirarsi su dopo ogni caduta, scrollandosi di dosso la stramaledetta paura di non farcela.
Con le avventure di Felson, Walter Tevis ha denudato — nelle rocambolesche traiettorie della metafora — lo spirito d’oltreoceano, evocando il gusto dell’azione, la mistica della «stoffa giusta», la sostanziale identità tra libera iniziativa e gioco d’azzardo. Ma non s’è limitato a questo. Ha dimostrato quant’è sottile la differenza tra perdenti e vincenti, perché nessuno è davvero imbattibile. Ed è a questo punto che viene in mente la massima dell’America tosta, incrollabile, democratica: «Non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi».