di Andrea Fumagalli e Stefano Lucarelli
[In occasione dell’uscita del volume di André Orléan, Dall’euforia al panico Pensare la crisi finanziaria e altri saggi (Ombre Corte, Verona 2010, pp. 160, € 15,00) anticipiamo parte dell’introduzione]
1. André Orléan è uno degli scienziati sociali più interessanti nel panorama attuale. Le sue ricerche e i suoi interventi pubblici appaiono svincolati dalle costrizioni cognitive che oggigiorno contraddistinguono gran parte delle posizioni assunte dagli economisti; sono infatti caratterizzati da rigore argomentativo, rilevanza, autonomia e capacità divulgativa. Tuttavia i suoi studi sono scarsamente noti agli scienziati sociali italiani.
Pare dunque utile accompagnare ai quattro testi qui raccolti – tutti molto recenti e tutti dedicati a pensare l’attuale crisi finanziaria – un’introduzione in cui cerchiamo di tracciare il percorso di ricerca che Orléan ha seguito a partire dagli anni Ottanta; una ricerca che ha i propri punti cardinali nei concetti di incertezza, mimetismo, convenzione e autoreferenzialità dei mercati. Si tratta di concetti-limite per la scienza economica che, nella sua accezione ortodossa, riduce l’incertezza al rischio probabilistico, risolve i problemi di comportamento degli agenti affidandosi all’individualismo metodologico, si concepisce come una scienza che deve decidere dell’allocazione di risorse scarse per fini alternativi, e tratta il mercato come un luogo al di fuori del tempo storico in grado di individuare i valori di equilibrio necessari affinché tutti gli scambi giungano a buon fine (salvo imperfezioni). Ma si tratta anche di categorie invise ai critici della scienza economica: coloro che hanno nella “oggettività spettrale” degli schemi sraffiani il loro riferimento primo si trovano a disagio dinanzi ad una teoria che comporta un’analisi dei comportamenti soggettivi; gli economisti politici critici che partono da Marx non sono invece disposti a ripensare l’analisi marxiana della forma-valore e il concetto di classe sociale secondo le indicazioni dello scienziato sociale francese.
2. L’ambiente culturale in cui Orléan si muove è principalmente quello della così detta scuola della regolazione francese: egli condivide con i regolazionisti la consapevolezza che i rapporti sociali non sono legami virtuosi e mutuamente vantaggiosi tra soggetti razionali, ma separazioni, dunque pone l’attenzione sulla trasformazione delle separazioni che caratterizzano le diverse forme istituzionali. Eppure egli mantiene una sua atipicità rispetto all’approccio regolazionista. I riferimenti primi di Orléan sono luoghi distanti dall’economics e, in alcuni casi, molto discussi anche nell’ambito delle scuole economiche eterodosse: per quanto attiene i concetti di incertezza e convenzione egli attinge a piene mani da quelle parti dell’opera di John Maynard Keynes che non sono riducibili al keynesismo bastardo; per quanto attiene il concetto di mimetismo, il riferimento è costituito da La violence et le sacre, l’opera più discussa di un antropologo critico e criptico, René Girard; per quanto riguarda l’autoreferenzialità dei mercati si tratta dei moderni studi sulla finanza comportamentale.
Dinanzi all’incertezza sistemica, una convenzione fornisce un sistema di valutazione a priori, indica pertanto l’insieme di regole sociali che introducono un grado significativo di omogeneità nei comportamenti dei soggetti. Questo è un punto fondamentale nella comprensione di un’economia monetaria di produzione: bisogna comprendere l’evoluzione delle logiche finanziarie che trasformano il sistema economico, e le crisi che possono colpirlo.
Non è detto che la convenzione che si afferma risponda ad un modello epistemico corretto, cioè che essa rappresenti correttamente la realtà. Tuttavia l’affermarsi di una convenzione diffonde un sistema di valutazione che può agire sulla realtà fino a trasformarla. Si tratta infatti di una sorta di cecità collettiva che unifica la comunità degli operatori e che può garantire una certa stabilità al sistema di valutazione. Detto in altri termini, la stabilità a livello macroeconomico dipende dalla convenzione prevalente. Laddove la convenzione viene meno, sorge la paura che può condurre al panico (alla perdita del senso), sino alla disgregazione della comunità.
