di Danilo Arona
A novembre del 2009 sostenevo (titolo dell’articolo, Bad Wind) che il pianeta aveva un grosso problema: quello provocato dai venti e dalle grandi tempeste di sabbia e altro che trasportano ovunque ovunque veleni endogeni ed esogeni nonché agenti infettivi come virus, batteri e funghi. Accompagnato dal solito coro di discredito pseudo-scientifico di cui gode questa rubrica, da lì a pochissimo è giunto a darmi indiretta manforte un ottimo, documentatissimo articolo di Davide Patitucci pubblicato nell’inserto “Tuttoscienze” de “La Stampa”, intitolato Virus terrestri spiati dallo spazio, avente per oggetto il sistema satellitare della NASA in grado di monitorare dallo spazio la formazione e l’andamento dei “venti cattivi”, ormai assodato che le grandi tempeste di sabbia sono divenute i vettori dei contagi globali. Val la pena di riportarne un piccolo stalcio.
I mutamenti climatici influenzano la distribuzione delle tempeste di sabbia e, di conseguenza, anche la diffusione delle malattie nei vari continenti. La trasmissione di agenti infettivi attraverso le polveri è una nuova acquisizione scientifica. Finora credevamo che i principali vettori di patogeni fossero altri, come le zanzare. Si è calcolato, attraverso l’assorbimento delle piante, che la quantità di polveri nell’atmosfera terrestre è pari a 3 miliardi di tonnellate. Ogni grammo contiene un milione di batteri, 100 mila virus e 100 mila funghi. Grazie ai satelliti le tempeste di sabbia possono essere previste con 3 giorni d’anticipo. I dati dell’attività di monitoraggio sono poi forniti ai CDC, i “Centers for Disease Control and Prevention” di Atlanta, in Georgia – l’equivalente Usa del nostro Istituto superiore di sanità – che valutano i rischio per l’uomo e danno l’allerta. In alcune zone del pianeta, teatro di operazioni militari in cui sono coinvolti soldati americani, le ricerche sui vettori atmosferici di agenti nocivi sono già in corso da anni. In Iraq e Afghanistan, per esempio, i soldati sono spesso investiti da violente tempeste di sabbia, che possono indebolire il loro sistema immunitario. Il rischio legato alle tempeste di sabbia è aggravato dalla diffusione, accanto ai tradizionali agenti biologici, di metalli pesanti, tossici per l’uomo, come nichel, alluminio, piombo e stronzio,per citare i più comuni.
La citazione sull’Iraq non suona puramente casuale. Qui, dove da anni è in atto un vero e proprio macello tecnologicamente avanzato, si avvicendano le più gigantesche tempeste di sabbia del pianeta. Un fenomeno che ha accompagnato l’inizio dell’operazione Decapitation Strike nel marzo del 2003 (la famosa tempesta di sabbia rossa chiamata Tufanaltorab che bloccò le truppe per tre giorni) e che è paradossalmente aumentato nel corso degli anni proprio a causa della guerra. Così infatti leggiamo in un articolo di Liz Sly, pubblicato sul Los Angeles Times del 30 luglio 2009:
In Iraq una catastrofe ambientale senza precedenti. Il paese è diventato, da granaio del Medio Oriente a catino di polvere. Baghdad ? Ti svegli la mattina con le narici tappate. Case e alberi sono scomparsi sotto uno smog marrone soffocante. Un vento caldo soffia particelle finissime attraverso porte e finestre, ricoprendo tutto ciò che è in vista, e impartendo un bagliore arancione inquietante. Le tempeste di sabbia sono un’esperienza di routine in Iraq, ma ultimamente sono diventate molto più comuni. “Adesso sembra che abbiamo tempeste di sabbia quasi ogni giorno”, dice Raed Hussein, 31 anni, un antiquario che durante una bufera recente ha dovuto portare di corsa il figlio di cinque anni in ospedale perché il bambino non riusciva a respirare. “Soffriamo per la mancanza di elettricità, soffriamo per le esplosioni, e adesso stiamo soffrendo anche di più a causa di questa terribile polvere.” “Deve essere una punizione divina”, aggiunge, offrendo un’opinione ampiamente diffusa tra gli iracheni che cercano di spiegare le loro condizioni meteorologiche recentemente apocalittiche. “Penso che Dio sia arrabbiato con ciò che fanno gli iracheni”. La realtà è probabilmente più spaventosa. L’Iraq è alle prese con quella che alcuni funzionari stanno definendo una catastrofe ambientale, e la maggiore frequenza delle tempeste di sabbia è solo la manifestazione più visibile. Decenni di guerra e di gestione incompetente, aggravati da due anni di siccità, stanno causando distruzioni all’ecosistema