di Nicole Mistroni
Gianni Biondillo, Nel nome del padre, Guanda, Milano 2009, pp. 193, € 14,50
«Fuori è Natale e noi lo sappiamo dalla confusione, dalle luminarie. Fuori però. Qui, in questa casa desolata, c’è solo un uomo umiliato».
È la Vigilia di Natale, e mentre tutti celebrano la festività più attesa dell’anno tra regali e riunioni di famiglia, Luca è solo, abbandonato sulla sua poltrona, in mano solo una bottiglia di liquore. C’è silenzio nel salotto, c’è desolazione e la percepiamo dal modo in cui Luca guarda nel vuoto, si alza, barcolla verso la credenza alla ricerca di una nuova bottiglia da svuotare.
Ma Luca non è sempre stato così, e Gianni Biondillo, l’autore di questo libro tanto drammatico quanto coinvolgente, ci cala nella sua storia, tornando indietro nel tempo a quando la famiglia di Luca era ancora unita.
Si, perché Luca una famiglia l’aveva, con Sonia, sua moglie, e Alice, la loro bellissima bambina. Sfogliando le pagine il lettore vive la storia di questa famiglia in ogni sua fase: il primo incontro di Luca e Sonia, la nascita di Alice, la fine del matrimonio, non necessariamente in questo ordine.
Cosa accade in una famiglia quando le cose non vanno più? Cosa cambia all’interno di una coppia? Ma soprattutto, chi ne fa le spese? Gianni Biondillo con questo libro sviscera una tematica raramente trattata in precedenza: il divorzio visto dalla parte di un uomo e soprattutto di un padre. «È il racconto di una guerra privata», ha spiegato lo scrittore, «e come in ogni guerra chi ci va di mezzo è, soprattutto, la popolazione civile, in questo caso i figli»: a seguito del tramonto del matrimonio di Luca e Sonia infatti, Alice comincerà ad avere un rapporto sempre più distante con il padre, disorientato quanto la figlia dalla situazione paradossale in cui si troverà catapultato.
Le controversie legali a cui va incontro Luca, per poter anche solo vedere la piccola Alice, sono improponibili e spesso assurde, le porte in faccia sono all’ordine del giorno, e le mani costantemente legate. Il protagonista vive una situazione angosciante, in cui ciò che dovrebbe essere un diritto diventa una concessione, in cui l’unico modo di rialzarsi è unirsi a chi è nella sua stessa condizione: è così che Luca diventa un punto di riferimento al consultorio di un’associazione in sostegno ai genitori non affidatari, dimostrando più che in ogni altra occasione, che l’unione fa la forza o che per lo meno può dare un grande sostegno morale. E gli amici? Il più caro amico di Luca è Michele, un agente di polizia che i lettori affezionati di Biondillo non faticheranno a riconoscere, il cui sostegno sarà fondamentale nelle situazioni di schizofrenia e psicosi che il protagonista vivrà; anche lui è padre, anche lui divorziato, e a lui sono affidate alcune delle righe più toccanti di tutto il libro. Dall’altra parte c’è Sandro che di figli sembra non volerne sapere, l’eterno ragazzino, il costante don Giovanni, un amico su cui tutto sommato Luca sa di potersi affidare più per una risata che per una reale consolazione.
Gianni Biondillo scrive questa storia con particolare umanità, mettendo sotto il microscopio la condizione di un uomo abbandonato in una situazione più grande di lui e facendola vivere al lettore che viene subito, dalle prime righe, straordinariamente coinvolto: prova nervosismo, dolore, e un senso di impotenza insieme al protagonista. I salti nel tempo all’interno del romanzo non risultano disorientanti, al contrario il lettore si cala di volta in volta nella situazione descritta, come ad unire le tessere di un puzzle il cui assemblaggio chiarisce la storia tra Luca e Sonia.
Nel nome del padre, oltre ad essere un libro emotivamente trascinante, sottolinea volutamente una falla legislativa parzialmente coperta nel 2006, per cui la tutela dei diritti dei genitori non affidatari, risultava totalmente superficiale e irrispettosa della pari dignità dei genitori separati. In ogni sua intervista, l’autore ci tiene a sottolineare ironicamente: «a casa va tutto bene, questa non è la mia storia», ma è la storia di tanti uomini come Luca, che “bussando alla porta” di Biondillo ha chiesto di essere raccontata; «non è un libro contro le donne», aggiunge l’autore, «è un libro sull’esercizio dei micropoteri quotidiani» da cui la figura femminile non esce in alcun modo condannata (prova ne è ad esempio che l’avvocato di Luca sia una donna). A tenere alto l’onore femminile è soprattutto Gabriela, personaggio in cui tante lettrici di Biondillo hanno ammesso di essersi identificate: una ragazza sudamericana che sa il fatto suo, con una grande forza e determinazione nel prendere in mano la propria vita e nell’essere indipendente senza contare sull’aiuto di nessuno, e con la pazienza e i nervi saldi di chi si è fatto in quattro per ottenere ciò che ha.
Questo libro non ha accusatori e accusati, non vi presenta modelli prestabiliti, classificazioni sessiste o politiche, ma realtà quotidiane che spesso non vengono mostrate; anche per questo motivo Biondillo spiega nella nota iniziale di aver deciso nelle revisioni successive del romanzo di non inseguire la cronaca ma di raccontare una storia che aveva in testa da anni, e ricorda: «io comunque non faccio sociologia, ma racconto storie».
E dopo aver letto Nel nome del padre potremmo aggiungere che lo fa ancora molto bene.