Quando si ha paura aumenta il desiderio di detenere una forma specifica di assicurazione contro l’incertezza, aumenta cioè il desiderio di detenere ricchezza astratta, liquidità. Sin qui Orléan assimila l’insegnamento di Keynes: «Il nostro desiderio di detenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro […] Esso subentra nei momenti in cui le più superficiali, più instabili convenzioni si sono indebolite». Tuttavia egli va più in profondità e si interroga sugli arcani che tengono insieme una società: infatti la moneta deve essere socialmente riconosciuta.
Dinanzi alla moneta Orléan si pone un problema antropologico; non si limita ad analizzare le paure che sorgono nel capitalismo, ma guarda alle paure primordiali: cosa ha condotto gli uomini a ricorrere alla moneta? In che senso la moneta può unificare una comunità di uomini? Per poter evitare il caos è necessario individuare un concetto di ricchezza che abbia per tutti la stessa validità. In assenza di questo punto fermo, gli uomini si affidano al mimetismo: la razionalità mimetica è tipica di quegli individui che ricercano una forma di ricchezza assoluta (la liquidità assoluta che consente di negoziare in una situazione di massima incertezza). Il comportamento mimetico spinge ogni uomo a volersi impadronire di ciò che l’altro riconosce come prezioso: «Desiderando questo o quell’oggetto, il rivale lo indica al soggetto come desiderabile. Il rivale è il modello del soggetto, non sul piano superficiale dei modi d’essere, delle idee, ecc., ma sul piano del desiderio». Dalla teoria del mimetismo di Girard trae forza la tesi che Orléan sostiene in diversi scritti con Michel Aglietta: l’imitazione generalizzata converge verso una credenza comune su cui può costituirsi la liquidità assoluta (teorema girardiano fondamentale).
Quindi la stessa moneta — legame sociale primordiale delle società mercantili — è il risultato di un processo cognitivo collettivo. Ne consegue che non si può elaborare una teoria della moneta a partire dal concetto di valore, poco importa se tale valore è riferito all’utilità o al lavoro sociale astratto; ciò che conta è il desiderio unanime di ricchezza astratta che dà potere di negoziazione e che precede il valore delle cose. Tutto ciò si fonda sul mimetismo: solo il comportamento mimetico conduce ad individuare una moneta. La moneta sorge allora in quanto espressione dell’essere insieme che caratterizza un gruppo, essa è l’espressione della totalità sociale. Da essa dipende la stabilità di una società mercantile. La mediazione monetaria produce uno spazio comune di valutazione e di regole permettendo gli scambi e fungendo da guida nell’attività produttiva dei privati. «È l’adesione unanime a questa mediazione che costituisce la comunità mercantile in una società stabile». Il valore emerge, imponendosi ai soggetti nelle relazioni che essi pongono in essere, solo attraverso la moneta.
3. Dunque la moneta diviene strumento di controllo dei conti perché essa è espressione antropologica di un desiderio assoluto. Essa permette di mediare i rapporti di scambio dal momento che è unanimemente accettata. Perché ci sia moneta deve allora essere già stato risolto il problema della violenza reciproca, deve essersi affermata una violenza fondatrice. In altri termini la moneta procede da una sovranità.
Tuttavia Orléan è attento all’evoluzione storica delle strutture sociali ed è consapevole che le dinamiche tipiche del capitalismo non si fermano alla liquidità assoluta: innanzitutto occorre riconoscere che in un’economia monetaria di produzione le attività imprenditoriali comportano l’accensione di debiti. Gli istituti di credito concedono alle imprese il denaro necessario a finanziare la produzione, per permettere innanzitutto di pagare i lavoratori salariati. Ne consegue che una volta individuata come unità di riferimento, la moneta è impiegata soprattutto per valutare qualitativamente le posizioni debitorie. La coerenza dei rapporti mercantili è assicurata dal pagamento dei debiti.
La moneta, eletta ad unità di conto, rappresenta il vero strumento di regolazione delle relazioni economiche, la liquidità assoluta. Nel capitalismo si sono affermate a livello nazionale delle strutture che controllano l’emissione di liquidità, su cui gli operatori rivestono un’alta fiducia. Queste istituzioni infatti pagano ogni operatore attraverso l’emissione di debiti, le banconote. Si tratta delle Banche Centrali, le quali mettono in circolazione, appunto, le banconote, una moneta fiduciaria. Pagare attraverso la moneta emessa da una Banca Centrale costituisce un regolamento definitivo delle posizioni debitorie. Si possono diffondere altri mezzi di pagamento, ma la qualità degli altri mezzi di pagamento dipende dalla loro attitudine a mantenere piena convertibilità con la moneta emessa dalla Banca Centrale.
