di Daniela Bandini
Pino Bruni, Dissolvenza uomo, Edizioni Noubs (Chieti), 2009, pp. 220, € 13,00.
Dissolvenza uomo è un libro tra i più deliziosi che ho letto recentemente. E questo per svariati motivi, alcuni palesi, altri più tradizionali, altri ancora caratteriali. Dissolvenza uomo è il titolo di un romanzo che, a grandi linee, tratta della futura società umana dominata da robot. Tutto qui, direte? Sì, tutto qui, tranne… Tranne che si parla di robot. Tranne che sono robot attratti dal cinema, lo si evince dal titolo, e dalla cultura per amore della stessa cultura. Robot con personalità miti e dialoganti, consapevoli delle proprie contraddizioni di classe, robot gerarchizzati ma capaci di superarsi e di apprendere, di imporsi alle ingiustizie e di discernere. Tutto il meglio del genere umano, e della sua lunghissima storia, politica e sociale, giunto alla fine di ogni esperienza trasmissibile. Infatti a ben vedere sono robot progettati, programmati da un genere umano che si è estinto per consunzione, per sfinimento, incapace com’era di trasmettere conoscenze ed entusiasmi a nuovi esseri nati senza una volontà. Di cambiamento, di dubbio, di superamento.
Un gigantesco paradigma della caduta dell’impero romano, riferito al destino dell’umanità. Questo è il motivo, diciamo palese, per cui amo questo libro. Il motivo tradizionale è l’eroico coraggio di supporre, anche solo supporre, un lieto fine che non sia barbaramente insanguinato. Praticamente un lieto fine è da considerarsi l’eresia del momento, dove il No Future impone cinismo e sadismo, violenze e vecchie maledizioni. A cui non possiamo sottrarci. Mi è piaciuto davvero tantissimo, quando nel romanzo i robot rimangono allibiti guardando delle vecchie pellicole dove esseri umani si trasformano in vampiri e succhiano sangue alle loro vittime. E sono certissima che l’autore non ha scelto a caso il tema vampiri. Come capirci qualcosa? Erano documentari, film, o cos’altro?
I vampiri. Tre libri su dieci di quelli usciti recentemente, moltissimi dei quali best-seller, ne fanno i protagonisti, ma cosa c’è dietro questo fenomeno? Io vedo una grandissima difficoltà da parte degli autori contemporanei a rappresentare in maniera adeguata il presente, e questo lo attribuisco soprattutto a un nemico: la rete. Un nemico perché lo scrittore è troppo sconvolto da questa novità per avere il coraggio di descrivere una normale giornata di chiunque di noi, noi che leggiamo Carmilla, per esempio. Ovvero, e parlo in prima persona, appena mi sveglio accendo il computer, e so cosa mi posso aspettare dalla giornata. Notizie, meteo, titoli di testa, ma anche news tecnologiche, i social network, i blog, cosa hanno fatto i miei amici, per lo più virtuali. Dal web sceglierò forse i regali di natale del prossimo anno, prototipi eccezionali, e mi farò un’idea, comunque, di come vada oggi il mondo. Anche il mio.
Tutto questo è aberrante per uno scrittore. Si tratta di uno sproloquio intimista ed egocentrico difficilissimo da scrivere, materialmente. E ci si rifugia nella vecchia mano paterna che ti guida su una strada già tracciata fatta di paletti da conficcare nel cuore, di croci d’argento, acqua benedetta, luce del giorno… E così facciamo l’esatto opposto dei padri che diffusero questi miti: essi diedero voce al desiderio dirompente di guardare il lato oscuro di una società ipocrita e maschilista, di svelare la crudeltà di un sistema per soli eletti. E noi figli ci rifugiamo tra le stesse voluttuose nicchie di certezze contraddicendo tutti gli sforzi dei nostri padri, fatti, ribadisco, per scardinare definitivamente le direttive di un modello che stava svanendo alla luce di un’epoca in cui avrebbero trionfato la scienza, l’eguaglianza, il futuro, finalmente. I vampiri: se non fosse un tema drammatico sarebbe patetico.
Veniamo al motivo caratteriale per cui amo Dissolvenza uomo. L’autore è, ribadisco un eroe, un portabandiera. E’ il primo, da anni forse, che pone un accento di speranza nei prossimi decenni. All’ormai scontato scetticismo nel presente, dal quale anch’io non posso esimermi, vede un’alternativa strabiliante: il futuro sarà migliore, anche se non avrà il nostro corpo. Abbiamo fallito come genere umano, va bene, ma abbiamo saputo creare qualcosa o qualcuno meglio in grado di noi di concepire un mondo più gentile, nel senso più nobile del termine: condivisione di cultura e di esperienze, la compassione e la commozione, un senso alto della giustizia e dell’immensa opportunità della vita, la sfida della tecnologia, il divertimento, il ragionare di sé. E la singolarità sta in questa contraddizione: per superarsi l’uomo deve abbandonare una parte fondamentale del proprio patrimonio culturale e genetico. Negare i padri, generare solo figli.
Dissolvenza uomo è, per me, tutto questo. E fino all’ultimo rigo ho temuto un tristissimo “this is the end” che non c’è stato. L’incontro tra le due razze, lontanissime, mi ha ricordato l’immagine icona di ET, quelle due dita che si congiungono, come l’indice di Dio e quello dell’uomo di Michelangelo. Ricordiamoci, siamo figli di molti padri, e per molti di questi bisognerebbe andare fieri di esserne i figli.