del Paese, prosciugando letti dei fiumi e paludi, trasformando la terra arabile in deserto, uccidendo alberi e piante, e generalmente trasformando quella che un tempo era la zona più fertile della regione in un’area desolata. “Stiamo parlando di qualcosa che sta rendendo il granaio dell’Iraq simile al Dust Bowl (1) dell’Oklahoma nella prima parte del XX secolo, dice Adam L. Silverman, uno studioso di scienze sociali con le forze armate Usa, che ha prestato servizio a sud di Baghdad nel 2008. L’ambiente è diventato così fragile che persino il vento più leggero solleva una cappa di polvere che permane per giorni. Quest’estate e quella scorsa hanno visto più del doppio di giorni polverosi rispetto alle quattro precedenti, dice. E il 35% delle volte, la polvere riduce la visibilità a meno di 5 km all’incirca, il punto in cui è normalmente considerato pericoloso volare. Molti di questi giorni, la visibilità è stata zero, ritardando i voli, interrompendo le operazioni militari, e mandando migliaia di persone in ospedale con problemi respiratori. E’ un capovolgimento drammatico per il Paese nel quale si ritiene che sia nata l’agricoltura, migliaia di anni fa. L’antico nome dell’Iraq, “La desertificazione è come un cancro in un essere umano”, dice Fadhil Faraji, Direttore generale del Dipartimento per la lotta alla desertificazione. “Quando la terra perde la vegetazione che la ricopre, è molto difficile recuperarla. Bisogna trattarla metro per metro”. Le tempeste di sabbia portano la crisi delle campagne direttamente nei soggiorni degli abitanti delle città. La polvere che cade ha la consistenza del borotalco, e riesce ad arrivare negli armadi e negli angoli, nonché nelle narici e nei polmoni. “Provoca problemi di salute, interrompe le attività, distrugge i macchinari, per non parlare degli effetti psicologici”, dice Ibrahim Jawad Sherif, che è responsabile del monitoraggio del suolo al ministero dell’Ambiente. “E’ una catastrofe che sta avendo un impatto su ogni aspetto della vita irachena.
Se qualcuno nutre dubbi sulla consistenza delle tempeste di sabbia dell’Iraq, può bearsi della foto che accompagna quest’articolo o guardarsi il filmato girato in Iraq, a El Asad il 27 aprile 2005, e che trovate in rete senza grossi problemi. E’ la concretizzazione drammatica di un’Apocalisse in atto — un muro mostruoso di sabbia che ti piomba addosso con apparente lentezza e trasforma il giorno in notte -, che è non così circoscritta come si potrebbe pensare. Infatti la sabbia delle tempeste dell’Iraq arriva spesso, per effetto condiviso dei venti, sino all’Iran, al Qatar, toccando le coste dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi, parte del Mar Rosso e dell’Egitto. E anche oltre, con conseguenze che si possono immaginare. Perché nella sabbia dell’Iraq ci sta di tutto, comprese scorie radioattive provenienti da un vastissimo territorio in cui le radiazioni sono state misurate 250 volte più potenti di quelle di Hiroshima e Nagasaki.
Non so se l’Iraq e i suoi infernali Tufanaltorab possano essere considerati il laboratorio di una futura Apocalisse scatenata dal riscaldamento globale. Di sicuro qualche indizio lo forniscono: aumento di malattie a carico del sistema immunitario, patologie respiratorie centuplicate, nuovi virus in continua fase mutagena sui quali probabilmente si specula a fini commerciali (ma questa è un’altra storia). Qualcuno sostiene che fra non molto assisteremo a tempeste di sabbia nella pianura padana. Non sono così esperto, ma, nelle giornate in cui tira il Föhn, i dust devil — i vortici di sabbia — si vedono benissimo, soprattutto se la stagione di riferimento è stata particolarmente asciutta. Nel gioco di similitudini tra il micro e il macrocosmo gli echi risuonano sinistri. In Iraq più di un tragico incidente — qualcuno a carico anche delle truppe italiane — è stato determinato da una tempesta di sabbia e l’involontario simbolismo climatico del “vento cattivo” sembra rammentarci quel vecchissimo adagio del “chi semina vento, raccogliendo tempesta”.
Ho intenzionalmente evitato di accennare ai Sognatori della Grande Onda… Ne parla già a suo modo il video girato a El Asad nell’aprile 2005. E la furia della natura, così come la magia del luogo, ne escono vincitrici.
(1) Disastro ecologico, risultato di una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada dal 1931 al 1939, causando un esodo della popolazione.