Le posizioni di credito-debito, ad esempio, possono essere cedute per facilitare gli scambi economici. Tuttavia solo alcuni debiti possono circolare ed essere accettati su vasta scala, pertanto sono detti liquidi.
4. La negoziabilità delle posizioni debitorie rappresenta un’esigenza diffusa all’interno di un sistema capitalistico di produzione. In particolare — nota Orléan — i mercati finanziari sorgono per trasformare una grandezza immobilizzata, un insieme di mezzi di produzione, cioè un capitale produttivo, in un’attività liberamente negoziabile. L’emissione, da parte di chi organizza la produzione, di titoli, che rappresentano quote del capitale produttivo cedibili su un mercato, risponde dunque a questa esigenza. Il mercato finanziario deve allora essere concepito come un’istituzione autonoma che la comunità finanziaria si dà per consentire la compravendita — dunque anche la valutazione — dei titoli necessari ad aumentare la liquidità presente nel sistema economico. Così come la moneta anche i titoli quotati in Borsa permettono di mediare dei particolari rapporti di scambio (riferiti innanzitutto alla proprietà delle quote rappresentative dei mezzi di produzione) in virtù del fatto che sono unanimemente accettati. Tuttavia le mediazioni a cui può dar luogo un titolo sono diverse: un titolo rappresenta un valore fondamentale in quanto quota di un capitale fisico, ma esso rappresenta anche un valore speculativo dal momento che è un’attività sempre negoziabile sottoposta al giudizio collettivo del mercato finanziario. Le Borse rappresentano in altri termini un luogo in cui viene a costituirsi una nuova regola di valutazione fondata sul giudizio collettivo degli operatori finanziari.
«Dalle sue origini, la finanza è dunque una trasgressione: il mondo della liquidità è un mondo artificiale, regolato dalle convenzioni. Esso istituisce una temporalità e delle forme di valutazione che rompono con i tempi produttivi e i vincoli della gestione delle imprese. […] Il capitale ha una natura contraddittoria. Esso è l’articolazione di due logiche specifiche, l’impresa e la speculazione. Per noi, la forma “mercato finanziario” non è allora una forma neutra. La liquidità esprime la volontà di autonomia e di dominio della finanza».
Quando la dimensione dei mercati finanziari supera una certa soglia si assiste ad una trasformazione della società, dal momento che le convenzioni proprie della comunità finanziaria si diffondono fino a rimettere in discussione la credenza comune che costituisce il legame sociale primordiale delle società mercantili, la moneta. Cosa accade se nel capitalismo diventa centrale il ruolo dei mercati finanziari, cioè se il risparmio collettivo è drenato dalle Borse e se il finanziamento dell’economia si sposta dal settore bancario a quello borsistico? Accade che la Banca Centrale si trova in qualche modo costretta ad assecondare la domanda di liquidità proveniente da posizioni debitorie via via crescenti. Accade cioè che la moneta certificata dalla Banca Centrale (la liquidità assoluta), deve sostenere la fiducia nei titoli quotati in Borsa, eletti a quasi-moneta, a liquidità derivata.
6. Sull’onda degli insegnamenti di Keynes, Orléan sostiene che è nella natura stessa dei mercati finanziari il fatto di funzionare sulla base del comportamento gregario della massa degli investitori, ed è per questo che la comunicazione è un ingrediente fondamentale dei mercati. Ciò dipende dall’adesione di milioni di investitori a simboli e segni che ciascuno riconosce come espressione legittima della ricchezza. Il comportamento gregario che ne consegue è intrinseco al concetto, così centrale nei mercati finanziari, di liquidità. Quando i titoli finanziari sono accettati dalla comunità finanziaria, essi divengono estremamente liquidi e immediatamente negoziabili, in modo da permettere di ottenere una ricchezza hic et nunc:
«A tal fine, bisogna trasformare le valutazioni individuali e soggettive in un prezzo accettato da tutti. Detto altrimenti, la liquidità impone che sia prodotta una valutazione di riferimento che dica a tutti i finanzieri il prezzo al quale il titolo può essere scambiato. La struttura sociale che permette l’ottenimento di un tale risultato è il mercato: il mercato finanziario organizza il confronto tra le opinioni personali degli investitori in modo da produrre un giudizio collettivo che abbia lo statuto di una valutazione di riferimento. Il corso che emerge in questa maniera ha la natura di un consenso che cristallizza l’accordo della comunità finanziaria. Annunciato pubblicamente, ha valore di norma: è il prezzo al quale il mercato accetta di vendere e d’acquistare il titolo considerato, ad un determinato momento. È così che il titolo è reso liquido. Il mercato finanziario, per il fatto di istituire l’opinione collettiva come norma di riferimento, produce una valutazione del titolo riconosciuta unanimemente dalla comunità finanziaria».
Finché i mercati finanziari, producendo plusvalenze, mantengono inalterato il grado di liquidità oppure lo aumentano, si crea un meccanismo di auto-alimentazione che a sua volta genera valore azionario in costante crescita e quindi nuove plusvalenze. Si tratta di un meccanismo di autoreferenzialità, che spiega la speculazione come frutto del funzionamento stesso dei mercati. Un’autoreferenzialità che induce una costrizione cognitiva riguardante tutti gli investitori, costrizione derivante dalla supremazia della “psicologia del mercato” (dell’opinione collettiva) sulle opinioni, o le credenze, individuali. Ne consegue che — a differenza delle letture ingenue pronte ad individuare le cause della crisi nell’irrazionalità degli operatori e nell’assenza di trasparenza sui mercati finanziari — Orléan sostiene che il comportamento speculativo è razionale ed è il frutto della autoreferenzialità dei mercati. I prezzi sono l’espressione dell’agire dell’opinione collettiva, il singolo investitore non reagisce ad un’informazione ma a ciò che crede essere l’azione degli altri investitori di fronte a quell’informazione. Ne consegue che i valori dei titoli quotati in Borsa fanno riferimento a loro stessi e non al valore economico soggiacente. È questa l’autoreferenzialità dei mercati, in cui la dissociazione tra valore economico e valore borsistico è simmetrica alla dissociazione tra credenza individuale e credenza collettiva.
L’autoreferenzialità dei mercati in grado di produrre plusvalenze è diventata una dei fattori principali di creazione di liquidità. Di fatto i mercati finanziari sono in grado di creare moneta. È ciò che Orléan mette in luce analizzando la crisi finanziaria del 2007:
«Nella fase di euforia, quando il prezzo degli immobili continua ad aumentare, è prodotta una grande ricchezza, la quale favorisce fortemente la situazione degli acquirenti e dei prestatori. È un effetto esclusivamente meccanico. Per gli acquirenti, è evidente: sono più ricchi poiché il valore del loro capitale è cresciuto. Per i prestatori, si coniugano due effetti. Sono più ricchi per gli interessi che hanno percepito ma anche, in un modo più complesso ma non meno importante, per il fatto che il loro stock di crediti vede diminuire la sua probabilità di default potenziale, e ciò significa un incremento della sua valorizzazione. Questi effetti sono tanto più potenti quanto la ricchezza creata è stata grande. È qui la sorgente di quell’euforia che si spande per tutta l’economia. Se nuovi attori, in numero sufficiente, alimentano questa dinamica nella speranza che i prezzi continueranno a crescere, allora l’euforia si perpetua. Notiamo che la politica monetaria lassista condotta dalla Federal reserve fino al 2004 ha favorito molto questa evoluzione fornendo al sistema finanziario la liquidità, abbondante e a buon mercato, di cui aveva bisogno per finanziare l’euforia. Del resto, la crescita del credito e la sottovalutazione del rischio non sono state affatto limitate al settore immobiliare. Si sono diffuse a tutti i settori».
Ciò comporta il riconoscimento di una sovranità che non corrisponde al territorio degli Stati-nazione, né ad aree monetarie certe.
8. L’analisi di Orléan appare dunque complementare alle riflessioni che abbiamo altrove avanzato sul ruolo della finanza nel processo di accumulazione e sul rapporto che esiste tra dinamica finanziaria e processi di soggettivazione del lavoro [Cfr. Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra (a cura di), Crisi dell’economia globale, qui]. Il ruolo delle convenzioni è fondamentale nel delineare la dinamica dei mercati finanziari: ad ogni convenzione finanziaria si associa necessariamente una bolla speculativa, che ne consente la diffusione. L’attività speculativa, grazie alla razionalità mimetica, consente una crescita del valore dei titoli. Le plusvalenze così generate trainano ulteriormente i mercati finanziari in un processo cumulativo, la cui durata, tuttavia, è necessariamente limitata. I grandi investitori istituzionali sono perfettamente coscienti che tale fase espansiva non può durare all’infinito: tuttavia, non sono in grado di prevedere quando il ciclo espansivo si interromperà. A dispetto di qualunque modello econometrico, anche di quello più sofisticato, parafrasando ciò che scriveva Keynes nel 1936, «sanno di non sapere».
Le plusvalenze generate nella fase espansiva del ciclo finanziario in ogni caso producono effetti reali sul processo di accumulazione. Sul piano del finanziamento, sia della produzione che del consumo, le plusvalenze, anche se virtuali, consentono di accedere a forme di credito e accendere posizioni di debito. Sul piano distributivo, sono in grado di compensare eventuali perdite nel potere d’acquisto salariale. Sul piano sociale, favoriscono l’accesso ai servizi sociali (previdenza, sanità, istruzione) una volta che essi sono stati privatizzati e finanziarizzati, in seguito allo smantellamento del Welfare State.
A partire dall’inizio degli anni Novanta, dopo la recessione del 1991-92, inizia a svilupparsi la cosiddetta “convenzione internettiana”, che ha termine nel marzo del 2000. A partire dal 2002, si assiste ad una ripresa dei mercati finanziari sulla base di una nuova convenzione che fa perno da un lato sul crescente ruolo di guida economica nella crescita globale svolto dalla Cina e dalle economie industriali del Sud-Est asiatico, dall’altro sul mercato immobiliare e sul sogno americano di “una casa per tutti”. Lo scoppio della bolla immobiliare nella seconda metà del 2007 ne sancisce la fine.
Queste convenzioni finanziarie — quella internettiana e quella immobiliare — sono entrambe strettamente correlate con la composizione politica e sociale del lavoro. È su questo punto che l’analisi di Orléan presenta delle lacune: nonostante essa chiarisca che all’origine delle crisi sta una rottura nella convenzione di valutazione che perturba completamente le relazioni strategiche tra gli attori finanziari prima, tra gli istituti creditizi in secondo luogo, fino a rimettere totalmente in discussione gli attuali assetti geo-monetari, tuttavia questa lettura non fa alcun riferimento agli effetti del comando finanziario sul mondo della produzione e in particolare sulla composizione di classe. A ben vedere le crisi ricorrenti del capitalismo (anche la crisi del capitalismo finanziarizzato) svelano l’immanenza del problema della misura; la crisi è, di fatto, il momento in cui il problema della misura si ripresenta con tutta la sua violenza originaria (il problema della violenza costitutiva posto da Girard può dunque ripresentarsi ogni qual volta le convenzioni finanziarie entrando in crisi mettono in crisi le forme tradizionali della sovranità). Il che significa anche che la finanziarizzazione – come d’altro canto le precedenti forme del comando monetario – non riesce a trasporre in modo definitivo la questione della misura dalla lotta di classe all’autonomia del potere finanziario.
Per comprendere questo punto occorre mostrare come nel capitalismo contemporaneo la dinamica dei mercati finanziari sia strettamente interrelata con la dinamica sociale: a partire dalla crisi del paradigma industriale e fordista — che procede parallela all’abbandono degli accordi di Bretton Woods — i mercati finanziari diventano il luogo dove il processo di valorizzazione, proprio di una nuova divisione internazionale del lavoro, trova una (dis-)misura; una misura soggetta alle convenzioni finanziarie. Le convenzioni finanziarie che si sono succedute dal 1993 ad oggi e che hanno messo sotto scacco le politiche monetarie delle Banche Centrali, si affermano all’interno di uno stesso paradigma tecnologico in cui il lavoro si atomizza e si complica la ricomposizione di classe della molteplicità dei vettori produttivi.
10. Orléan sostiene che, per allontanare in modo durevole le crisi caratteristiche di un regime di accumulazione centrato sulla finanziarizzazione, occorre fare in modo che le instabilità tipiche dei mercati finanziari conservino delle dimensioni gestibili senza generare un rischio sistemico.
Tuttavia egli si ferma alla proposta di segmentazione dei mercati finanziari, cioè a una forma di regolazione radicale sul modello del Glass Steagall Act.
Ciò a cui vorremmo aspirare è invece una trasformazione reale delle pratiche finanziarie. Da un punto di vista capitalistico, la soluzione possibile alla crisi sta solo nella possibilità di far ripartire una nuova convenzione finanziaria in grado di ricreare una nuova bolla speculativa. Al momento attuale, è difficile poter fare previsioni, ma alcuni recenti avvenimenti possono farci riflettere. In primo luogo, con il cambio di presidenza Usa, è ritornato al centro dell’agenda politica internazionale il tema della governance ambientale e dello sviluppo eco-sostenibile. L’attenzione verso la green economy si può configurare più come uno strumento di politica tecnologica e finanziaria che esclusivamente ambientale. Le tecnologie in grado di utilizzare, gestire e distribuire le fonti energetiche rinnovabili, al fine di ridurre il grado di entropia energetica, possono favorire lo sviluppo di una nuova convenzione ambientale. Bisognerebbe però trovare in tempi relativamente brevi un accordo sovranazionale per una nuova governance.
In secondo luogo, l’ampliamento dei deficit pubblici, iniziato negli Usa con il “golpe” imperiale del governo Bush, è oggi un fenomeno che va diffondendosi in molti paesi europei. Esso è infatti uno strumento politico per iniettare la liquidità necessaria a turare le falle dei mercati finanziari. Tuttavia i nuovi canali di indebitamento sono anche in grado di alimentare i mercati finanziari stessi: la circolazione in aumento dei titoli di debito pubblico e lo sviluppo dei mercati secondari dei prodotti derivati su tali titoli, in parte gestiti direttamente dai fondi sovrani e dagli investitori istituzionali, può favorire la ripresa degli indici finanziari. Ciò che è in gioco è un’ulteriore finanziarizzazione delle politiche di welfare, ossia l’accelerazione della finanziarizzazione della previdenza, della salute, dell’istruzione. Ma nell’occhio del ciclone potrebbero entrare anche le politiche sociali legate agli ammortizzatori sociali, alla distribuzione diretta di reddito e alle attività relazionali di cura e assistenza. Nel modello antropogenetico emergente è il bios ciò che le Borse pretendono di quotare.
Questi due possibili sviluppi confermano la tendenza predatoria del capitale, la sua attitudine all’appropriazione del comune: la convenzione Internet si è tradotta in un processo di sfruttamento del bene comune “conoscenza”; la convenzione immobiliare si è tradotta in un processo di speculazione sui beni comuni legati allo spazio e al territorio; oggi l’attività predatoria e parassitaria del capitalismo finanziario bio-economico tende ad estendersi anche al bene comune “ambiente” e al bene comune per eccellenza, la “vita”. A queste convenzioni, a queste vere e proprie costrizioni cognitive che riproducono e ampliano le logiche dello sfruttamento, occorre rispondere con altri codici sociali. Emergerebbero allora delle nuove convenzioni come sintomo di contraddizioni sociali che non riescono ad essere risolte all’interno dei regimi cognitivi e materiali vigenti. Come ha sottolineato Federico Chicchi — la spinta a porre nella società norme convenzionali che re-interpretano la dinamica storica della società stessa proviene dal rimosso sociale, «da ciò che la norma ufficiale e la prassi vigente avevano in un certo modo relegato ad istanza non praticabile socialmente all’interno del suo modello generale di pertinenza».
Una convenzione può anche emergere come un condensarsi simbolico, pratico e politico di desideri soggettivi e collettivi che una parte della società aveva rimosso e tacciato come inammissibili. Si manifesterebbe così la necessità di una nuova prospettiva di organizzazione sociale: la costruzione di istituzioni politiche di movimento sociale, di eventi costituenti, aventi quali obiettivo non solo la rivendicazione di una diversa distribuzione della ricchezza, ma anche quello di un fronte istituzionale di governance che ridefinisca l’insieme di regole sociali e restituisca significato alla democrazia sottraendo i beni comuni alle logiche finanziarie. C’è una resistenza attiva contro l’uso capitalistico del vivente: il bios non è solo terra di conquista capitalistica, ma terra di lotta, di resistenze, di eccedenza costituente, di vita attiva, di desiderio più forte del bisogno.